PROFEZIA E IMAMATO

Nella visione dell’Islam, l’uomo è una delle creature di Dio, e se aspira alla felicità e alla beatitudine deve essere realista e retto e avere una fede fondata su saldi e corretti principi, un carattere integro e una buona condotta, e Dio lo guida verso la beatitudine e la salvezza attraverso la “profezia”. Ogni specie esistente permane secondo un particolare piano che ogni individuo a essa appartenente esegue col suo specifico modo di vivere. Più esplicitamente, ogni genere ha una ben determinata serie di doveri nell’armonia dei mondi, verso i quali viene guidata da Dio. A tal proposito Corano afferma:

“(Mosè) disse: ‘Il nostro Dio è Colui che ha donato a ogni cosa la sua particolare natura e poi l’ha guidata” (Santo Corano, 20:50)

Tutte le componenti dell’universo seguono tale norma, e in termini generali, tale condizione si estende anche all’uomo. Il suo caso presenta però una fondamentale differenza, poiché egli presenta una peculiare caratteristica: l’arbitrio. Egli può rifiutare di compiere un’azione che non comporta ostacoli e gli è interamente favorevole e, al contrario, impegnarsi in un’azione che risulti per lui completamente deleteria. Talvolta rifiuta di prendere un antidoto, talaltra beve un veleno per porre fine ai suoi giorni.

È chiaro che Dio, che guida tutte le Sue creature verso il bene e la perfezione, non costringerà una creatura dotata di arbitrio a seguire il retto sentiero. Ciò è confermato dal comportamento dei Profeti, inviati da Dio Onnipotente per guidare l’uomo verso il bene, la perfezione e la beatitudine.

Essi, da parte di Dio, annunciano all’uomo la via del bene e della beatitudine e quella del male e della perdizione; comunicano ai seguaci della religione di Dio che riceveranno da Lui una generosa ricompensa per il loro retto agire e li fanno sperare nella misericordia divina. Mettono invece in guardia gli empi e i peccatori dal castigo divino; gli uomini saranno poi liberi di scegliere tra il bene e il male, tra la beatitudine e la perdizione.

Questo è ciò che ha disposto il Signore per guidare l’uomo verso il bene, la perfezione e la beatitudine e salvarlo dal male, dai vizi e dalla perdizione.

Ora, se è vero che l’uomo attraverso il proprio intelletto è in grado di comprendere in modo generale il bene e il male, è anche vero che questo stesso intelletto viene per lo più sopraffatto dalle passioni e talvolta cade anche in errore. È perciò necessario che Dio, oltre all’intelletto, metta a disposizione dell’uomo un mezzo assolutamente infallibile e insoggiogabile. In altre parole, è necessario che il Signore confermi con un mezzo invincibile i precetti che fa comprendere, in modo generale, attraverso l’intelletto. Questo insormontabile mezzo è appunto la “profezia”: Dio l’Altissimo rivela a uno dei Suoi servi {il profeta} i Suoi salvanti precetti e lo incarica di trasmetterli agli uomini e di indurli (facendoli sperare nella Sua ricompensa e mettendoli in guardia dal Suo castigo) a seguire queste sacre leggi.

A tal fine gli Angeli hanno la funzione di “messaggeri celesti” che collegano il Cielo alla Terra e manifestano in essi tale Volontà; afferma a tale proposito l’Imam Alì:

«Egli ha fatto degli Angeli i custodi della Sua Rivelazione e li ha inviati ai Profeti» (Serm. n. 90).

Così vediamo, in una visione provvidenziale dello scorrere dell’esistenza umana, l’Angelo del Signore manifestarsi ad Abramo, a Mosè e a Maria, alla quale annuncia che concepirà un figlio chiamato Gesù; nella “caverna” sarà l’Angelo Gabriele ad apparire a Muhammad e a «squarciare il velo della sua conoscenza», incidendo nella sua anima il Libro di Dio che egli avrebbe poi rivelato agli uomini.

