La gnosi

Nel mondo islamico la forma suprema di conoscenza non è mai stata una qualche singola scienza, o scientia, che rimane al livello discorsivo, bensì la «saggezza dei santi», o sapientia, che in ultima analisi significa gnosi. Non soltanto i musulmani e in generale i saggi medievali dicevano, con Aristotele, che la conoscenza dipende dal modo del soggetto che conosce, e perciò dal suo stato di essere; essi asserivano anche, inversamente e da un altro punto di vista, che l’essere di un individuo dipende dalla propria conoscenza. Nella gnosi, conoscenza ed essere coincidono; è qui che scienza e fede trovano la loro armonia. Essendo una conoscenza che illumina l’intero essere del soggetto che conosce, essa si differenzia dalla filosofia qual è intesa oggi nel suo significato comunemente accettato, la quale, essendo teoretica, è limitata al piano mentale. La filosofia è stata originariamente quell’elemento di dottrina che, insieme a taluni riti e alla pratica di virtù spirituali, esauriva la totalità della gnosi; più tardi però il suo ambito si restringe a una conoscenza puramente teorica, separata dalla realizzazione spirituale, a cui si perveniva limitando l’intelletto alla sola ragione umana.
La gnosi, che nell’Islam, oltre che in altre tradizioni orientali, è sempre stata considerata la forma suprema di conoscenza, ha concezioni ben precise dell’universo, e di fatto fornisce l’unica matrice all’interno della quale è possibile comprendere propriamente le scienze cosmologiche tradizionali. Essa è la fontana della vita, da cui esse attingono il loro nutrimento. Lo gnostico vede tutte le cose come manifestazioni del Supremo Principio divino, il quale trascende ogni determinazione – persino l’Essere, la sua prima determinazione. Tutti gli enti nella manifestazione, sia visibili sia invisibili, sono connessi con questo Centro conformemente al grado in cui riflettono l’Intelletto e anche dalla loro esistenza. L’”intelligenza” di ogni essere è il legame diretto fra esso e l’Intelletto Universale – il Logos, o Verbo, «attraverso cui tutte le cose sono fatte». Il grado dell’essere di ogni creatura è un riflesso del Puro Essere a un qualche livello di esistenza cosmica; è in virtù di questo riflesso che un essere è qualcosa e non nulla. Se il Principio divino può essere simboleggiato da un punto, allora la relazione di vari esseri con Esso, in quanto Essere Puro, è come quella di vari cerchi concentrici disegnati attorno a un centro, mentre la loro relazione con il centro in quanto Intelletto è come quella dei vari raggi dalla circonferenza al centro. Il cosmo è allora simile a una ragnatela: ciascuna parte di esso si trova su un cerchio, che è un “riflesso del centro”, e che mette in connessione l’esistenza di quella parte con l’Essere; nello stesso tempo, ogni parte è connessa direttamente al centro da un raggio, il quale simboleggia la relazione fra l’”intelligenza” di quella parte e l’Intelletto Universale o Logos.
Lo gnostico vede così il cosmo nel suo aspetto duale di simbolo positivo e di illusione negativa. Nella misura in cui ogni manifestazione è reale, essa è un simbolo di un ordine superiore di realtà; nella misura in cui è separata, ed è altro, dal Principio, è una mera illusione e non-essere. Nell’Islam questa dottrina è spiegata in due modi diversi, i quali pervengono entrambi in ultima istanza al medesimo significato. La scuola della wahdat al-wujūd, o «unità dell’Essere», fondata da Muáyī al-Dīn ibn ‘Arabī, considera la creazione una teofania (tajallī). Gli archetipi di tutte le cose, che sono aspetti dei Nomi e delle Qualità di Dio (a‘yān al-thābitah), esistono allo stato latente nell’Intelletto divino. Poi Dio dà loro l’essere, così che essi si manifestano; eppure ciò che si vede nel mondo sensibile è soltanto l’ombra degli archetipi. La scuola del wahdat al-shuhūd, o «unità di testimonianza (o “visione”)», fondata da ‘Alā al-Daulah al-Simnānī, crede che la creazione sia il riflesso degli archetipi nel dominio cosmico visto in definitiva dall’Uno che solo è il reale Conoscitore. In entrambi i casi la creazione, o l’universo, è considerato come avente un aspetto irreale, un elemento di nullità o di non-essere, come quello cui alludeva il «mondo delle ombre» di Platone. Esso è separato dal Principio divino mentre allo stesso tempo è unito essenzialmente a Esso.
