La Storia dell’arte dell’Iran

PRIMA PARTE

L’ARTE DELL’IRAN PREISLAMICO

L’ARTE DEI SELEUCIDI E DEI PARTI

I Seleucidi

Dopo la vittoria su Dario III a Gaugamela, nel 331 a. C. Alessandro il Macedone si proclamò “Grande Re”. Quindi prese con sé i ricchi tesori di Susa e si diresse verso Persepoli, dove sicuramente si impossessò di enormi ricchezze e di magnifici tesori prima di appiccare il fuoco alla città nel quarto mese della sua permanenza. I nuovi scavi condotti dopo la seconda guerra mondiale hanno infatti portato alla luce documenti che lasciano pensare che prima dell’incendio ci furono nella zona saccheggi su larga scala. Molto probabilmente i saccheggi e l’incendio avvennero con l’assenso di Alessandro, forse come rappresaglia per i templi greci bruciati dai Persiani, o forse perché Persepoli poteva rappresentare un punto di riferimento importante per gli Achemenidi ancora sopravvissuti.
Dopo la morte di Alessandro, tra i suoi ufficiali scoppiarono forti contrasti che finirono con il provocare la spartizione dei territori occupati. L’Iran, la Mesopotamia, il nord della Siria e una gran parte dell’Asia minore caddero sotto il controllo di Seleuco, il quale ambiva all’unificazione di Grecia e Iran. Seguendo le indicazioni lasciate da Alessandro ai suoi generali, Seleuco sposò una nobile persiana, dalla quale ebbe un figlio di nome Antioco. Questi, una volta ereditato i territori controllati dal padre, consolidò la dinastia seleucide che si mantenne stabile fino a circa il 250 a. C. Da questa data in poi, i Seleucidi vissero sotto la costante pressione di alcuni popoli iranici, in particolare dai loro vicini Parti, provenienti dal Khorasan settentrionale. Persa, a causa di una ribellione, la satrapia di Balkh, che comprendeva una grande porzione dell’Afghanista e del Turkestan, ed il Khorasan, furono costretti a ritirarsi entro i confini dell’Iran centrale. La penetrazione dei Parti all’interno dell’Iran spinse poi i Seleucidi indietro fino in Siria, dove furono in grado di continuare a esercitare una certa influenza fino alla prima metà del primo secolo d. C.
Alcuni studiosi hanno scritto che “le nozze di Susa”, cioè le nozze di Alessandro con la figlia di Dario III e con la figlia di Memnone, nonché il matrimonio dei suoi ufficiali – tra cui quello di Seleuco con la figlia di Yazdegerd, furono ordinate da Alessandro per favorire la fusione tra persiani e greci. I documenti storici dimostrano però che non è così, in quanto i re seleucidi sottolinearono sempre la loro grecità e la necessità di conservarla tra gli Iraniani, mantenendo il dominio politico e militare su tutto l’Iran. Un progetto, questo, che non aveva alcun obiettivo culturale. Nonostante questo, essi fondarono varie città in cui persiani e greci vivessero in pace, e delle quali non sono rimaste molte tracce. Tutto questo, comunque, determinò una certa influenza dell’arte greca su quella dell’Iran, e la ricezione nell’arte greca di significative influenze orientali, mutuate attraverso l’Asia Minore. Lo stesso Platone, la cui filosofia venne poi ripresa dai filosofi musulmani, venne influenzato da princìpi mazdei.
I Seleucidi, consapevoli dell’instabilità della loro base politica in Iran, cercarono di consolidare il loro potere dando una nuova organizzazione alla struttura amministrativa ereditata dagli Achemenidi, e creando una rete di difesa che comprendeva anche l’utilizzo dei fortilizi disseminati lungo le principali vie di comunicazione dell’impero achemenide. Le terre intorno a queste fortezze vennero assegnate ai Greci ed esse divennero anche il centro di un nuova rete di servizi postali. Di conseguenza, queste città che avevano nomi greci ed erano abitate soprattutto da greci, si trasformarono in città greche e i Seleucidi si sforzarono di erigere in esse i loro templi e di introdurvi le tradizioni religiose greche.
È probabile che una di queste città greche si trovasse dalle parti di Fasa, nel Fars, dato che nella zona sono stati rinvenuti frammenti di pietra scolpita e ceramiche greche. Un’altra città era situata nella zona di Kangavar, tra Hamadan e Kermanshah. In quest’area è rimasto un tempio partico, che secondo Isidoro di Carax era dedicato ad Artemide-Anahita; la città fu infatti trasformata in una città partica successivamente. È possibile che un’altra città sorgesse nei pressi di Khorkheh, nei dintorni di Delijan (a metà strada tra Qom e Esfahan), dove rimangono ancora in piedi due colonne seleucidi. Una quarta città si trovava in territorio medo (nell’attuale Nahavand), e aveva nome di Laodicea. Probabilmente i resti delle città seleucidi sono scomparsi per il fatto che nel corso del tempo i contadini hanno utilizzato le pietre per le loro attività. Herzfeld attribuisce comunque ai Seleucidi un grande edificio in pietra che sorge a Kangavar, in quanto la sua tecnica di costruzione differisce da quella degli edifici partici. Oltre a questo, dei Selucidi rimangono tracce architettoniche sparse e frammenti di grandi e imponenti statue bronzee. Questi frammenti, insieme ad altri piccoli manufatti in metallo di epoca ellenistica e a statue di divinità greche, mostrano quanto fosse diffusa la lavorazione dei metalli in quest’epoca. È rimasto anche un certo numero di sigilli ufficiali del regno e tavolette impresse. Brevemente, i pezzi sono: immagini, mezzibusti o busto con testa di dèi o eroi greci, immagini di comandanti seleucidi, veli e oggetti simbolico-rituali, come un treppiede di Apollo, o il simbolo dell’àncora, tipico dei Seleucidi, in quanto simbolo di Seleuco. A volte, si trovano anche scene di cerimonie religiose o di vita quotidiana, o immagini di animali o manufatti greci.
Nel disegno delle forme, non è sempre possibile discriminare tra stile ellenistico e tradizione del vicino oriente antico. La tradizione vicino orientale nella rappresentazione del Capricorno è chiara. Questo stile è cambiato poco dai tempi dei babilonesi, ed è giunto ai Seleucidi attraverso gli Achemenidi. Rostouzeff ritiene che questi capricorni, e a volte anche i cancri, siano simboli tipici dell’area dell’Alborz e che la loro comparsa sui sigilli sia la prova dell’importanza che i Babilonesi davano alla conoscenza astronomica e astrologica. Sebbene l’origine di questi segni sia assai antica, è comunque possibile che essi abbiano assunto significati astrologici nel periodo ellenistico. A Babilonia, l’illusionismo, la magia, la divinazione e il vaticinio erano diffusissimi, ed è possibile che la sapienza astrologica sia stata utilizzata anche in questi ambiti. Forse proprio per la sua importanza, questa conoscenza era riservata al re e alla corte. Poiché gli Elleni erano convinti che la sola scienza in grado di far conoscere i motivi di ciò che accade sulla terra fosse l’astrologia, essa fu una delle ragioni della fusione di elementi vicino orientali ed ellenistici.

