La diffusione dell’Islam e il Miraj
Dopo la morte di Abu Talib e Khadija, e la conseguente fine della loro influenza protettiva, i meccani ebbero a questo punto mano libera e ricominciarono le loro persecuzioni. Queste due morti, proprio nel momento in cui il Profeta aveva più bisogno di loro, lasciarono sul suo animo una profonda impressione. Egli era così rattristato per la loro scomparsa che chiamò quell’anno Amul-Huzn (l’Anno del Dolore). La portata e l’importanza del loro sostegno possono essere valutate dal fatto che Dio ha considerato Abu Talib e Khadijah come due tra i Suoi più alti favori e grazie concesse al Profeta. Dio dice nella surah XCIII:
“Non ti ha trovato orfano e ti ha dato rifugio? Non ti ha trovato smarrito e ti ha dato la guida? Non ti ha trovato povero e ti ha arricchito? [XCIII, 68]”.
Tutti i commentatori del Corano sostengono che il primo ayat significa: «Non ti ha trovato orfano e ti ha dato rifugio con Abu Talib?»; e l’ultimo ayat significa: «Non ti ha trovato povero e ti ha arricchito con Khadijah?». Se guardiamo ai primi tempi dell’Islam, senza la prestigiosa influenza di Abu Talib non riusciremmo a comprendere come la vita del Profeta possa essere stata preservata. E se leviamo la ricchezza di Khadijah, è difficile pensare come i musulmani poveri potessero sostentarsi, e come le due migrazioni in Abissinia potessero essere state finanziate.
Una volta Abu Talib chiese ad Alì: «Qual è questa religione che stai seguendo?». E Alì rispose: «Credo in Dio e nel Suo messaggero, e prego con lui». Abu Talib disse: «Sicuramente Muhammad non può che invitarci a una cosa buona. Non lasciare mai Muhammad: seguilo fedelmente e sinceramente». Una volta egli vide il Profeta pregare con Khadijah e Alì e disse quindi a Ja’far, che era con lui, disse di unirsi a loro nella preghiera.
Fu la politica di Abu Talib a tenere i Quraish in ansia circa la sua vera fede. Se avesse annunciato di aver accettato la religione di Muhammad, la sua posizione di rispettato capo della tribù sarebbe stata compromessa e, inoltre, non avrebbe potuto estendere la sua protezione al Profeta. Quindi, mentre dichiarò sempre la sua ferma convinzione che Muhammad non potesse dire altro che la verità, esortando i suoi figli e fratelli a seguire la religione di Muhammad, egli si astenne costantemente dal dichiarare apertamente che egli stesso era un musulmano. In tal modo riuscì a mantenere la sua posizione nella gerarchia dei Quraish e a proteggere il Profeta attraverso questa sua grande influenza. Anche sul letto di morte, mentre c’era ancora possibilità che potesse riprendersi, molto diplomaticamente annunciò la sua fede in un modo tale che i Quraish non potessero comprendere cosa intendeva dire. Quando essi gli chiesero quale religione egli stava seguendo, egli rispose: «La religione dei miei antenati». Ebbene, dal momento che è stato precedentemente spiegato che Abdul-Muttalib e tutti i suoi antenati erano seguaci della religione divina, non si può che ammirare la prudenza e la saggezza di Abu Talib in tale delicata e difficile situazione. Durante gli ultimi momenti della sua vita, il Profeta lo incitò a recitare la kalimah ad alta voce (come era tradizione dei musulmani). Abbas, che non aveva ancora accettato l’Islam, vide muoversi le labbra di Abu Talib. Egli avvicinò le sue orecchie ad Abu Talib, e poi disse al Profeta: «O nipote mio! Abu Talib sta dicendo quello che tu volevi che dicesse!». Abu Talib morì all’età di ottantacinque anni, nel mezzo del mese di Shawwal o di Dhul-Qa’dah (decimo anno dalla Dichiarazione della Profezia). L’imam Ja’far al-Sadiq disse:
“Gli antenati del Profeta andranno in Paradiso e Abdul-Muttalib entrerà in Paradiso avendo su di lui la Luce del Profeta e la dignità dei re, e Abu Talib sarà nello stesso gruppo”.