Questa visione gnostica del cosmo ha il suo aspetto positivo nella sua visione della Natura come simbolo, e nel conseguente studio delle scienze che si occupano di fenomeni naturali non come fatti bensí come simboli di gradi superiori di Realtà. Nei loro aspetti simbolici, alchimia e astrologia possono essere considerate di fatto supporti cosmici alla contemplazione metafisica dello gnostico.
Dal momento che l’universo è il “corpo” del Logos, e poiché anche il Logos si manifesta microcosmicamente nell’uomo, lo gnostico acquista una maggiore intimità con l’universo quanto più diventa integrato alla fonte luminosa del suo proprio essere. In linea di principio, il corpo dell’uomo, in quanto microcosmo, contiene in miniatura l’universo, visto come il macrocosmo. Inoltre, il Principio che risiede al centro dell’essere dell’uomo è il medesimo Intelletto «da cui sono fatte tutte le cose». Questo è il motivo per cui lo gnostico ritiene che il modo migliore per conoscere la Natura nella sua essenza, più che nei suoi particolari, sia la purificazione del proprio sé finché il proprio essere viene illuminato dall’Intelletto. Avendo in tal modo raggiunto il centro, lo gnostico ha conseguito, in linea di principio, la conoscenza di tutte le cose.
Nella prospettiva gnostica il Profeta nella sua realtà interiore, la Luce muhammadica (al-nūr al-muh ammadī), è il Logos, l’archetipo dell’intera creazione, contenendo in sé l’”idea” del cosmo, esattamente come, secondo il Vangelo di Giovanni, tutte le cose furono fatte attraverso il Verbo o Logos. Egli è anche l’Uomo Perfetto, in cui tutti gli stati dell’essere, dormienti e potenziali nella maggior parte degli uomini, sono stati realizzati. Queste due funzioni – in quanto Logos e archetipo di tutta la creazione, e in quanto norma della santità e perfetto modello della vita spirituale – sono unite nell’«Uomo universale» (al-insān al-kāmil). Il Profeta è l’Uomo universale par excellence, venendo alla fine del ciclo profetico e unendo perciò in sé tutti gli aspetti della profezia. Najm al-Dīn al-Rāzī, nel suo Mirhād al-‘ibād (La Via degli adoratori) paragona l’universo a un albero e il Profeta Muhammad a un seme; egli scrive che, come prima viene piantato nella terra il seme, e poi ne emerge il fusto, poi l’albero, poi le foglie e infine il frutto, in cui è contenuto ancora una volta il seme, così la realtà interiore del Profeta come Logos precede tutte le cose, pur essendo venuto egli stesso in questo mondo solo alla fine del grande ciclo profetico. Ma anche tutti gli altri profeti, oltre ai grandi santi, i “poli”, o aqtab nella terminologia sufi, partecipano della natura dell’Uomo universale e perciò posseggono anch’essi una funzione cosmica. L’uomo stesso, di fatto, in virtù della sua posizione centrale nel cosmo, è potenzialmente capace di identificarsi con l’Uomo universale, anche se gli stati superiori dell’essere rimangono latenti per la maggioranza degli uomini, e si realizzano pienamente solo nella persona dello gnostico che ha raggiunto «il termine del cammino».
Questo duplice ruolo dell’Uomo universale, in quanto modello della vita spirituale, e archetipo del cosmo, dà un aspetto cosmico alla spiritualità islamica. La benedizione al Profeta e alla sua famiglia [Ahl al-Bayt], così comune nei rituali islamici, è anche una benedizione su tutte le creature. Il contemplativo si presenta davanti a Dio come parte della creazione a cui è unito, non solo in virtù degli elementi del suo stesso corpo, ma anche dello Spirito che è la fonte del suo stesso essere, così come dell’universo. La spiritualità islamica e la gnosi, nel loro aspetto cosmico, assegnano alla Natura un ruolo positivo nella vita spirituale, prefigurata nelle funzioni cosmiche del Profeta come la più perfetta di tutte le creature, e come archetipo dell’intero universo.