 

 I Parti
Architettura ed urbanistica

Come abbiamo detto, i Parti erano una tribù nomade che abitava il Khorasan settentrionale, conosciuti con questo nome a partire dal tempo degli Achemenidi. Dal punto di vista religioso erano mazdei, forse anche zoroastriani, dato che la mitologia iranica vuole Zarathustra originario del Khorasan settentrionale e della zona di Balkh. Qualcuno ipotizza che i Parti discendano dai Saka, ma la loro lingua, appartenente al gruppo dell’avestico e dell’antico persiano, prova la loro origine iranica. Il territorio dei Parti era conosciuto con il nome di Parnia, e costituiva una delle satrapie achemenidi.
Nel 250 a.C., guidati da un condottiero che il greco Strabone chiama Arsace, i Parti cominciarono a premere contro i Seleucidi riuscendo, dopo la ribellione di Balkh (uno dei regni del Khorasan del nord), a spingerli prima verso l’interno dell’altopiano iranico e poi ancora più in là, fino a Babilonia; l’Iran cadde così nelle mani di Arsace I, anche se fu solo nel periodo di Mitridate I che tutto il regno passò sotto il dominio degli Arsacidi. Il culto di Mazda, della generosità e della retta via praticato dagli Arsacidi permise loro di essere accettati dai persiani e di governare il paese per più di cinque secoli. Dopo aver allontanato i Selucidi, i Parti non rivoluzionarono la struttura burocratica scardinando le precedenti istituzioni organizzative, né imposero con la forza le loro idee religiose. I sovrani arsacidi si definivano nelle monete “amici della Grecia”. C’è da chiedersi se fossero effettivamente amici dei Greci, oppure cercassero di mantenere un’alleanza politica per evitare uno scontro militare con essi che costituivano comunque una minaccia, come aveva dimostrato l’esercito di Alessandro. Dal punto di vista storico, la verità è ancora oscura. Quello che invece è incontestabile è che Mitridate I costrinse i Greci entro la Siria. Sotto gli Arsacidi le minoranze religiose godevano della più totale libertà, potendo vivere secondo i propri usi, costumi e leggi.
Veritiera oppure no, la definizione di “amici dei Greci” fece insorgere nei persiani un sentimento di discriminazione ed essi si mostrarono ostili agli Arsacidi fino quando non fece la sua comparsa un potente condottiero, appartenente ad una nobile stirpe, che rovesciò il potere della loro dinastia. , Durante il regno di Artabano V, infatti, Ardashir I il Sasanide riuscì ad abbattere, dopo cinque secoli, il governo arsacide, e le truppe sconfitte ripararono in fretta verso il Khorasan. Probabilmente, la causa della scarsa attenzione prestata dagli storici persiani, e anche da Ferdowsi, agli Arsacidi e della scomparsa stessa del loro ricordo durante il periodo sasanide, fu proprio questa proclamata “amicizia verso i Greci”. Nonostante ciò, non si deve dimenticare che i Parti cercarono di contribuire quanto poterono allo sviluppo dei commerci e alla sicurezza delle vie di comunicazione del paese, dedicandosi anche alla costruzione di vie carovaniere e città: ad esempio, la città di Hatra, distrutta dal sasanide Shapur I, e la città di Dura (250 a.C.). Essi cercarono anche uno sbocco sul Mediterraneo, ragion per cui accolsero nel loro esercito i superstiti dell’armata greca sconfitta dai Seleucidi. Un fenomeno del periodo arsacide è la comparsa di un nuovo culto del sole, cioè uno dei culti degli antichi ariani che in quest’epoca si diffuse con nuovo vigore grazie all’affermarsi della figura di Mitra, considerata della stessa stirpe di Zarathustra, la cui influenza si estese fino in Europa, a tal punto che nel terzo secolo d. C. il mitraismo fu vicino a divenire religione ufficiale dell’impero romano. L’influenza di questo culto in Europa fu tale che fece da battistrada alla diffusione del cristianesimo, e anzi dopo l’adozione nell’impero romano di quest’ultimo come religione ufficiale, molti elementi del mitraismo entrarono a far parte della fede cristiana. Ad esempio, la festa del Natale venne istituita esattamente nella data in cui prima veniva celebrato il natale di Mitra, in corrispondenza del solstizio d’inverno. L’impatto del mitraismo in Europa fu tale da far dire a Renan che “se mentre si stava affermando, il cristianesimo fosse morto a causa di una qualche grave malattia, oggi il mondo sarebbe dominato dal mitraismo.”.
Nonostante il loro dominio sia durato a lungo e sia stato caratterizzato da un’intensa attività commerciale e politica, delle testimonianze artistiche lasciateci dagli Arsacidi non rimane tutto sommato moltissimo. Una delle cause è da ricercare probabilmente nell’atteggiamento ostile assunto nei loro confronti, per motivi nazionalistici, dai Sasanidi, oltre forse alla caratteristica iranica di non curarsi troppo del passato. In ogni caso, per quanto riguarda l’architettura, non restano che le rovine di alcuni edifici, i più antichi dei quali sono di stile ellenistico, mentre quelli più recenti presentano uno stile partico-khorasanico. È solo nel periodo sasanide comunque che le influenze ellenistiche spariscono del tutto, lasciando spazio ad un’arte iranica al cento per cento.
Una delle testimonianze riportate alla luce dagli archeologi è costituita dalle rovine di Assur, città eretta dagli Arsacidi nel I secolo d.C, ne territori dell’attuale Iraq. Presso Hatra, ad una cinquantina di chilometri da Assur, si trovano le rovine di edifici assiri caratterizzati da significative variazioni stilistiche. La città di Assur nel periodo arsacide fu distrutta e ricostruita due volte, la prima da Traiano e la seconda da Settimio Severo, al tempo delle sue spedizioni mesopotamiche. Dalle analisi dei resti, emerge che i palazzi di Hatra sono stati eretti dopo la spedizione di Traiano, in corrispondenza con la seconda ricostruzione di Assur; in ogni caso, i palazzi arsacidi delle due città sono differenti.