Un ver­setto coranico che così si esprime:

«Noi offrimmo il Deposito dei Nostri Segreti ai cieli, alla terra e alle montagne: tutti hanno rifiutato di assumerlo e ne hanno tremato. Se lo è addossato l’uomo. Egli è davvero un presuntuoso e un folle» (XXXIII, 72).

In questa “follia” e in questa “presunzione” sta appunto la grandezza “essenziale” della condizione umana, quale si espresse nell’Adamo creato da Dio quale Suo Vicario (Khalifa). È detto nella sura II che Dio, dopo aver creato Adamo e avergli insegnato i “Nomi delle cose”, lo presentò agli Angeli e disse loro:

     Informatemi dei Nomi di queste cose, se siete veritieri. Risposero gli Angeli: «Gloria a Te! Noi non possediamo alcuna conoscenza, se non quella che ci hai insegnato…». Dio disse allora ad Adamo: «Adamo, enuncia i Nomi delle cose». E quando Adamo le ebbe enunciate coi loro Nomi, Dio disse: «Non dissi forse a voi che conosco il segreto dei cieli e della terra?» [XXVIII, 32].

Una frase, quest’ultima, che sintetizza la natura di Adamo, essere racchiudente in sé l’insieme dei Nomi, vale a dire le “qualità universali”, e distinguentesi perciò dagli Angeli per l’integrazione sim­bolica in lui dell’intera esistenza, con la conseguente perfetta conoscenza di Dio. Questo Adamo è colui che “guarda in faccia Dio”, vive nella Sua Luce e gode della costante Benevolenza divina; egli è il Vicario di Dio nell’intero universo ed è perciò da Lui collocato in una dimensione al di fuori del tempo e dello spazio, nell’”eterno presente” del Giardino.

Il Corano afferma:

Noi dicemmo ad Adamo: «O Adamo, abita, tu e la tua sposa, nel giardino e mangiate dei frutti di esso; però non vi avvicinate a questa pianta, perché non diventiate degli iniqui» [II, 35].

“Morte” e “Iniquità” trasposti a livello metafisico, esprimono l’idea della perdita della condizione “paradisiaca” di inscindibile Unione con Dio, con la conseguente “caduta”, che è la cacciata dal Paradiso e la fine di quello stato privilegiato per cui Adamo venne scelto come «il meglio nella Sua Creazione» e fu fatto come il «primo di tutta la creazione» (Serm. n. 90).

Il Corano così si esprime:

  …allora Noi dicemmo loro: «scendete dal Paradiso, l’una parte di voi sarà nemica dell’altra; sulla terra avrete una dimora e un godimento per un tempo limitato» [II, 36].

Cacciato dal Giardino e privato del suo ruolo centrale nell’uni­ver­so, Adamo si trovò degradato alla condizione di normale essere umano, a un livello dal quale non poteva più “guardare in faccia Dio”, bensì doveva colmare la distanza che lo separava da Lui e ciò facendo appello alla “scintilla divina” posta nel suo cuore. Fu Dio stesso, dopo aver mostrato la Sua Ira, a tendere ad Adamo la Mano della Misericordia, indicandogli la via, seguendo la quale l’uomo può recuperare la condizione paradisiaca delle “origini”; così dice il Corano:

     Adamo ricevette parole dal suo Signore e Dio accolse il suo [pentimento] [II, 37].

     …quelli che seguiranno la Mia Direzione non avranno mai alcun timore [II, 38].

E l’Imam Alì fornisce il “significato profondo” dei due versetti:

     Indi Dio offrì ad Adamo l’occasione di pentirsi, gli insegnò le parole della Sua Misericordia, gli promise di farlo rientrare nel Paradiso terrestre e lo inviò nel luogo della prova e della procreazione della progenie [Serm. n. 1].

     …Dio lo inviò, dopo aver accettato il suo pentimento, a popolare la sua terra e a servire come prova e testimonianza per Lui tra le Sue Creature [Serm. n. 90].