Molto importante fu anche la figura di Khadijah, che era rispettata così tanto che i meccani la chiamavano tahirah (la pura). Tutti i figli del Profeta nacquero da Khadijah eccetto Ibrahim, che nacque da Maria la copta. Khadijah fu la prima persona a testimoniare la verità del Profeta, e spese tutte le sue ricchezze per la causa dell’Islam. Ella inoltre fu una fonte di conforto e consolazione per il Profeta, che disse:
“Quattro donne sono le più nobile tra le donne del Paradiso: Maria madre di Gesù, Asia moglie di Faraone, Khadijah figlia di Khuwaylid, e Fatima figlia di Muhammad”.
Aisha, una delle mogli del Profeta, disse:
“Non ho invidiato nessuna donna quanto ho invidiato Khadijah. Il Profeta la ricordava sempre. Ogni qualvolta una pecora o una capra veniva macellata, le parti migliori venivano inviate ai parenti e agli amici di Khadijah. Ero solita dire: «Sembra che Khadijah sia l’unica donna al mondo». Una volta, ascoltando queste parole, il Profeta ne fu molto infastidito e disse: «Khadijah ha avuto molte virtù, che altre non hanno»”.
È tramandato anche che:
“[Aisha racconta che] «Una volta il Profeta la ricordò e io dissi: “Per quanto ancora ricorderai una donna così vecchia e senza denti nella bocca? Dio ti ha donato una donna migliore di lei [intendendo se stessa]”. Il Profeta si arrabbiò così tanto che si rizzarono i capelli in testa, e disse: “Per Dio, non ho di meglio di Khadijah; lei credeva in me quando gli altri erano immersi nella miscredenza; lei testimoniò la mia verità quando gli altri la rifiutavano; lei mi ha aiutato con la sua ricchezza quando gli altri mi privavano della stessa; e Dio mi diede dei figli da lei”». Aisha disse che da allora decise di non dire più una parola sconveniente su Khadijah”.
Khadijah aveva sessantacinque anni quando morì, e fu sepolta ad Hajun. La sua tomba fu distrutta nel 1925 come quelle di AbdulMuttalib, Abu Talib e altri.
Dopo la morte di Abu Talib e Khadijah, trovando che i meccani non davano ascolto alla sua predicazione, il Profeta decise di recarsi a Taif, in quanto la sua gente sarebbe stata forse più ricettiva. Ma era in serbo per lui una grande delusione. Muhammad trascorse un mese a Taif solo per esservi schernito e deriso. Visto che però persisteva nella sua predicazione, la gente di Taif decise di espellerlo dalla città lanciandogli contro delle pietre. In questa disperata situazione egli così si rivolse al suo Signore:
“O Dio! Faccio a Te la mia rimostranza riguardo alla debolezza della mia forza, all’insignificanza dei miei mezzi, e alla mia umiliazione agli occhi della gente. Tu, il più Misericordioso! Tu sei il Signore degli oppressi, Tu sei il mio Signore. A chi affideresti i miei affari? A uno straniero che mi guarderebbe con cipiglio? O a un nemico che mi controllerebbe? Se non sei dispiaciuto con me, allora non mi importa (delle difficoltà e delle tribolazioni), ma la tranquillità di spirito da Te concessa sarà più accomodante per me. Cerco rifugio nella Luce del Tuo Volto (attraverso cui tutte le tenebre sono disperse e tutti gli affari di questo mondo e dell’Aldilà sono guidati rettamente) dai segni della Tua ira o dalla venuta della Tua collera. Cerco il Tuo perdono affinché Tu possa essere compiaciuto con me. Non c’è potere né forza se non in Te”.