I più antichi edifici assiri erano costruiti con mattoni crudi, e l’uso dei mattoni cominciò nel quarto millennio e si diffuse in Mesopotamia a partire dal terzo. In Iran l’uso dei mattoni crudi per costruire abitazioni e palazzi continuò anche in epoca achemenide, arsacide e sasanide, fino al periodo islamico. Alcuni dei palazzi achemenidi sono infatti in mattoni di terra cruda; anche oggi costruire in terra cruda presenta dei vantaggi. Le sale più grandi del palazzo principale di Assur hanno il soffitto rivestito in mattoni e il tetto a spalti; una di queste sale, invece, è sostenuta nel senso della lunghezza da due archi poggianti su basi rettangolari, con travi trasversali, divise in tre sezioni. Questo tipo di costruzione, semplice e razionale, fu usata in molti paesi, senza che nessuno ne abbia mai indagato l’origine. Alcuni edifici presentano archi che sostengono volte, un tipo di costruzione che si può trovare ad Assur, a Ctesifonte, Taq-e Kasri, a Baghdad, a Khan Arsema o in altri siti dell’Iran come Abarqu, nella provincia di Yazd, a Torbat-e Jam e in altri luoghi, o anche fuori dall’Iran: in Francia nella Chiesa di St. Philibert de Tournus, a Farges, nell’Abbazia di Fontenay e altrove. In altre forme, gli archi sostengono tetti travati in legno o soffitti piatti in Siria, Giordania e in Iran, a Iwan-e Karkheh.
A Hatra, gli archi sono ricavati dalla pietra e hanno giunture radiali. Anche ad Assur, dovunque siano presenti soffitti a volta sono usate queste pietre a tre lati, come nel caso dei i soffitti dei corridoi del palazzo. Questa antica tecnica era comune in oriente e ovunque il legno da costruzione era irreperibile o scarso, come nel caso dei magazzini di Ramses in Egitto o in quello delle tombe babilonesi o nei condotti dei qanat iraniani, dove ancora si usa la stessa tecnica.
L’architettura arsacide non ha una grande varietà di forme e tipologie di costruzione e i suoi edifici erano molto comuni. Si direbbe che conoscessero un solo tipo di soffitto a volta e per dare magnificenza ai loro edifici utilizzarono l’iwan, mutuandolo dai predecessori. L’origine dell’iwan non è nota, ma quello che è chiaro è che si tratta di un elemento architettonico iranico diffuso in Iran a partire dalle regioni orientali, il quale si diffuse poi in tutti i paesi musulmani dopo l’islamizzazione dell’Iran. Queste alte e ampie volte, che vediamo sulle facciate degli edifici, costituivano un elemento ornamentale della corte sasanide e poi, nel periodo islamico, delle madrasa, delle moschee, dei caravanserragli e dei palazzi. Questi alti iwan ornamentali del periodo arsacide non vennero costruiti a ovest e a est,poiché il più antico di essi è quello del palazzo di Ardashir a Firuzabad; cioè almeno due secoli prima del palazzo di Assur e nell’ipotesi che l’architettura del palazzo di Firuzabad sia effettivamente arsacide.
La forma originaria del palazzo di Hatra era caratterizzata inizialmente dalla presenza di due grandi iwan a due piani, divisi su entreambi i lati da due piccoli archi; successivamente furono aggiunti altri due grandi iwan, cosicché l’edificio venne fornito di una lunga facciata dotata di quattro iwan. Dietro al primo iwan e adiacente a esso fu eretta una sala rettangolare con soffitto a botte. Questo primo modello di edificio si diffuse in modo significativo, assumendo la forma di un parallelepipedo sormontato da una cupola, con un grande iwan in funzione di ingresso. A Hatra ci sono altri palazzi più piccoli e abitazioni private meno importanti. Uno di essi è formato da un ampio iwan sulla parte frontale e stanze che si aprono su tre dei suoi lati. In un altro edificio, le stanze sono disposte sui suoi due lati; un altro edificio presenta tre iwan uno accanto all’altro, con stanze dietro ciascuno di essi. Il quarto edificio è formato da tre iwan in fila, davanti ai quali sorgono degli archi colonnati. Ancora un altro edificio presenta un iwan con stanza da una sola parte e con di fronte una sala ipostila di stile greco.
Il palazzo arsacide di Assur è un esempio di composizione con gli iwan che nel periodo islamico diverrà molto diffuso e interessante col nome di shabestan-e morabba-e shekl: quattro iwan che si aprono intorno a un cortile quadrangolare che diverrà la forma più comune delle moschee, delle scuole religiose e dei caravanserragli. Senza dubbio, questo stile architettonico, sebbene presente anche nell’architettura assiro-arsacide, è originaria dell’Iran orientale. I palazzi ghaznavidi prima e selgiuchidi poi vennero costruiti su questo modello ed è all’apice del periodo selgiuchide che questo stile superò i confini dell’Iran e si diffuse in Egitto, e da là altrove. Perciò, l’iwan si diffuse in Mesopotamia dal Khorasan nel periodo arsacide e poi, nel periodo islamico, gli iwan d’ingresso degli shabestan, dei mausolei, dei palazzi (ad esempio quello di Firuzabad), della grande madrasa Nezamiyeh, che ha uno stile particolare e straordinario, ebbero un ruolo di primo piano nell’architettura iraniana.
