La Storia dell’arte dell’Iran

PRIMA PARTE

L’ARTE DELL’IRAN PREISLAMICO

L’Elam e il rinnovamento della sua grandezza

Per lunghi secoli, mentre Babilonia si dotava di istituti politici comuni con le fiorenti comunità di Palestina e del Levante mediterraneo, l’Elam rimase di fatto tagliato fuori dal mondo esterno. Nei secoli XIII e XII a. C., tuttavia, mentre la fortuna dei babilonesi cominciava a declinare offrendo la possibilità di una rinascita elamitica e una restaurazione della grandezza dell’Elam, una nuova dinastia si fece carico del suo destino. I prìncipi elamitici scrivevano i loro testi in lingua elamitica, in un cuneiforme semplificato e adattato alla lingua. Questa superiorità linguistica, ancora priva di una letteratura vera e propria, determinò una specie di patriottismo le cui radici risalivano alle tradizioni etniche. La civiltà elamitica di questo periodo aveva una stretta parentela con la civiltà hurrita; tra le affinità, il gusto per la decorazione a smalto, del tipo di quelle che si vedono a Nuzi, e anche i riti funebri dei prìncipi, che erano gli unici a essere inumati (ci si chiede comunque se questi principi erano davvero imparentati con gli Hurriti che abitavano a nord dell’altopiano). Essi cercarono di consolidare le proprie istituzioni imperiali con gli altri governi, chiamando questo processo “sviluppo” o “ingrandimento”. Questo tipo di rapporti venne istituito con l’Enshan, nell’attuale Fars, e con l’isola di Bushehr, nel Golfo Persico.

Per raggiungere questi obiettivi, Entash-Napirisha (1275-1240 a. C.), fondò una nuova città nell’attuale Khuzestan, nella regione di Chogha Zanbil, non lontano da Susa. Gli abitanti di tutte le città della regione potevano venerare e adorare i propri dèi, nei templi che sorgevano intorno al tempio principale, dedicato al dio di Susa Inshushinak e al dio della città di Enshan, Napirisha. In principio, l’edificio era costituito da una base quadrata con al centro un giardino. Quando il sovrano fu certo del futuro del suo regno, decise di dare nuova grandezza al tempio, trasformandolo in una torre a più piani. La trasformazione ebbe luogo per mezzo dell’aggiunta di quattro volumi pieni, uno all’interno dell’altro, collegati da una scala verticale nascosta da volte che conduceva all’ultimo piano, che era il tempio vero e proprio. Il complesso era decorato con mattoni e sfere smaltate. L’edificio era alto cinquantadue metri, metà cioè del lato della sua base e il suo profilo era più slanciato di quello della ziggurat sumerica classica. Dell’edificio originario rimaneva il tempio posto all’interno del primo livello; un muro delimitava questo primo complesso, mentre un altro muro descriveva uno spazio più ampio, parte del quale ospitava altri templi dedicati ai coniugi delle varie divinità nazionali. Il salone sacro era una costruzione cubica separata dagli altri templi e situato al centro di un giardino. Era questa una tradizione sumerica, adottata da tempo dalle popolazioni semitiche: la Ka’ba, alla Mecca, è un esempio di questa stessa tradizione. Un terzo muro di cinta delimitava invece la città stessa, nella quale non vennero mai costruite abitazioni. Nelle vicinanze della grande porta d’ingresso, denominata “Porta della Giustizia”, in quanto il re usava sedere là per amministrare la giustizia, sorgevano alcuni palazzi intorno a uno, due o più giardini. Essi non erano edificati sulla base di progetti particolari o disegni specifici, caratteristica che induce a pensare che fossero destinati alla residenza dei prìncipi. Uno di questi palazzi fu utilizzato per la sepoltura di un principe e della sua famiglia.