Nonostante tutte queste tribolazioni e persecuzioni, l’Islam continuava a diffondersi anche presso altre tribù, seppur molto lentamente e su piccola scala. La sua semplicità e la sua razionalità erano tali che bastava che raggiungesse le orecchie delle genti per catturare la loro anima. Per quattordici anni i Quraish fecero del loro meglio per contrastare la nuova religione, ma la loro stessa opposizione forniva la necessaria pubblicità. In occasione del pellegrinaggio annuale tutte le tribù di ogni angolo d’Arabia si riversavano a Mecca. Per evitare che fossero influenzate dal messaggio di Muhammad, i Quraish erano soliti, appena fuori la città, intercettare e informare i pellegrini propagandando il seguente messaggio: «Nella nostra città è nato un infedele che disonora i nostri idoli; parla male anche di Lat e Uzza; non prestategli ascolto». Ma in tal modo le persone ovviamente si incuriosivano e volevano saperne di più su quest’uomo. Una volta un discepolo del Profeta, ricordando i tempi della sua giovinezza, disse: «Quando ero giovane ero solito ascoltare dalla gente in visita a Mecca che un uomo sosteneva che in città è sorta la Profezia!». Al diffondersi delle notizie certamente molte persone si scagliavano contro di lui con disprezzo e biasimo, ma altre, anche se poche, sinceri cercatori di verità, ascoltavano il suo messaggio e meditavano su di esso, e cominciarono pian piano a esserne influenzate.
Hafiz ibn Hajar, nel suo libro Al-Isabah, menziona i nomi di diversi compagni che, giunti dallo Yemen e da altri posti lontani, dopo aver segretamente accettato l’Islam tornarono indietro e cominciarono a propagandare la religione di Dio tra le altre tribù. Il clan di Abu Musa al-Ash’ari dello Yemen, per esempio, accettò l’Islam in questo modo.
Tufail ibn Amr, della tribù di Daws, era un poeta con una grande reputazione che, attraverso il suo fervore lirico, poteva catturare e influenzare i sentimenti e le tendenza degli arabi. Egli venne in contatto con il Profeta e fu così straordinariamente colpito dalla meravigliosa recitazione del Corano da parte del Profeta che accettò l’Islam istantaneamente. Riuscì ad avvicinare all’Islam alcuni membri della sua tribù, ma in generale questa non gli diede ascolto. Tornò quindi dal Profeta e gli chiese di maledire i Daws, ma il Profeta recitò la seguente invocazione: «O Dio! Guida i Daws e mandali a me (come musulmani)». Subito dopo l’intera tribù accettò l’Islam.
Dhamad ibn Tha’labah era un capo di Azd e un amico di giovinezza del Profeta. Quando tornò a Mecca dopo tanto tempo gli fu detto che Muhammad era diventato pazzo. Subito cercò il Profeta e, quando lo trovò, gli disse se poteva fare qualcosa per curarlo. Il Profeta rispose:
“Tutte le lodi appartengono a Dio; Lo prego e cerco il Suo perdono. Se Dio dovesse guidare qualcuno, egli non può sfuggire, e se Dio lo dovesse abbandonare, nessuno potrebbe guidarlo. Io dichiaro che non c’è dio all’infuori di Allah. Egli è uno e non ha associati, e dichiaro inoltre che Muhammad è Suo servo e messaggero”.
È quasi impossibile riprodurre la forza vibrante e il fascino accattivante del testo arabo della suddetta dichiarazione, che così tanto impressionò Dhamad da fargli accettare l’Islam immediatamente. Successivamente, grazie alla sua azione, tutta la sua tribù fece lo stesso.