I muri del palazzo di Hatra erano rivestiti in pietra o sapientemente intonacati e poi ornati da colonne o mezze colonne a quattro facciate, decorate con immagini vegetali e altre forme. Non sappiamo niente invece delle decorazioni interne; tuttavia, Filostrato, che visse al tempo di Hatra, scrive: “C’è una sala con il soffitto incastonato di lapislazzulo azzurro, che insieme all’oro produce l’effetto di uno splendente cielo stellato. Colà siede il Re, quando deve giudicare”. Di un’altra sala scrive: “le immagini delle stelle, del sole e del re risplendono da un cielo di cristallo”. Questo mostra che i palazzi arsacidi erano del tutto orientali e iranici, anche se le loro facciate erano influenzate dalla Grecia.
Gli edifici religiosi di epoca arsacide sono o pienamente iranici – come a Badr-e Neshandeh, Shiz e Meidan-e naft – o imitazione di quelli greci – come a Kharheh, Kangavar e Nahavand, ed è probabile che esistessero anche degli edifici religiosi ibridi, che fondevano elementi dei due stili, anche se ancora non è stato trovato niente che confermi questa ipotesi. Una comparazione tra le superfici e le immagini dei palazzi arsacidi e quelle dei palazzi achemenidi chiarisce che le basi dei primi sono le stesse di quelli achemenidi trasformati da consistenti modifiche e, resi più semplici dal punto di vista della razionalità d’uso. Non è chiaro se questo sia un segno della decadenza dell’arte arsacide, oppure si sia trattato di un’operazione volontaria. Si sa che la statuaria iranica declinò nel periodo arsacide, gli scultori avendo perso la maestria e l’abilità di un tempo, ma questo non significa che l’arte iranica perdette il proprio spirito. L’arte achemenide era espressione di un potere imperiale assoluto, ed è possibile che un’architettura simile si modifichi secondo le necessità del periodo, ma non è possibile che l’imitazione abbia lasciato un così profondo segno nell’anima degli Iraniani. Come vediamo, una reale comunità tra l’arte iranica e quella greca non è mai esistita. Il declino dell’arte arsacide, prodotta a imitazione di quella greca, presto portò alla fioritura di un’arte puramente iranica.
È opportuno menzionare qui qualche tempio del fuoco arsacide, dato che sono stati studiati alcuni siti a ovest e sudovest del paese. Il primo è Badr-e Neshandeh, situato nelle terre ricche di petrolio a sud ovest, qualche chilometro a nord del tempio del fuoco di Masjed-e Soleyman e ad esso somigliante. La data dell’edificio è collocabile intorno al periodo arsacide. La struttura dei due templi è leggermente dissimile ma entrambi avevano la stessa destinazione d’uso. Il tempio di Masjed-e Soleyman è ai piedi di spalti che lo dominano, poiché nella zona ci sono gas naturali che escono dal terreno. Al contrario di Masjed-e Soleyman, Badr-e Neshandeh sorge su un punto rialzato, ed è composta da alcuni spalti e piattaforme di differente superficie. La piattaforma più alta è lunga 100 metri e larga 70, delimitata da solide mura. La struttura dei due edifici è la stessa ed è costruita con pietre tagliate, di diversa dimensione, disposte in modo casuale e appoggiate le une sopra le altre senza l’ausilio di malte. Sopra questa piattaforma, come a Masjed-e Soleyman, c’è una base quadrangolare con i lati lunghi 20 metri. A Masjed-e Soleyman, si vedono i resti della struttura che sorgeva sopra questa base e che poi venne spianata, mentre a Badr-e Neshandeh ci sono le rovine di un piccolo edificio a base quadrangolare costruito utilizzando pietra bianca. Due grandi scalinate, una delle quali si trova a ovest, lunghe rispettivamente 17 e 12 metri si collegano alla parte superiore della base. Nessuna delle due scalinate è disposta in asse con la grande piattaforma. L’edificio di Badr risale probabilmente al tempo di Mitridate I (170-138 a.C.), e venne utilizzata proprio nell’epoca arsacide, mentre il tempio di Masjed-e Soleyman fu utilizzato fino in epoca sasanide.
Recentemente è stato scoperto un altro sito elevato, 40 chilometri a nordest di Masjed-e Soleyman. L’edificio sorge sopra un colle, dominato dal monte Bilaveh; a sua volta, l’edificio domina una gola che conduce alla necropoli di Shami. L’edificio è costituito da una piattaforma rettangolare raggiunta da un’ampia scalinata. Sulla piattaforma è situata una base quadrangolare simile in tutto e per tutto a quella di Badre Neshandeh. Un altro edificio notevole è quello di Takht-e Soleyman, in Azerbaijan, che – come Masjed-e Soleyman – si ergeva in un punto che ha del mistero. Takht-e Soleyman è un tempio del fuoco (ateshkadeh) chiamato nei testi pahlavi “tempio del fuoco di Gonjak” e dai primi geografi dell’epoca islamica,“shir”. Si dice che accanto a questo tempio, in epoca arsacide, sorgesse una lago magico di cui nessuno era in grado di conoscere la profondità. Ya’qut sosteneva che l’acqua di sette fiumi sgorgasse di continuo dal lago, mettendo in movimento altrettanti mulini. Nel tempio, che acquisì grande importanza in epoca sasanide, veniva custodito il famoso fuoco di Azar Goshasb. Mohalhal scrive che il fuoco del tempio bruciava da 700 anni; nell’anno 620 d. C., venne distrutto per ordine di Eraclio, imperatore romano d’Oriente.
Masjed-e Soleyman sorge in un luogo ove filtra dal terreno del gas naturale; in epoca arsacide, venne edificata una piattaforma di 120 per 150 metri, poggiante alla montagna su un lato e collegata dall’altra parte al suolo da un’ampia scalinata alta dai 5 ai sei metri. Dalla parte opposta alla piattaforma, si ergeva un alto piedistallo dal lato di 30 metri, nella stessa posizione dell’edificio quadrangolare di Badr-e Neshandeh.

