Teatro

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Siah Bazi
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La Storia dell’Arte Drammatica in Iran

Il concetto europeo di teatro fu introdotto in Iran soltanto negli anni Venti del secolo Ventesimo; non si può quindi parlare di una tradizione persiana nel settore, ma tipica dell’Iran è una forma di rappresentazione del tutto particolare, la ta’zieh.
La parola ta’zieh, che originalmente si riferiva a manifestazioni di lutto, è venuta nel corso del tempo a denominare specificamente una rappresentazione tragica tipica del teatro popolare persiano, la ta’zieh khani (dramma di imitazione).

La ta’zieh, o sacra rappresentazione, fiorisce in Persia nell’epoca della dinastia musulmana sciita dei Safavidi (1502 – 1736 d.C.), da radici assai più antiche.

Diviene nota anche in Occidente dal 1787, cioè da quando un Inglese, William Franklin, in visita a Shiraz, ne descrive una rappresentazione.

La ta’zieh progredisce e fiorisce sotto la tutela dei re Qajar, in particolare Nasser ad-Din Shah (1848-96), ed è in ugual misura ben accolta e sostenuta attivamente dal pubblico in genere.
Lo stesso Shah costruisce takiyeh dowlat (cioè, come si vedrà più avanti, alcuni appositi speciali “spazi teatrali di Stato”) in cui vengono rappresentate le ta’zieh ufficiali e più elaborate. Questo genere di teatro rituale acquisisce tanto prestigio che un iranologo inglese, sir Lewis Pelly, scrive: “Se si deve misurare il successo di una rappresentazione teatrale dagli effetti che essa produce sulla gente per cui è composta o sul pubblico davanti al quale è rappresentata, nessuna ha mai superato la tragedia nota nel mondo musulmano come quella di Hassan e Hossein”. Anche altri Occidentali, Inglesi come Edward Gibbons, T.B. Macaulay e Mattew Arnold e Francesi quali Arthur Gobineau e Ernest Renan, tributano elogi simili al dramma religioso persiano.
Dal 1808 i viaggiatori stranieri cominciano a paragonare le ta’zieh ai “Misteri” e alle “Passioni” del Medio Evo Europeo.

Nei primi Anni Trenta, durante il regno di Reza Shah Pahlavi, la ta’zieh viene messa al bando allo scopo ufficialmente dichiarato di “evitare atti barbarici di esaltazione di massa” e di rendere omaggio allo Stato turco Sunnita.
Essa però sopravvive in forma clandestina nei villaggi più remoti, riaffiorando solo dopo il 1941.
Rimane in condizioni marginali fino agli inizi degli Anni Sessanta, quando intellettuali come Parviz Sayyad cominciano a farne oggetto di ricerca, chiedendo l’annullamento del bando e rappresentandone alcuni frammenti.
Una rappresentazione completa di ta’zieh viene finalmente presentata durante il Festival delle Arti di Shiraz nel 1967; lo stesso Festival, nel 1976, promuove un seminario internazionale durante il quale Mohammad Bagher Ghaffari organizza 14 rappresentazioni gratuite di sette ta’zieh, cui assistono circa 100.000 spettatori.

Tre rappresentazioni di ta’zieh su grande scala vengono organizzate per commemorare il primo anniversario della morte dell’Imam Khomeini, avvenuta nel 1989, presso il suo Mausoleo, in una takyeh e al Teatr-e Shahr (Teatro Cittadino).
La ta’zieh viene tuttora rappresentata in Iran, in particolare nelle regioni centrali del Paese (non fa invece parte delle tradizioni dei territori orientali e occidentali).
Soggetto costante e tipico della ta’zieh è la rievocazione delle fasi più drammatiche della vita, e della tragedia del martirio, di tutti gli Imam dello Sciismo (tranne il XII, tuttora “in occultazione”), in particolare del Santo Imam Hossein, ucciso con i suoi seguaci e familiari a Karbala nel mese di moharram dell’anno 61 dell’Egira (683 d.C.) dall’esercito del califfo Yazid.
I drammi raccontano spesso il viaggio dell’Imam e del suo popolo da Medina alla Mesopotamia, le sue battaglie e il suo martirio.
Esistono anche drammi che riguardano il Profeta Mohammad e la sua famiglia e altre figure sante, storie del Corano e della Bibbia.
Ma il personaggio di maggior rilievo è l’Imam Hossein, che impersona l’innocenza ed è l’intercessore dei credenti.
La sua purezza, la sua morte ingiusta, la sottomissione al destino lo rendono degno d’amore e di adorazione.
Egli è anche (come Gesù) l’intercessore per l’umanità nel giorno del giudizio; si sacrifica per la redenzione dei Musulmani.
Le ta’zieh che raccontano vicende diverse dal martirio dell’Imam Hossein vengono rappresentate in altri periodi dell’anno diversi dal mese di moharram.
Gli esperti iraniani del settore ritengono che la scenografia e i costumi delle ta’zieh si riferiscano comunque principalmente ai racconti della mitologia iranica, in particolare alle narrazioni e descrizioni dello Shahnameh (“Il libro dei Re”) del massimo poeta persiano Ferdowsi.

I copioni sono sempre scritti in lingua persiana e in versi, per la maggior parte di autori anonimi.
Per coinvolgere più intensamente il pubblico, gli autori non solo si permettono di alterare i fatti storici, ma trasformano anche i caratteri dei protagonisti. Per esempio il Santo Hossein viene regolarmente dipinto come un uomo che accetta dolorosamente il proprio destino: piangendo, egli proclama la propria innocenza e suscita il pianto del pubblico che, in questa performance rituale, a sua volta si lamenta delle proprie colpe e delle proprie condizioni di oppressione. I personaggi dell’ “oppresso” e del “martire” sono i “caratteri” più ricorrenti, e più capaci di destare tra gli spettatori sentimenti di compassione e partecipazione emotiva. Nella ta’zieh sono presentati due tipi di personaggi: quelli religiosi e venerabili, che fanno parte della famiglia del Santo Ali, il primo Imam degli Sciiti, e sono chiamati “Anbia” o “Movafegh Khan”; e i loro perfidi nemici, chiamati “Ashghia” o “Mokhalef Khan”.Gli attori (più correttamente chiamati “lettori”) che impersonano i Santi e i loro seguaci vestono di verde o di bianco e cantano o recitano i versi, accompagnati dalla musica; i secondi, che vestono abiti di colore rosso, si limitano a declamarli grossolanamente.
Non si tratta, in genere, di attori professionisti, ma di persone che lavorano in tutti i settori sociali e recitano solo nelle occasioni sacre.
Si usano anche alcune maschere, specialmente quella del diavolo.
Nella ta’ziyeh si osserva infatti la compresenza di moduli teatrali assai diversi fra loro, intrecciati in un quadro di estrema complessità ed efficacia.
Può accadere, in primo luogo, che l’attore che impersona l’assassino del Santo martire, all’improvviso – mentre è ancora trascinato dalla furia omicida – si rivolga piangendo agli spettatori, gridando loro il proprio dolore per il delitto realmente commesso dal vero sicario nel passato, e denunciandone l’ingiustizia.
Nel contempo il ruolo del narratore viene generalmente ricoperto non da un attore ma da un esponente di qualche associazione o corporazione locale

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