I vari livelli dell’Islam sono uniti dall’idea di Unità, interpretata secondo differenti gradi di profondità. La prima professione di fede o Shahādah è La ilāha ill ’ Allāh, che può essere tradotto «non c’è altra divinità all’infuori della Divinità»; essa deve essere intesa, al livello teologico e a quello della Legge Divina, come un’affermazione dell’ Unità di Dio e una negazione del politeismo. Nella prospettiva gnostica, però, la medesima formula diventa la base dottrinale e l’espressione più perfetta dell’unità dell’Essere, wahdat al-wujūd: «Non c’è altro essere tranne l’Essere Puro» (perché non possono esserci due ordini di realtà indipendenti); per estensione, «non c’è realtà, bellezza o potere tranne la Realtà, la Bellezza o il Potere assoluti». La prima Shahādah, che è la scaturigine di tutta la metafisica islamica, esprime così, al livello metafisico, la “nullità” di tutti gli esseri finiti al cospetto dell’Infinito, e integra tutti i particolari nell’Universale. Al livello cosmologico, essa esprime l’unicità di tutte le cose: corollario all’Unità del Principio Divino è l’unicità di tutta la manifestazione e l’interrelazione di tutti gli esseri. Come fine di ogni metafisica è giungere alla conoscenza dell’Unità divina (al-tawhīd), così fine di tutte le scienze cosmologiche è esprimere l’unicità di tutta l’esistenza. Le scienze della Natura nell’Islam condividono con la scienza medievale in Occidente, oltre che con la scienza antica in generale, il fine fondamentale di esprimere «l’unicità di tutto ciò che esiste».
Gli gnostici esprimono l’unità dell’Essere, e la relazione del cosmo al suo Principio, in molti modi, usando in ciascun caso simboli fondati sull’esperienza immediata. Alcuni sufi, come Nasafī, hanno usato l’immagine dell’inchiostro e delle lettere dell’alfabeto scritte con esso, mentre al-Jīlī, nel suo famoso trattato sull’Uomo universale, paragona la relazione dell’universo a Dio a quella del ghiaccio all’acqua.
Il poeta e dotto sufi persiano nel X/XVI secolo, ‘Abd al-Rahmān Jāmī, nei suoi Lawā’i á (Frammenti di luce),3 un compendio delle dottrine di Ibn ‘Arabī della scuola della wahdat al-wujūd («unità dell’Essere»), delineò i principi di cui stiamo parlando. Riproduciamo qui sotto alcuni passaggi come espressioni di questo principio dell’unità dell’Essere di cui è difficile sopravvalutare l’importanza ai fini della comprensione della metafisica e della cosmologia sufi.
La dottrina dell’unità dell’Essere fu formulata per la prima volta esplicitamente dallo gnostico del VII/XIII secolo Muhyī al-Dīn ibn ‘Arabī, che era nato in Andalusia e morì a Damasco. Fu il più importante espositore di dottrine gnostiche, particolarmente di cosmologia e scienze sacre. Nei primi secoli dell’Islam, i sufi avevano insistito sulla purificazione del cuore, in quanto sede simbolica dell’intelligenza, e perciò non si dedicarono, come gli gnostici posteriori, alla composizione di elaborati trattati metafisici e cosmologici. Questa apparente “debolezza” e la sua “correzione” non furono dovute a uno “sviluppo” o a un posteriore “arricchimento”, ma piuttosto sorsero perché il bisogno di formulazioni esplicite aumentò con la progressiva mancanza di comprensione delle dottrine, non col diffondersi di una migliore comprensione di esse. Ibn ‘Arabī era destinato a formulare esplicitamente dottrine che, fino a quell’epoca, erano rimaste più o meno implicite. Egli espresse la concezione sufi della Natura in formulazioni fondate non soltanto sulla terminologia coranica, ma anche su elementi tratti da fonti ermetiche e pitagoriche. Fu lui a esprimere per la prima volta in arabo la concezione della Natura come «il Respiro del Compassionevole».