Nelle parole dell’Imam Alì è dunque espressa l’idea tradizionale di “restaurazione”, la quale deve necessariamente rappresentare il naturale complementare della “caduta”, ricostituendosi in tal modo l’originaria situazione di unità, perché ciò rappresenta il riflesso dell’Unità divina nell’ordine esistenziale umano. Nel Corano l’idea di “restaurazione” è espressa a livello individuale dal versetto che parla della “direzione” da seguire per giungere nuovamente a “guardare in faccia Dio”, e viene sviluppata a livello di umanità dalla “catena profetica” che muove da Adamo e si chiude con Muhammad, l’ultimo anello di essa e sigillo del “Ciclo della Profezia”.

Nella Profezia sta appunto la possibilità per l’uomo di “rinascere” in Dio e di essere mantenuto nella direzione che conduce a Lui e la necessità di queste “Discese dell’Alto” nell’ordine umano è espressa proprio dalla condizione di Adamo “cacciato dal Giardino” e modello di un’umanità soggetta all’inesorabile legge del nascere, del vivere e del morire:

     …voi avrete sulla terra un soggiorno e un usufrutto temporaneo. Su di essa vivrete, in essa morirete e da essa verrete fatti uscire [VII, 24].

L’unità originaria Cielo-Terra riassunta nell’Adamo Paradisiaco era dunque venuta meno, il Cielo era sempre più lontano e l’uomo sempre più preso nella sua condizione terrestre, sempre più dominato dalla sua “parte pesante” che gli impediva di alzare gli occhi verso Dio: così Adamo destinato a essere “immortale” all’ombra dell’Albero della Vita, viene a morte (Serm. n. 89). Dice l’imam Alì:

  Anche quando Adamo venne a morire, Dio non lasciò gli uomini senza uno che servisse tra loro come prova e testimonianza per la Sua Essenza divina, e servire come legame tra loro e la Sua conoscenza, ma Egli fornì loro le prove attraverso i suoi Messaggeri scelti e portatori del Suo Messaggio.    

In particolari individui, dunque, si attua l’inscindibile unione tra Cielo e Terra, tra divino e umano, tra Soffio divino e argilla, ed essi rappresentano, nel particolare tempo e nel particolare ambito umano da Dio scelto per essi, l’Adamo Paradisiaco delle origini e possono, in tal modo, “guardare in faccia Dio”. Dice il Corano:

     …e mandammo Apostoli dei quali abbiamo parlato precedentemente e altri Apostoli di cui non ti abbiamo parlato [IV, 164].

O figli di Adamo! In verità verranno a voi Apostoli, a narrarvi i Miei Segni! [VII, 35].

Questi versetti comprendono sia i cinque Profeti Ulil’azm (Noè, Abramo, Mosè, Gesù, Muhammad), sia gli innumerevoli altri Profeti (enumerati nel numero simbolico di centoventiquattromila), la cui testimonianza su Dio si svolse negli intervalli temporali tra un Profeta Ulil’azm e l’altro, o in ambiti umani non interessati alla Profezia. È questo concetto di “ordine universale” che l’Imam Alì così esprime (Serm. n. 220):

In tutti i periodi e le epoche in cui sulla terra non vi erano Profeti, vi erano persone a cui Dio, preziose sono le Sue bontà, sussurrava attraverso le loro facoltà interiori e con cui Egli parlava attraverso le loro menti. Con l’aiuto del brillante risveglio del loro udito, della loro vista e dei loro cuori, essi mantenevano presso gli altri vivo il ricordo dei giorni di Dio e facevano sì che, tra le genti, vi fosse il Timore di Dio…In questo modo esse ebbero la funzione di Luci in queste tenebre e di Guide attraverso questi dubbi.

Nel Corano è detto:

Gli uomini formavano una sola nazione; Dio mandò a essi i Profeti [II, 213].