Abu Dharr della tribù di Ghifar fu uno di quelli che sempre avevano provato disgusto per l’adorazione degli idoli. Quando venne a sapere del Profeta, si recò subito a Mecca e per caso incontrò Alì, con cui restò per tre giorni. Alì lo introdusse quindi al Profeta ed egli accettò subito l’Islam. Il Profeta lo invitò a tornare a casa, ma nel suo zelo egli annunciò pubblicamente nella Ka’bah: «Non c’è altro dio all’infuori di Allah e Muhammad è il Suo profeta». Egli fu violentemente attaccato dai Quraish e si salvò solo grazie all’intervento di Abbas. Ritornato alla sua tribù, la invitò all’Islam, che venne accettato da circa metà dei suoi membri. Il resto lo fece solo in seguito, quando si accodò al Profeta in viaggio verso Medina.
Dal momento che i Ghifar era in relazioni molto amichevoli con la tribù di Aslam, quest’ultima fu influenzata dalla prima e accettò anch’essa l’Islam.
A molte persone, poi, capitava di ascoltare casualmente la recitazione del Corano e di rimanerne catturate. Una volta Jubair ibn Mut’im giunse a Medina per pagare il riscatto dei prigionieri di guerra di Badr e gli capitò di ascoltare il Profeta mentre questi recitava i seguenti versi:
“Sono stati forse creati dal nulla oppure sono essi stessi i creatori? O hanno creato i cieli e la terra? In realtà non hanno alcuna certezza [LII, 3536]”.
Jubair affermò che, quando ascoltò questi versetti, sentì che il suo cuore stava per scoppiare.
Dal momento che i meccani si rifiutarono di ascoltarlo, il Profeta era solito predicare agli stranieri e ai pellegrini che visitavano la Ka’bah. Come detto prima, la notizia che era sorto un profeta si diffuse a macchia d’olio. Una delegazione di circa venti cristiani proveniente da Nazareth venne a incontrarlo e abbracciò l’Islam. Allo stesso modo, un altro gruppo di sei persone da Yathrib venne da lui per fare lo stesso. L’anno successivo, al tempo del pellegrinaggio annuale, dodici yathribiti vennero a sottoscrivere un patto conosciuto come il Primo Patto di Aqabah (un passo di montagna), così denominato perché fu siglato proprio sulla via della montagna fuori Mecca.
Il Patto consisteva in:
– non associare nessun altra cosa a Dio
– non rubare, non commettere adulterio né fornicazione
– non uccidere i neonati
– astenersi dalla calunnia e dalla maldicenza
– obbedire al Profeta in ogni cosa, essergli fedeli nel benessere e nelle difficoltà
Il periodo tra il Primo e il Secondo Patto fu caratterizzato da una attesa angosciante. I meccani erano rigidamente risoluti, la gente di Taif aveva rifiutato Muhammad, e la missione progrediva lentamente. Ma faceva ben sperare la sua diffusione nella lontana città di Yathrib. La convinzione che la verità alla fine sarebbe prevalsa era molta. Descrivendo questo periodo, l’orientalista Muir scrive:
“Maometto, sostenendo così la sua gente con le spalle al muro nella mai spenta aspettativa della vittoria, apparentemente indifeso e con il suo gruppo, piccolo come era, tra le fauci del leone, confidava ancora nella potenza del suo Dio del quale credeva di essere il messaggero. Risoluto e irremovibile, egli presenta uno spettacolo di sublimità paragonabile solo, nelle sacre scritture, alle vicende dei profeti di Israele, quando egli si rivolge al suo Signore dicendo «Io, anche se solo, sono rimasto»”.
Fu a quel tempo che Dio, nella sua infinita misericordia e benevolenza, concesse al Profeta il privilegio unico di ascendere fino agli estremi confini dei cieli e di poter ammirare il magnifico splendore dei cieli e della creazione:
“Gloria a Colui che di notte trasportò il Suo servo dalla Santa Moschea alla Moschea remota di cui benedicemmo i dintorni, per mostrargli qualcuno dei Nostri segni. Egli è Colui che tutto ascolta e tutto osserva [XVII, 1]”.