Secondo Ibn ‘Arabī e la maggior parte degli altri gnostici, la creazione del mondo si fonda pertanto sulla «compassione» (al-rahmān) dell’Infinito. In virtù della Sua Compassione Dio conferisce l’essere ai Nomi e alle Qualità che sono gli archetipi della creazione. Nella formulazione del sacro detto del Profeta: «Io [Dio] ero un tesoro nascosto; volevo essere conosciuto. Perciò creai il mondo». Questo desiderio di essere conosciuto scaturisce dalla Compassione dell’Essere Divino per Se stesso. La parola «compassione» (al-rahmān) è perciò il principio della manifestazione, l’aspetto “espansivo” dell’Infinito; la sostanza di cui l’universo è fatto viene chiamata perciò «il Respiro del Compassionevole». Ogni particella dell’esistenza è immersa in questo respiro, che le comunica una “simpatia” nei confronti di altri esseri, e soprattutto con la fonte del respiro, la Divina Compassione. Perciò i sufi dicono che ogni atomo dell’universo è una «teofania» (tajallī) dell’Essere Divino.
La Natura, secondo la cosmologia della scuola di Ibn ‘Arabī, è il terzo membro della gerarchia cosmica, dopo l’Intelletto e l’Anima universale. La Natura universale è una limitazione quando sia considerata rispetto al Principio divino stesso; ma essa è anche l’aspetto produttivo e femminile dell’Atto divino o Essenza universale. L’Atto divino crea tutti i mondi dell’esistenza dal grembo della Natura universale, che Ibn ‘Arabī chiama «la Madre dell’Universo». Ma poiché l’Atto divino è attualità permanente e pura, è la Natura universale che è responsabile del passaggio dalla potenza all’atto delle cose. La Natura è l’aspetto “dinamico” del polo passivo dell’Essere; essa è perciò la causa attiva del mutamento in questo mondo, pur essendo passiva rispetto all’Atto divino. La materia, messa in movimento dalla Natura, è l’aspetto “statico” di questo stesso polo femminile e passivo, la sostanza plastica da cui è plasmato il mondo formale. La Natura, vista in questa luce, è un potere divino che plasma questa sostanza e dirige i mutamenti nell’universo. Le regolarità e la coerenza logica nella Natura sono riflessi rovesciati della libertà assoluta dell’Atto divino, il quale «agisce senza agire» sulla Natura.
Proprio come la prima Shahādah (professione di fede) dell’Islam, che significa in definitiva l’unità dell’Essere, manifesta la fede dei musulmani, così la seconda Shahādah dell’Islam, Muhammadun rasūl Allāh, «Muhammad è il Messaggero di Dio», completa la sua dichiarazione di fede. Secondo l’interpretazione della Legge divina la formula significherebbe semplicemente che Muhammad fu il Profeta di Dio e ricevette da Lui la Rivelazione. Gli gnostici aggiungono a questa interpretazione il significato esoterico della formula, il quale implica la realtà interiore del Profeta come Logos, l’archetipo della Creazione. Da quest’ultimo punto di vista la seconda Shahādah significa che l’universo è una manifestazione di Dio.
Considerata metafisicamente, la prima Shahādah “annulla” tutte le cose come realtà separate dinanzi all’Unità divina; la seconda mette in relazione tutta la molteplicità, nella misura in cui possiede un aspetto positivo, all’Unità attraverso l’Uomo universale, l’archetipo di tutte le cose esistenti. Per gli gnostici il mondo non è Dio, ma neppure altro da Dio; non è Dio che è nel mondo ma, per citare uno gnostico contemporaneo, il mondo «è immerso misteriosamente in Dio».