In termini di Grandi Profeti, questo versetto allude a Noè (nel Corano Nuh) di cui Bibbia e Corano parlano a proposito del Diluvio Universale, quando egli pose nell’arca ogni specie di animale e, passato il cataclisma, diede vita a una nuova umanità, quella “adamica” essendo perita nella acque scatenate dalla Collera divina. Noè fu perciò un uomo a cui Dio parlò, ed egli parlò con Dio, un Profeta, dunque, destinato a rappresentare l’”asse portante” di un consorzio umano che, come sempre appare nella Bibbia, parlava un’unica lingua, direttamente derivata da quella “paradisiaca”, da Dio insegnata ad Adamo perché rendesse Lode al Suo Nome. L’allontanamento dalla condizione paradisiaca delle origini comportava pure la progressiva perdita dell’idea-cardine dell’Unità divina, a vantaggio della dispersione nella considerazione “distintiva” degli Attributi di Dio, non più ricondotti a Lui e unificati nella Sua Superiore Unità.

Necessitava dunque che si manifestasse un Profeta e che la Parola di Dio, fattasi remota, tornasse a essere udita dagli uomini; fu Abramo a ricevere l’ordine di compiere tale missione. Parlando di Abramo, il Corano mette in risalto la sua natura di Profeta, così esprimendosi: «Abramo fu hanif, non già politeista» [VI, 161]. Abramo, dunque, aveva in sé quell’inscin­di­bi­le unione tra Soffio divino e “argilla”, che lo avrebbe fatto assurgere, non appena Dio lo avesse voluto, ad Adamo Paradisiaco, e di ciò è testimonianza il versetto: «Così mostrammo ad Abramo il Regno dei Cieli e della Terra» [VI, 75]. In lui, dunque, Cielo e Terra tornavano a essere inscindibilmente uniti, ed egli diveniva il “centro” di un’umanità innovata, costituendosi «una dottrina costante fra i suoi discendenti, affinché si convertissero al Dio Unico» [XLIII, 28].

Da Abramo, e attraverso Giacobbe e Isacco, si snoda la vicenda del popolo di Israele, fino al momento che la “grande carestia” lo spinge a lasciare la terra per esso scelta da Dio e a dimorare nell’Egitto dei Faraoni, in quel particolare momento dilaniato dalla lotta tra idolatri e adoratori dell’Unico Dio. La vittoria dei primi fa sì che gli Ebrei si trovino a essere fatti schiavi dagli Egiziani, in una schiavitù che è anche spirituale, in quanto nel loro seno comincia a infiltrarsi l’idolatria, ora che sono fuori dalla Terra di Canaan, ove dimora costante la Presenza divina.

Ma in questo momento oscuro Dio non dimentica il popolo con il quale, per mezzo di Abramo, ha stretto un patto, e suscita in esso un Profeta: Mosè, nome che significa «salvato dalle acque», un nome che, aldilà del racconto di come la sua culla giunse, miracolosamente galleggiando, fino alla figlia del Faraone, designa una condizione spirituale privilegiata, e lo ricollega a Noè, egli pure salvato dalle acque del Diluvio dall’intervento di Dio. Di Mosè, la Bibbia e il Corano narrano di come Dio gli si manifestò nel “roveto ardente” della valle di Tuwa, di come egli e Aronne si presentarono al Faraone e di come entrambi guidarono il popolo di Israele fuori dall’Egitto, lasciandosi quindi alle spalle una condizione di lontananza da Dio, per muovere verso la Terra Promessa, ove vivere nella Sua Luce e nella Sua Grazia. Ma questa vecchia umanità peccatrice e idolatra non poteva pervenire a tale mèta, così come tale privilegio non fu concesso a Mosè, il quale, peraltro, poté “vedere in faccia Dio” sul Monte Sinai e avere da Lui le Tavole della Legge:

     Disse [Dio]: «O Mosè! Io ti ho scelto, a preferenza di tutti gli uomini, onorandoti dei Miei Messaggi e delle Mie Parole. Prendi ciò che ti do e sii riconoscente». Noi scrivemmo per lui, sulle Tavole, un ammonimento e una decisione per ogni cosa. E gli dicemmo: «Ricevile con reverenze e comanda al tuo popolo di seguire i Migliori Precetti» [VII, 144-145].