C’è stata una grande controversia sulla questione se l’ascensione (mi’raj) fu solo una visione o un viaggio di fatto corporeo. La maggioranza dei trasmettitori delle tradizioni concorda sul fatto che fu un reale viaggio fisico, proprio come l’ascensione corporea di Gesù e la discesa sulla terra di Adamo. Il fatto è che questa controversia fu creata dai Banu Umayyah, il cui interesse verso l’Islam era basato non sulla fede ma sulla politica, e ai quali non piaceva l’idea che un qualche miracolo del Profeta si insinuasse nella mente dei musulmani. La portata della loro falsificazione non ha risparmiato neanche questo argomento. Due “tradizioni”
1. Aisha, moglie del Profeta, disse che durante l’intera notte del mi’raj il corpo del Profeta rimase nel letto;
derivanti da quel campo sono ripetutamente citate dai cristiani, dagli ahmadi e da una parte dei sunniti:
2. Mu’awiyah disse che il mi’raj fu un «sogno reale».
Ora, il fatto è che il mi’raj (qualunque sia la sua interpretazione) ha avuto luogo a Mecca uno o tre anni prima della hijrah. Orbene, Aisha non entrò nella casa del Profeta se non un anno dopo la hijrah. Come può dire di non aver mai perso di vista il corpo del Profeta in quella notte? C’è solo una possibile interpretazione: questa “tradizione” fu inventata da qualcuno che non conosceva bene neanche la sequenza degli eventi basilari della storia islamica, altrimenti, non avrebbe potuto attribuirla ad Aisha.
Venendo a Mu’awiyah, egli era un tale nemico del Profeta che quando, otto anni dopo la hijrah, Mecca fu conquistata senza spargimento di sangue e Abu Sufyan (suo padre), non vedendo altre alternative, accettò l’Islam, egli decise di fuggire in Bahrain, da dove scrisse una lettera di condanna al padre, rimproverandolo per aver alla fine accettato l’Islam. E il mi’raj avvenne dieci o dodici anni prima di quel tempo. Come poteva sapere quali fossero gli eventi del mi’raj!? Egli non menziona la sua fonte di informazione, e se ne deduce quindi che non c’è nessuna fonte.
Se volete comprendere fino a che punto la politica controllava la versione dell’Islam professata dagli Umayyadi, leggetevi una o più “tradizioni” inventate nei loro uffici. Ad esempio, quando sul trono di Damasco sedeva il re Abdul Malik ibn Marwan, l’Iraq e lo Hijaz erano nelle mani di Abdullah ibn Zubayr. Orbene, ad Abdul Malik non piaceva l’idea che i pellegrini del suo regno fossero obbligati ad andare a Mecca (che era nelle mani del suo nemico), per cui decise di aumentare il prestigio di Gerusalemme, che invece si trovava nei suoi domini, decidendo di stabilirvi lo hajj! Come parte del suo piano, tutte le precedenti affermazioni per cui il mi’raj era solo un sogno furono improvvisamente dimenticate e fu forgiata una tradizione per cui la destinazione finale del viaggio del mi’raj era Gerusalemme. Poco dopo Abdullah ibn Zubayr venne sconfitto e l’Hijaz cadde sotto il controllo siriano. Se così non fosse avvenuto, avremmo sicuramente visto due centri di hajj nel mondo islamico!
Una volta ritornati a Yathrib, i convertiti alla religione di Dio cominciarono a diffondere le dottrine dell’Islam e un largo numero di abitanti vi aderì. L’anno successivo, settanta abitanti di Yathrib, inclusi i dodici che avevano sottoscritto il Primo Patto, si recarono dal Profeta per accettare l’Islam e invitarlo nella loro città, stringendo una alleanza con lui. Questo patto è noto come Secondo Patto di Aqabah. Abbas, zio del Profeta, sebbene non fosse ancora un musulmano, fu presente a quell’evento ed esortò gli abitanti di Yathrib a proteggere il Profeta.