 

 La numismatica e le altre arti

Da quando si è diffusa l’abitudine di battere moneta, gli specialisti, in particolare in Iran, hanno sempre classificato la numismatica un’arte minore. Per quanto riguardo la numismatica arsacide, bisogna dire che le prime monete erano imitazioni di quelle greche, battute con iscrizioni in caratteri greci. È solo durante il regno di Fraate II che cominciarono a cambiare sia la forma che il tipo di scrittura, divenendo completamente arsacidi. L’alfabeto greco fu rimpiazzato da uno semitico. Nel pieno della dinastia arsacide, la lingua pahlavi divenne lingua ufficiale d’Iran; si tratta di un dialetto iranico derivato dalla lingua avestica e la sua comparsa ha coinciso con l’abbandono dell’alfabeto aramaico che era usato allora sulle monete. In questo periodo, le monete arsacidi persero tutte le caratteristiche ellenizzanti che avevano ancora mantenuto, e cominciarono a venire battute in argento. In questo periodo sono state battute pochissime monete d’oro e di queste ce ne sono giunte non più di due o tre esemplari. Verso la fine del periodo arsacide, il disegno sulle monete diventò molto semplice, quasi stilizzato, trasformandosi in una serie di punti e linee, difficilmente distinguibili. Ed è per questo che più tardi, in epoca sasanide, fa la sua ricomparsa il disegno in rilievo.
La più antica moneta arsacide è attribuita a Mitridate I, e vi è impressa l’immagine di una testa senza barba, altèra e coraggiosa, naso aquilino, sopracciglia sporgenti e occhi più grandi del normale, labbra curve e mento volitivo. Sulla testa si vede un copricapo morbido in feltro o pelle, con la punta piegata in avanti e due strascichi lasciati cadere sulle spalle, uno avanti e uno indietro. Il copricapo è simile a quello dei Saka, raffigurato nelle immagini achemenidi, e presenta anche alcune similitudini con quello dei Medi. Sull’altra faccia della moneta è raffigurato, in modo molto più stilizzato, un uomo seduto, vestito alla maniera meda e dotato di arco; da ambo i lati dell’uomo vi sono scritte in caratteri greci. Probabilmente si tratta dell’immagine di Arsace I, fondatore della dinastia, e figura simbolica per gli Arsacidi.
Le monete di Mitridate I presentano disegni assai realistici. Il naturalismo arsacide provocò un cambiamento nella stessa direzione anche nelle monete greco-seleucidi, che tuttavia si orientarono verso un naturalismo più contenuto. La maggior parte delle monete arsacidi giunte fino a noi appartengono all’epoca di Mitridate II (124-88 a.C. circa), cioè il grande sovrano che portò l’impero al suo apice. Le monete raffigurano Mitridate di profilo, con una lunga barba e un lungo copricapo ornato da file di perle e pietre preziose, disposte sul cappello come stelle. Più che le stelle, però, è la ninfea l’elemento artistico mutuato nell’arte arsacide dagli achemenidi. Da questo momento in poi, questo cappello sarà il segno distintivo degli Arsacidi, e sarà rappresentato sulle monete battute dalla maggior parte dei sovrani della dinastia e indossato anche dai governatori locali e dai satrapi, anch’essi rappresentati sulle monete. Sull’altra faccia della moneta, c’è più o meno la medesima immagine simbolica di Arsace sui cui quattro lati appare questa frase: “Io, Arsace, re dei re, giusto, benevolo e amico della Grecia”. Dopo questo periodo il disegno delle monete comincia gradualmente a semplificarsi. Alcune di queste monete, tuttavia, sono ispirate a principi estetici particolari, e continuano la propria evoluzione, come una moneta del tempo di Faarte II, in cui il re è ritratto assiso sul trono con un’aquila in mano e il viso rivolto a sinistra, mentre impugna lo scettro regale con l’altra mano. Dietro al sovrano, c’è una donna in abiti greci, in piedi, che viene identificata per il suo lungo scettro e la corona in una dea di una città greca, ritratta mentre pone sul capo del sovrano una ghirlanda. Su altre monete di Faarte e di altri re e governatori arsacidi sono rappresentate scene di importanti avvenimenti del periodo. Altre monete, questa volta dell’epoca di Faarte III, raffigurano frontalmente il volto del sovrano. Si tratta, in questi casi, di evoluzioni del disegno numismatico che, sebbene non presenti su monete di altri re, si ritrovano nei bassorilievi e nelle statue.
La corona o copricapo dei re arsacidi sono rappresentati in modo piuttosto omogeneo nel corso del tempo. Normalmente è un copricapo morbido con nastri attorno alla testa, costituito di solito da quattro sottili strisce, con una coda che cade dietro la testa ad anello o lasciata cadere aperta sulle spalle. In alcune monete, come in una di Cosroe l’Arsacide (109-129) la coda posteriore del cappello è una striscia arricciata verso l’alto. L’immagine di tutte le monete arsacidi in cui il soggetto è di profilo, è rivolta a sinistra, tranne quelle più tarde di Mitridate I, il cui volto è rivolto a sinistra. In tre monete, Artabano III (10-40), Mitridate III (57-55 a.C. circa) e Vologese IV (147-191) sono rappresentati di fronte. In esse, in particolare in quella di Vologese, i capelli scendono in una massa di riccioli ai due lati del volto. Si tratta di un’acconciatura che verrà ripresa dai Sasanidi, i cui capelli scendono sulle spalle sui due lati. Sul retro di tutte le monete arsacidi c’è l’immagine di Arsace I nell’atto di benedire il fuoco o di giudicare, al centro di un riquadro, ai cui lati c’è il nome e la legenda della moneta,. Un’altra eccezione è costituita da una moneta di Partamasparte (III sec. a. C.), rappresentato con il volto coperto da un copricapo di feltro, con i due margini che scendono coprendo le orecchie e sul retro l’immagine incisa di un tempio, alla cui sinistra c’è Arsace in piedi con un arco, e sopra un disco alato posto sotto una stella. Il disco alato è molto probabilmente un elemento ereditato dagli Achemenidi.
Sempre risalenti a questo periodo, sono giunti a noi due bei sigilli su uno dei quali c’è la stessa immagine del retro di quest’ultima moneta (il tempio e Arsace), mentre sull’altro è rappresentata la scena di due persone che combattono, una delle quali è accompagnata da un cane. L’immagine della moneta citata sopra (quella che probabilmente ritrae Mitridate I o uni dei suoi satrapi), è rivolta verso destra. Intorno alle immagini delle monete l’ambiente è di solito molto semplice; alcune monete sono riempite di file di perle, completamente (quella di Cosroe), o parzialmente.