La fase “oscura” della “cattività egiziana” ha determinato una situazione di “indurimento dei cuori” (lo stesso Mosè lo dirà agli Israeliti), per cui si rese necessario prescrivere loro tutta una serie di comportamenti.

Con i due successivi Profeti, Davide e Salomone, si ha una ulteriore fase di “fissazione”, e ciò quando l’Arca dell’Alleanza, contenente le Tavole della Legge, viene posta nel Tempio di Gerusalemme; da allora la Legge sarà l’asse portante della tradizione ebraica, che però andrà via via sempre più cristallizzandosi in un “letteralismo” esasperato che ne ucciderà “lo spirito”, in una “terrestrità” che le toglierà progressivamente l’”apertura verso l’Alto”. Da ciò deriverà l’idolatria contro cui si scaglieranno i vari Profeti, sino alle vicende dolorose della deportazione a Ninive e a Babilonia, e a quelle eroiche della lotta contro gli idolatri sovrani ellenistici della Siria. Indi la nazione ebraica cadrà sotto la dominazione romana, di una Roma la cui tradizione era in via di dissoluzione e sempre più in preda all’idolatria, sotto la spinta delle divinità orientali, incessantemente accolte nel Pantheon romano. Fu allora che la Misericordia di Dio fece nascere tra gli uomini Gesù Cristo, la cui predicazione, la Buona Novella, avrebbe portato alla sconfitta dell’idola­tria nel mondo romano, attuando la ripresa spirituale di quel mondo, dal IV secolo nuovamente credente nell’Unico Dio.

L’Islam, come si è detto, considera Gesù tra i Grandi Profeti, parlando di Lui, in numerosi versetti, tra i quali si possono ricordare i seguenti:

    In verità, per Dio Gesù è simile ad Adamo che Egli creò dalla polvere, poi disse: «Sii» ed egli fu [III, 59].

     …E non vi sarà nessuno della Gente del Libro che non crederà in Lui [IV, 159].

     …Il Messia, il Figlio di Maria, è l’Apostolo di Dio, il Suo Verbo, che Egli gettò in Maria, proveniente da Lui [IV, 171].

     Questo è Gesù, Figlio di Maria, egli è il Verbo di Verità [XIX, 34].

Nei Vangeli, il Cristo dirà di non essere venuto ad abrogare la Legge Mosaica, ma a completarla e ciò trova riscontro nel Corano ove è detto da lui agli Ebrei:

     O Figli di Israele, io sono l’Apostolo di Dio, inviato a voi per confermare la Torah che vi è stato dato prima di me [LXI, 6].

Il libro portato agli uomini da Gesù è il Vangelo, di cui parla la sura LVII, così esprimendosi al versetto 27:

Demmo a lui il Vangelo e ponemmo nei cuori di quelli che lo seguono mitezza e misericordia.

Nell’Islam Cristo è il “preparatore” della Profezia di Muhammad, portatore di una legge che ingloba in sé “lettera” e “spirito”, fondendoli in un’inscindibile unità. Gesù dice nel Corano:

     Io sono l’Apostolo di Dio inviato a voi per annunciare un Apostolo che verrà dopo di me, e il cui nome sarà Muhammad [LXI, 6].

Le parole di Cristo, lette in un’ottica sovrareligiosa, alludono a un Inviato che doveva seguirlo nella “catena profetica” della quale Gesù, proprio in virtù della sua natura universale di Profeta, parla in modo assoluto, fissando nell’”eterno presente” quanto ha carattere di ciclicità. Si deve poi far notare come il termine Consolatore è reso nel testo greco del Vangelo di Giovanni dalla parola Paraklytos, il “Degno di Essere Lodato”, titolo che è espresso nel nome arabo Muhammad.

Nel Corano Muhammad, oltre a essere annunciato dal Cristo, appare già nella Rivelazione del Monte Sinai, ove, con Mosè, si trovano uniti gli altri Profeti e a tutti Dio dice:

     Ogni volta che vi darò una parte della Scrittura e della saggezza e che vi invierò un apostolo per confermarvi quello che avete già ricevuto, dovrete credergli e aiutarlo [III, 81].     