Questi riti, presenti anche presso gli Hurriti e gli Ittiti (altre popolazioni ariane), avevano probabilmente a che fare anche con la sacralizzazione del fuoco, che si svolgeva in un tempio molto vicino a palazzo, completamente diverso dagli altri templi, il cui altare era in una stanza scoperta e senza soffitto. Questi riti, in uso presso i popoli Iranici prima ancora di essere introdotti nell’Elam, hanno un’importanza particolare, poiché lasciano presumere che è forse per mezzo degli Elamiti o di qualche popolo migrante che furono introdotti presso gli Iranici.

Il fondatore della città è rappresentato sulla pietra basale di fronte al suo dio, insieme alla sacerdotessa Napirasu e al suo sposo. Di Napirasu esiste anche una statua a grandezza naturale in bronzo, che testimonia dell’abilità raggiunta nell’Elam nella fusione dei metalli, e contemporaneamente dimostra l’elevato status della donna elamita.

L’apice del potere elamita venne raggiunto nel dodicesimo secolo, quando un re guerriero, Shutruk-Nahunte, prese in mano le redini dello stato e i suoi due figli Kutir-Nahunte e Shilhak-Inshushinak, tenaci come il padre, ne governarono il territorio. Questi prìncipi devastarono Babilonia, mettendo fine al governo dei Cassiti sulla città. Invece di annientare completamente la città, essi portarono a Susa un ricco bottino di guerra, che includeva numerose opere d’arte; capolavori dell’arte mesopotamica furono portati nei templi edificati all’interno della cittadella di Susa: pietre basali dei templi, statue dei sovrani accadici, alcune copie del codice di Hammurabi, una serie di incisioni ufficiali cassitiche contenenti elenchi di offerte dei sovrani ai templi, e molte altre meraviglie. Oltre al codice, una di queste meraviglie rappresenta un re che adora il suo dio; il volto del re era stato cancellato, e sostituito con quello del sovrano regnante al momento, un volto adirato, duro e sicuramente non degno di lode. Questa immagine mostra anche l’asprezza che caratterizzava la lingua elamitica e illustra una parte della loro civiltà. Ciononostante, quest’arte è in patente contraddizione con la precedente, in cui il volto del re era ridente, e i tratti mostrano una natura gentile, e una nobiltà e originalità sorprendenti.

Il re e i due suoi figli costruirono un tempio rivestito in mattoni smaltati di verde e giallo. La padronanza della tecnica di smaltatura non fu facile né rapida; i disegni sul rivestimento smaltato mostrano una coppia regale, che ricorda la dinastia.

I due figli di Shutruk-Nahunte construirono un altro tempio che invece non aveva alcun rivestimento smaltato. Questo tempio riproduce un bosco sacro e mitologico, difeso da due esseri mezzo uomo e mezzo bue a fianco di una dea benedicente. Un simile bosco doveva esistere davvero nei dintorni di Susa e gli alberi che lo popolavano sono visibili sulla riproduzione in miniatura bronzea di un tempio, fabbricata per l’adorazione del sole.

Tutti i re dell’Elam, come Untash-Parisha, furono inumati in stanze sotterranee nelle vicinanze del tempio di Inshushinak. Queste tombe ci hanno permesso di trovare manufatti artistici in gran quantità e di fattura raffinata, alcuni dei quali prodotti con sorprendente abilità tecnica e di una varietà fuori dal comune. Le statuette di argento e oro svelano il grande spessore dell’arte elamita; alcune di esse hanno legami con l’umanismo sumerico, mentre altri mostrano la gioiosità dell’animo elamitico. Alcune dei manufatti artistici d’oro e di bronzo dell’Elam sono molto simili a manufatti prodotti nell’Iran centrale: ci si chiede se queste somiglianze sono la prova dell’influenza dell’Elam sull’Iran o se sia stato l’Elam a prenderle come riferimento. Si può rispondere che le opere elamitiche sono prodotte con tale perizia e abilità tecnica che fu senza dubbio l’Iran a imitare l’Elam; e tuttavia, nell’imitazione, gli artisti iraniani cercarono di apportare modifiche e innovazioni che raggiunsero la perfezione sette secoli più tardi nell’arte achemenide.



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