È necessario anche parlare della pittura, della scultura, della miniatura e delle arti minori arsacidi. Sembra che una delle arti importanti dell’epoca arsacide fosse la pittura; tuttavia, a causa del passare delle tempo e forse anche del disinteresse mostrato dai Sasanidi nei confronti della conservazione dei resti partici, poco è rimasto della pittura murale di quel periodo. Se si acconsente a riconoscere le pitture di Kuh-e Khajeh, nel Sistan, come arsacidi, e se si prende in considerazione lo studio di quelle pitture effettuato da Herzfeld, si vede chiaramente che in esse emerge uno stile greco romano privo di sostanza e vigore, inconsistente. La disposizione compositiva, lo stile nella rappresentazione degli occhi, visti frontalmente, e i colori relativamente accesi rappresentano sia un’eredità orientale, sia una specificità arsacide. Tali tratti sono condivisi anche dalle pitture murali di Doura Europos, nella regione dell’Alto Eufrate. In particolare, due dipinti che ritraggono un cacciatore e un uomo a cavallo mentre caccia con l’arco animali come leoni, cervi, gazzelle. Il volto e il torso del cavaliere sono raffigurati frontalmente. Si tratta di un ritorno a una tradizione formale vicino orientale, in particolare mesopotamica, che tende a restituire la profondità del disegno. In questa pittura, la profondità è resa dal movimento degli animali su linee oblique. Questo, con tutta probabilità, fu il modello delle pitture venatorie sasanidi. Un tradizione che con l’eliminazione del realismo attraversa i pesanti strati del tempo e giunge nella forma della ritrattistica al periodo islamico. Si dice che in questo periodo sia stato prodotto un libro illustrato di poesie sillabiche per bambini (probabilmente i bambini della corte) intitolato L’albero di Asurik, di cui tuttavia non è rimasto alcunché.
Le pitture di Kuh-e Khajeh, dal punto di vista del colore e della composizione degli spazi positivi e negativi sono estremamente interessanti. In esse si notano dei sostanziali cambiamenti nell’arte greco-romana e un positivo movimento verso l’iranicità. La pittura nota come “dei tre dèi” rappresenta, dal punto di vista dei contenuti religiosi e artistici, una nuova esperienza nell’arte arsacide, in quanto per la prima volta si vedono diversi soggetti raggruppati in un’opera, e si è tentato di dare profondità allo spazio disponendo le figure una dietro l’altra, senza una reale conoscenza della prospettiva. In un’altra pittura, che raffigura il re e la regina, si è cercato di dare al corpo della regina un movimento particolare, manifestando la grazia femminile in modo completo. Nell’immagine il viso del re è ritratto di profilo, il corpo frontalmente, il che rappresenta un ritorno alla tradizione orientale e iranica. Un’altra particolarità della pittura, allo stesso tempo iranica e con influenze greco-romane, è la rappresentazione della “donna”. In epoca achemenide, la donna non compariva mai, mentre si poteva trovare nelle monete ellenistiche seleucidi. La comparsa della donna in epoca arsacide e poi sasanide è il risultato di influenze artistiche occidentali. I colori utilizzati sono rosso, blu, bianco, viola e una sorta di contorno nero intorno ad alcuni elementi della composizione, che è assai evidente nel disegno della testa di un individuo partico. Gli esperti occidentali, abituati al realismo greco-romano e poi a quello gotico e rinascimentale, su fino al IX secolo, hanno interpretato l’evoluzione dell’arte iranica dal realismo a un’arte piana e sovra-realistica come incapacità degli artisti arsacidi e sasanidi a rappresentare la realtà, laddove invece questa evoluzione va in direzioni molto più complicate e difficili rispetto al realismo: dare profondità per mezzo di contorni e colori pieni è molto più difficile che farlo aggiungendo ombra e volume. Gli orientalisti hanno sottolineato l’incapacità degli artisti iraniani a creare movimento usando volumi e profondità nella pittura e anche nel bassorilievo, stabilendo che essi sono arrivati in ritardo, solo nel XX secolo, a padroneggiare questa capacità, quando invece questo cambiamento era avvennuto circa 2000 anni prima.
A Doura Europos, sulle rive dell’Eufrate, l’arte partica si manifestò con maggiore forza che a Kuh-e Khajeh. Nel tempio edificato in onore degli dèi di Palmira, si trovano affreschi religiosi con caratteristiche iraniche ancora più rilevanti di quelle che si riscontrano a Kuh-e Khajeh. In uno di questi, noto come “Il rituale della famiglia Kunun”, si vedono due sacerdoti, uno dei quali brucia incenso nel fuoco mentre l’altro attende immobile accanto a un terzo personaggio, che porta gli ex voto per il tempio. Le immagini sono frontali con abiti a pieghe pieghe geometriche simili a quelle degli abiti achemenidi. I colori utilizzati sono il rosso, l’azzurro, il bianco e il marrone, mentre tutti gli elementi della composizione sono tratteggiati con contorni neri precisi e regolari. Questa tradizione riemergerà in epoca islamica. Il tentativo di dare volume a un disegno piatto per mezzo del contorno, non deriva dall’incapacità di rendere realistico il disegno come suggerito dai critici occidentali, ma è piuttosto una caratteristica nazionale iranica, che è rintracciabile ancor prima degli Achemenidi nel Luristan.
Su un disegno di epoca arsacide rimasto su un muro di Assur, sono utilizzate delle linee che mostrano chiaramente come gli artisti iraniani dipingevano secondo rigorosi criteri artistico-intellettuali. Nel disegno, l’artista individua prima l’asse verticale, che ha una grande rilevanza nelle opere religiose, e poi esegue la composizione bilanciando gli elementi sulla base dell’asse in modo non speculare dalle sue due parti. Per instaurare un equilibrio tra arte e movimento, l’artista traccia una linea parallela alla mano del sacerdote e per accentuare il senso del movimento traccia un’altra linea in direzione opposta, sull’altra mano. La collana, la cintura e il nastro attorno all’abito sacerdotale sono ripetizioni che servono a dare ritmo ed armonia, e sulla banda dei pantaloni, i movimenti completano la composizione eliminando la monotonia.
Nelle immagini del tempio di Mitra a Doura Europos, tratti tipicamente iranici sono presenti in quasi tutti i dipinti relativi a scene di caccia: il cavaliere con il volto di fronte e il corpo di profilo; l’abito ricamato del cacciatore, ritratto in mezzobusto sopra dei pantaloni che si stringono molto verso il basso. Il cavaliere, con i piedi puntati verso il terreno, la bardatura del cavallo a pendagli tondi metallici, il panorama simbolico, individuabile solo grazie a qualche pianta disposta singolarmente qua e la, sono tutte caratteristiche dell’arte iranica. Se si osservano gli onagri che fuggono, apparirà chiara la loro correlazione con le raffigurazioni del cavallo nell’arte iraniana dei secoli successivi.
Nelle case di Doura Europos sono presenti altre rappresentazioni murali, sotto forma di disegni o di schizzi. Sui muri sono dipinte scene belliche o di caccia la cui analisi testimonia un importante stilo pittorico partico in via di elaborazione. La discussione di queste immagini comunque va oltre gli scopi di questo volume.