L’Uomo universale, la «Luce di Muhammad», che è essenzialmente il Logos o Spirito supremo, è la scena della teofania di tutti i Nomi e Attributi divini, e l’archetipo del cosmo. La creazione fiorisce su di esso e trae dal suo essere il proprio sostentamento. Egli è anche l’archetipo dei figli di Adamo, i quali sono tutti potenzialmente l’Uomo universale, anche se solo nei profeti e nei più grandi santi questa potenzialità passa all’atto. In essi la realtà interiore del microcosmo diventa illuminata, riflettendo così le realtà divine. Come l’Uomo universale, l’archetipo del cosmo, contiene in sé tutte le “idee” platoniche, così lo gnostico, che ha realizzato la sua unità interiore col suo archetipo, diventa lo specchio in cui Dio contempla i Suoi propri Nomi e Qualità.
La dottrina dell’Uomo universale è l’alfa e l’omega di tutte le scienze esoteriche dell’universo, perché l’Uomo universale contiene gli archetipi della creazione, nei cui termini lo gnostico cerca la conoscenza di tutte le cose. L’Uomo universale è inoltre l’archetipo dello gnostico stesso; nella misura in cui quest’ultimo acquista conoscenza in termini di archetipi, percepisce un aspetto del suo proprio essere. La sua conoscenza e il suo essere vengono così a identificarsi. Egli acquista “simpatia” col cosmo nella misura in cui si approssima alla propria realtà interiore. L’universo stesso viene di fatto manifestato a causa della Divina Compassione, la quale ha creato una simpatia fra tutte le cose. La simpatia fra lo gnostico e Dio include tutte le altre simpatie cosmiche: è la medesima compassione che causa la manifestazione dell’universo che anche riporta lo gnostico, e attraverso di lui tutte le altre creature, alla loro Fonte divina.
Abbiamo intrapreso una breve esposizione delle dottrine dell’unità dell’Essere e dell’Uomo universale, che sono per la massima parte estranee ai lettori moderni, al fine di illustrare l’aspetto teoretico della metafisica islamica, senza una conoscenza del quale la comprensione della prospettiva gnostica sarebbe impossibile. Il lettore non dovrebbe però mai identificare la formulazione teoretica con la gnosi stessa, poiché gli gnostici sottolineano sempre che qualcosa deve accadere all’anima di chi ricerca, ancor più che alla sua mente: egli deve cessare di essere ciò che è adesso, e diventare un essere nuovo. Le teorie e i libri sono perciò semplicemente un aiuto, non la “cosa” stessa. Anche il libro della Natura è soltanto un aiuto verso il raggiungimento dell’obiettivo ultimo dello gnostico.
Il viaggio spirituale dell’uomo alla ricerca della scienza ultima delle cose, della certezza della conoscenza, significa pertanto una trasformazione dell’anima e implica una “fenomenologia” della stessa. Una volta che il burro e il latte siano separati, ossia una volta che il caos dell’anima dell’uomo ordinario sia trasformato nell’ordine o “cosmo” illuminato dall’Intelletto, allora l’uomo diventa uno gnostico, uno specchio in cui tutte le cose sono riflesse perché egli diventa se stesso, ciò che egli sempre “fu” senza esserne consapevole.
Lo stadio finale della scienza è la realizzazione “soggettiva” della conoscenza “oggettiva” che si situa al di là di una tale distinzione fra soggetto e oggetto. Un mutamento deve aver luogo all’interno dell’anima di chi conosce; egli deve mettere da parte la coscienza ordinaria, attraverso cui l’uomo vive durante la sua vita di ogni giorno, al fine di essere illuminato da una nuova forma di coscienza la quale, fino al momento della realizzazione effettiva, rimane nascosta e latente all’interno dell’anima. La sua conoscenza teoretica e discorsiva deve diventare immediata e intuitiva. Tutte le arti e le scienze che la mente umana può padroneggiare non possono sostituire la gnosi e neppure condurre a essa, se queste discipline sono considerate modi di conoscenza indipendenti.
La «preghiera dello gnostico» consiste nel “vedere” che la conoscenza di ogni essere particolare e di ogni dominio conduce alla conoscenza della sua causa ontologica, nel vedere nelle arti e nelle scienze il veicolo e supporto per la realizzazione della gnosi.

[Brani tratti da: Seyyed Hossein Nasr, Scienza e civiltà nell’Islam, Irfan Edizioni – per gentile concessione dell’Editore]
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