Ancora nel Corano è detto:

     …a coloro che seguono l’Apostolo, il Profeta illetterato che trovano chiaramente menzionato nella Torah e nel Vangelo [VII, 157].

In Muhammad culmina dunque la Rivelazione di Dio, il Quale invia a lui il Libro per mezzo dell’Arcangelo Gabriele, lo stesso che aveva annunciato a Maria il concepimento di Gesù. L’Islam, da parte sua, considera tutti i Profeti come un aspetto dell’Intelletto divino ed esprime questa idea con la Realtà Muhammadica Eterna (al-haqiqat al-muhammadiyah) cui allude l’hadith: «Egli [Muhammad] era Profeta quando Adamo era ancora tra l’acqua e l’argilla».

Nelle sure coraniche il nome Muhammad è ricollegato a Dio del quale è Servo, Profeta, Apostolo e Inviato; egli rappresenta quindi il “ritorno alle origini”, una primordialità recuperata da un particolare contesto umano, prima di lui in preda all’idolatria e alla miscredenze; egli portò agli uomini un Libro in cui stava una Legge, un “velo da squarciare” per andare aldilà della “lettera” e nella “lettera” cogliere il significato che li anima. Di lui dice l’Imam Alì: «[Dio lo trasse] dallo stesso tronco dell’Albero da cui trasse gli altri Profeti e da cui selezionò i Suoi fidati…Egli è una lampada la cui fiamma arde continuamente, una meteora dalla luce fulgida… (Serm. n. 93)». Se dalla dimensione archetipica si cala nell’esistenza umana, si vede ancora come l’Imam Alì ricolleghi Muhammad all’”origine” e cioè alla “purezza” della sua ascendenza, quella “verginità” che l’Islam riconosce a Maria, madre di Gesù; così egli si esprime:

     Ogni volta che Dio divise le ascendenze, fece in modo che egli fosse contenuto nella migliore [Serm. n. 212].

Sempre dai Sermoni dell’Imam Alì, a conferma di quanto esposto nei versetti coranici e a loro approfondimento, risulta il valore della missione del Profeta. Egli descrive in tal modo la situazione esistenza in Arabia prima della Rivelazione coranica:

     …a quel tempo tutti rendevano Dio simile alla Sua Creazione, alteravano il Suo Nome e si rivolgevano ad altri diversi da Lui [Serm. n. 1].

     A quel tempo le persone erano cadute nel vizio, il Filo della Religione era rotto, i Pilastri della Fede erano crollati, i principi erano stati oggetto di sacrilegio, le aperture erano strette, la Guida sconosciuta e le tenebre prevalevano…La gente obbediva a Satana e camminava sui suoi sentieri [Serm. n. 2].

Una situazione, questa, destinata a mutare con la “discesa” del Corano nella “caverna” e con l’Ordine divino a Muhammad di dare inizio alla sua predicazione, ciò nel particolare momento scelto da Dio, quando, come avvenne per gli altri Profeti, il tempo era giunto alla sua “pienezza”. Dice a tale proposito l’Imam Alì:

     Attraverso lui, Dio li guidò fuori dall’errore e con i suoi sforzi li condusse fuori dall’ignoranza [Serm. n. 1].

     …Egli guidò la gente fino a riportarla alla vera Fede e alla salvezza [Serm. n. 33].

     E rivolgendosi a Dio così definisce Muhammad: Egli è il Tuo Vero Inviato, lo Scrigno della Tua Conoscenza, l’Annunciatore del Giorno del Giudizio, il Tuo Araldo di Verità [Serm. n. 71].

Ciò si lega al versetto coranico che così suona:

     Egli [Dio] è il Conoscitore dell’arcano, né svelerà il suo contenuto ad alcuno, fuorché all’Apostolo in cui si è compiaciuto [LXXII, 26-27].