 

 Il bassorilievo e la statuaria

Se la pittura murale arsacide è degna della massima attenzione, lo stesso non può dirsi per il bassorilievo. La carenza di armonia compositiva e la scarsa raffinatezza delle immagini, ritratte di solito frontalmente (simili ad alcune immagini tardo-elamitiche), mostrano il disinteresse degli artisti nei confronti della scultura in pietra. Le più antiche immagini su pietra arsacidi, che risalgono al tempo di Mitridate II, furono scolpite nella parte bassa delle rocce di Bisotun. È forse per il fatto che Dario scolpì proprio su quelle rocce la propria immagine e i propri documenti che Mitridate, volendo rivendicare quel lignaggio, ordinò di scolpire nello stesso luogo. Nel XIX secolo, sopra queste immagini, venne incisa un’iscrizione; tuttavia le immagini vennero conservate grazie ad alcuni disegni fatti sul posto, nel secolo precedente, da un viaggiatore europeo. In esse, quattro notabili si recano fare voto di fedeltà e sottomissione a Mitridate II. Un bassorilievo con il re arsacide si trova anche al di sotto di uno dei rilievi di Persepoli, ispirata alle immagini del posto. Il re arsacide fece però aggiungere anche un’iscrizione in greco con il nome dei soggetti rappresentati.
Sulla stessa roccia di Bisotun, accanto a Mitridate II, re Goudarz (Gotarze) II in occasione della sua vittoria contro uno dei pretendenti al trono appoggiato dai Romani, fece scolpire la propria immagine sotto un’iscrizione in greco. Sopra di lui, un angelo alato gli pone la corona sul capo. A parte quest’angelo, il resto del bassorilievo è del tutto iranico: il re a cavallo atterra il rivale, mentre un notabile del paese è a pronto ai suoi ordini. Sempre a Bisotun, su di una quinta di pietra staccata dalla montagna, è ritratto un principe partico che brucia incenso profumato, raffigurato frontalmente. In uno dei bassorilievi di Tang-e Saruk, su di un’alta parete ai piedi degli Zagros, nell’attuale Khuzestan, è ritratto un principe nell’atto di donare un anello ai suoi sottoposti. Il principe è seduto alla persiana, appoggiato a un cuscino. La figura è frontale, di fronte a lui ci sono alcune persone, con le lance sull’attenti; altri sono dietro di lui. Poco lontano dalla riunione, un dio incorona il principe e di seguito si vede una scena di guerra con protagonista un re arsacide a cavallo. Il cavallo e il cavaliere, fissato mentre con l’armatura indosso e in mano una lancia acuminata si scaglia contro il nemico, sono ritratti come sui muri delle abitazioni di Doura Europos. In questa rappresentazione si rileva un’evoluzione fondamentale, cioè la tendenza alla spiegazione degli eventi.
In un altro bassorilievo di Tang-e Saruk, un re, o un principe a cavallo, è ritratto nell’atto di uccidere un leone. In altre scene, la stessa persona, più imponente del resto dei personaggi, è rappresentata in piedi, mentre fa sedere sul trono un principe; poi, ancora, con un diadema, in piedi e benedicente di fronte a un altare sacrificale conico. Il seguito del re è disposto lungo due linee sovrapposte. Molto probabilmente, come afferma Henning, le immagini risalgono all’ultimo quarto del II secolo. In una scena scoperta di recente (meno di mezzo secolo fa) a Susa, Artabano V, seduto, consegna l’anello del potere al governatore della città, in piedi; entrambi sono scolpiti frontalmente, e la data incisa in calce all’opera corrisponde al 215 d. C. L’opera presenta diverse innovazioni: lo svuotamento delle parti all’esterno dell’immagine allo scopo di farla risaltare, mentre in realtà è piatta; l’opera è eseguita in gran parte per mezzo di linee in negativo e positivo impresse su una superficie in positivo, una novità che purtroppo non ebbe seguito.
Se consideriamo il primo secolo di dominio arsacide come un periodo di passaggio dall’arte ellenizzante a uno stile iranico, e parliamo di arte partica o arsacide dal momento in cui Mitridate I, intorno al 170 a.C., trasformò il suo regno in una potenza di grandi proporzioni, dobbiamo considerare alla stessa stregua come arsacide anche ciò che fu creato a Nemrud Dagh, in Asia Minore, dalle parti del santuario di Antioco I di Commagene (62-36 a.C.). Antioco, la cui madre era una principessa achemenide, si considerava un achemenide, anche se crebbe immerso nella cultura greca. A Nemrud Dagh cercò di edificare un tempio in cui dèi greci e iranici potessero essere adorati insieme, tanto che lascò un’inscrizione che associava Zeuz ad Ahura Mazda, Helios a Mithra e Eracle a Verethragna. Vediamo inoltre, dai bassorilievi, che anche gli abiti e i copricapo degli dèi sono di taglio arsacide: quello che indossa Helios-Mitra, infatti, non è altro che un cappello arsacide. I volti, le acconciature e i tratti del volto, invece, sono del tutto greci (sopracciglia non arcuate e menti spessi). Anche nell’immagine in cui Antioco è ritratto insieme a Dario, il re achemenide è raffigurato con caratteristiche greche. Nella rappresentazione in cui Helios e Mitra sono uno di fronte all’altro, insieme ad Antioco, il dio greco indossa il tipic, lungo cappello conico degli Arsacidi e Antioco la corona merlata partica. Entrambi sono vestiti e disposti in modo tipicamente “iranico”.
Considerando che il sito di Nimrud Dagh fu edificato tra il 69 e il 24, esso è contemporaneo dei regni di Mitridate III e Vologese I. Sebbene Antioco fosse greco e al suo servizio avesse numerosi artisti greci, il peso dell’arte partica su Nimrud Dagh è preponderante rispetto a quello dell’arte greca, il che ci consente di affermare senza tema di smentita che si tratti di un sito partico, per quanto riguarda la statuaria ma soprattutto nei bassorilievi. Gli artefici di queste immagini si possono dividere in due categorie: coloro che facevano statue greche e quelli invece che facevano immagini di divinità iraniche. In entrambi i casi, l’influenza estetica degli elementi iranici è preponderante e chiara. Ad esempio, nella rappresentazione di Helios-Mitra e Antioco, il dio del sole ha un’aureola raggiante sulla testa, che è un attributo mitraico, e un fascio di ramoscelli (il barsom), simbolo della tradizione iranica, così come iranici sono le armi e le vesti che indossa. Ghirshman ritiene che “l’arte di Nimrud Dagh, sebbene attenta ad alcune regole dell’arte greca e legato ai princìpi dell’arte achemenide, mostra un nuovo corso proveniente dal mondo arsacide, che lascia in questa regione una significativa influenza iranica.”
L’influenza di cui parla Ghirshman si rivela immediatamente anche a Palmira, centro politico ed economico entrato a far parte del mondo romano dall’inizio dell’era cristiana fino alla sua caduta, nel 272, che agì come ponte tra la civiltà e la cultura arsacide e quella romana. Qui, l’arte arsacide si disvela in particolare nel bassorilievo mentre la statuaria è greco-romana. Nell’arte del bassorilievo e della scultura di Palmira sono utilizzate molto due tecniche che si trovano tipicamente nell’arte partica, cioè la prospettiva frontale e la simmetria “asimmetrica”. A Palmira è stato trovato un mezzobusto di Vologese III che fu probabilmente realizzato da un intagliatore di pietre. La profonda influenza dell’arte partica appare evidente anche nel bassorilievo di tre divinità di Palmira (Kalibul, Baal Shamin e Malik Baal) che, per quanto si sia tentato di donar loro delle fattezze e dei lineamenti greci, hanno abiti, armi, e attributi (come l’aureola) chiaramente iranici. In un bassorilievo dell’anno 191, un drappello di personaggi è ritratto in piedi in posizione frontale, con lunghi abiti di tipo inequivocabilmente arsacide, nell’atto di bruciare dell’incenso sul fuoco; l’immagine è un chiaro tentativo di imitare lo stile achemenide. Osservando i bassorilievi della tomba ipogea di Antatan, edificata nel 220, o un bassorilievo di due soldati conservato al Louvre, si può azzardare l’ipotesi che un’arte in tutto e per tutto arsacide si sia sviluppata al di fuori dei confini del loro territorio. Pieghe, ricami e ornamenti delle vesti, fino addirittura al modo di sedere e appoggiarsi ai cuscini, sono tutti elementi caratteristicamente arsacidi.
Si ritrovano anche molte statue di donna con velo in testa, belletti e ornamenti iranici, che a dispetto dello sforzo di dar loro un aspetto bizantino, sono arsacidi in tutto e per tutto. Da esse si può dedurre la profonda influenza dei parti e poi dei Sasanidi sull’arte di Bisanzio. Oltre alla scultura di Palmira, sono stati rinvenuti bassorilievi di stile arsacide anche a Hatra (l’odierna al-Hadr), aventi lineamenti e altri particolari ispirati all’arte partica, tanto che si può escludere in essi qualsiasi tipo di influenza bizantina. Le statue dei re e delle principesse di Hatra, financo le immagini delle tre divinità femminili che cavalcano un leone ivi rinvenute, furono realizzate da artisti partici. L’esercito belligerante che è conservato nel museo di Mosul ne è un esempio eccellente: le pieghe dei vestiti, in particolare dei pantaloni, che vanno raccogliendosi dal basso verso l’alto, confermano la loro provenienza partica.
A Susa è stato trovato un gran numero di statuette di cavalieri arsacidi che oggi sono conservate in parte a Tehran e in parte al Louvre. Esiste inoltre un certo numero di statue di bronzo del periodo arsacide, un po’ più grandi della grandezza naturale, solo alcune delle qualici sono pervenute integre. Questi reperti provengono dalla necropoli di Shami, nella zona di Mal Amir, nel territorio montuoso di Alyamas rimasto per un certo periodo sotto il controllo degli arsacidi. Una di queste statue raffigura un arsacide con spalle ampie e forti, in posizione immobile; indossa abiti iranici e sta in piedi di fronte all’osservatore, le gambe leggermente separate, infilate in stivali di feltro o di pelle, ben piantate per terra, coperte da larghi e comodi pantaloni. Il corpo in pietra del soggetto è proporzionato e il cappotto che indossa è lungo e dotato di pieghe lunghe e dritte che scendono sui fianchi fin sotto le ginocchia, guidando lo sguardo lungo una linea obliqua fino al petto. Una cintura cinge i fianchi possenti. Sembra quasi di poter affermare che gli abiti indossati dai Curdi di oggi abbiano la loro origine in questo tipo di veste arsacide. La testa della statua è stato realizzato separatamente ed è leggermente più piccolo rispetto al corpo. Sembra inoltre che la testa sia stata abbozzata in uno stampo, mentre gli occhi, le sopracciglia, le labbra, i baffi, la corta barba e la frangia siano stati scolpiti in un secondo momento. Dal punto di vista storico, la statua è anteriore rispetto a quella, mutila, a quella di epoca kushana (trovata a Sorkh Katl in Afghanistan), dato che in questa si trova un tratto più morbido e una maggiore perfezione nella raffigurazione frontale, anche rispetto a quelle di Palmira a Hatra. Lo stile innovativo di questa statua non è stato ripetuto nelle altre opere. Per questo, si può attribuirla alla prima metà del II secolo o alla fine del I d. C. In questa figura regale stilizzata e semplificata, non c’è niente che possa essere paragonato alla morbidezza dei rilievi della testa seleucide che è stata trovata nello stesso luogo e che appartiene al governatore greco del luogo. Allo stesso modo, lo stile che si trova nella statua non ha niente a che vedere con quello dei frammenti di altre statue trovate nella medesima necropoli di Shami.
Nel campo delle arti minori arsacidi è necessario menzionare un recipiente che, secondo la tradizione antico-iranica, è decorato con forme animali. La maggior parte di queste forme rappresentano pantere, leopardi e altri felini con il corpo disteso o piegato; inoltre, anche delle piccole statue di terracotta che riproducono lo stile achemenide, senza però averne la perfezione, la maturità e l’originalità. Sono state trovate inoltre alcune placche di avorio che presentano arcieri e altre figure, raffigurate frontalmente o di profilo, molto simili, nelle vesti e nelle acconciature, alle figure di Palmira e di Dura Europos. Sono state anche ritrovate delle statuette di donna senza vestiti realizzate in osso, che sono imitazioni di esemplari preistorici di questa zona, alcune delle quali sono molto raffinate e altre di poco valore e di scarsa fattura.
In epoca arsacide non furono prodotti molti sigilli. Molti di quelli che erano stati attribuiti agli arsacidi sono in realtà sasanidi, mentre in quelli rinvenuti a Nasa, è in genere prevalente la tradizione seleucide. La maggior parte degli esseri mitologici in essi ritratti riproducono lo stile antico del vicino oriente oppure si ispirano a forme greche, e sono prevedibilmente di non grande valore e non meritano troppo interesse o analisi in questa sede.
Un elemento interessante della tradizione arsacide è lo sviluppo di arti minori e delle arti tessili. Queste ultime, che in epoca achemenide non avevano conosciuto una particolare evoluzione, fiorirono in epoca arsacide anche grazie allo stimolo rappresentato dai rapporti commerciali istituitisi con i porti siriaci e fenici. Filostrato, ad esempio, parla così della tessitura a filo d’oro e dei tessuti ornati d’argento: “Le case e i portali, invece di essere decorate con la pittura, sono addobbate con tessuti ricamati d’oro e trapuntati di placche d’argento e disegni dorati e luccicanti. I temi sono per lo più presi in prestito alla mitologia greca e a episodi della vita di Andromeda, Amione e Orfeo. Nelle scene, Datis distrugge Nagasus con armamenti pesanti, Atafronte cinge d’assedio Aritri, e Khashayarsha fa prigionieri i suoi nemici . Altrove, si vede la conquista di Atene, la battaglia delle Termopili, ed episodi delle guerre dei Medi, un fiume in secca che aveva dissetato il loro esercito assetato e il ponte che fu fatto sul mare”. Tutto ciò, insieme alle immagini di Kuh-e Khajeh, i soffitti intarsiati di pietre preziose degli ultimi re arsacidi, stelle e pianeti di pietre splendenti incastonati nei soffitti di lapislazzulo e le statue e gli altri reperti recuperati nelle necropoli di Shami, sono tutti esempi dell’arte arsacide giunti fino a noi sia fisicamente, sia per mezzo dei racconti dei cronisti.
Prima di chiudere il discorso sugli Arsacidi, è necessario affrontare brevemente il tema della pittura vascolare, rinvenuta su reperti che provengono probabilmente dalla necropoli di Shami. Il vaso ha una decorazione dipinta in tre parti: il corpo del vaso e due margini, e presenta numerose particolarità. Nella parte inferiore del vaso emergono due teste di leone, che richiamano le teste di leone dei recipienti d’oro di Kalardasht e di Hasanlu. Le immagini sul corpo del vaso hanno una simmetria particolare: le figure a spirale di serpente si trasformano in elementi ornamentali vegetali, sui quali, come nella tradizione dei bronzi del Luristan e della Mesopotamia, si posano due animali (in questo caso due uccelli). Il motivo spiroidale, prima ancora di essere iranico, è bizantino; ma iranico è lo stile delle teste di leone e degli uccelli. Intorno al collo del vaso sono presenti due fasce decorate con temi di pascoli e animali al laccio e addomesticamento di cavalli. Questi temi, a differenza di quelli del corpo del vaso che sono del tutto ornamentali, sono estremamente realistici. Il vaso non è ancora stato datato con precisione.
Quando i re arsacidi si presentarono, vuoi spontaneamente vuoi per ragioni di sicurezza nazionale, come “amici della Grecia”, quei persiani che non reagirono positivamente a questo atteggiamento, istituirono degli ordini specifici in alcuni territori, installando dei governi locali. Tra questi, i governi del Fars e di Kerman, in mano a un certo Sasan, un persiano che si considerava del lignaggio degli Achemenidi. Nel tempo di Artabano V, ultimo sovrano arsacide, Ardashir, che governava questa parte meridionale dell’altipiano, divenne tanto potente che l’arsacide, per evitare grattacapi su quel confine, gli diede in sposa sua figlia. Ciononostante, Ardashir si confrontò in guerra con Artabano e, dopo averlo sconfitto e ucciso, nel 222, entrò a Ctesifonte e si proclamò re d’Iran.



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