Riassumendo in sé tutti i precedenti Profeti, Muhammad occupa il ruolo centrale nella Creazione, quel ruolo che fu dell’Adamo Paradisiaco, conoscitore di tutte le cose create e vivente nella continua e costante Luce divina. Dice di lui un versetto coranico:

    In verità Dio e i Suo Angeli profondano benedizioni sul Profeta. O voi che credete! Beneditelo e invocate su di lui la pace [XXXIII, 56].  

Di Muhammad dice ancora il Corano: «Egli è l’Apostolo di Dio e il Sigillo dei Profeti» [XXXIII, 40], idea questa che l’Imam Alì così esprime: «…la catena giunse, con Muhammad, al suo ultimo anello e la Profezia venne in tal modo completata» [Serm. n. 90]; dunque, per tutta la durata del presente ciclo, Dio non si rivelerà più agli uomini, in quanto il Profeta dell’Islam è stato l’ultimo mattone necessario a completare il muro e, quale ultimo anello, si è ricollegato all’”origine”, all’Archetipo Eterno da cui deriva la Profezia.

Ora, secondo la dottrina dell’Islam sciita, è indispensabile che dopo la morte del Profeta venga designato da parte di Dio un Imam per la gente, che conservi e custodisca il sapere religioso e i precetti dell’Islam e guidi gli uomini sul retto sentiero. Come nel caso della profezia, l’attenzione che Dio ha nei confronti del creato, implica che Egli guidi ogni Sua creatura verso il raggiun­gimento della propria perfezione.

Lo stesso motivo che rende necessario l’invio dei profeti e l’invito alla religione, rende necessario che il Profeta, che, mercé la sua infalli­bi­lità, custodiva l’Islam e guidava la gente sul retto sentiero, dopo la sua morte venga sostituito da Dio con una persona che, all’infuori del poter ricevere l’ispirazione divina e del possedere una missione profetica, possieda il suo stesso grado di perfe­zione, affinché possa come lui custodire il sapere e i precetti della religione islamica e guidare gli uomini sul retto sentiero. Nello stesso modo in cui l’intelletto, a causa della sua falli­bilità, non è in grado di fare in modo che la gente possa fare a meno del profeta, la presenza dei sapienti religiosi nel mondo islamico e le loro attività di divulgazione della religione non ha il potere di far sí che la gente possa fare a meno dell’Imam. È evidente che i sapienti Musulmani, per quanto timorati di Dio e probi siano, non sono immuni dall’errore e dal peccato; non si può quindi escludere che essi, anche se in modo involon­tario, distruggano oppure alterino alcune delle conoscenze e delle leggi islamiche.

L’Imam, al pari del profeta, deve essere immune dall’errore e dal peccato. Se cosí non fosse, il messaggio religioso arriverebbe in­completo e la guida divina perderebbe la sua efficacia. L’Imam deve possedere inoltre virtú quali coraggio, audacia, purezza, generosità, e giustizia. Chi infatti è immune dal peccato osserva tutti i precetti divini e il possedimento di buone qualità morali è una delle conseguenze necessarie di una corretta pratica religiosa. L’Imam deve inoltre possedere le virtú in misura superiore a qualsiasi altra persona; non avrebbe infatti senso e sarebbe in­vero contrario alla giustizia divina che una persona faccia da capo, da guida a chi è superiore a sé. Dal momento poi che l’Imam e il custode della religione e la guida degli uomini, deve possedere quelle conoscenze necessarie a risolvere i problemi riguardanti la vita materiale e spirituale della gente e a condurre l’essere umano alla beatitudine.

L’esegesi del Corano e la conseguente guida della Ummah (la società islamica) furono dunque i problemi che si presentarono dopo la morte del Profeta e la difformità di soluzioni date a essi stanno alla base della divisione del mondo islamico nelle due branche della Ahl al-Sunnah e della Shi’ia.

La Ahl al-Sunnah attua una netta divisione tra l’esteriore e l’interiore, tra religioso e sovrareligioso, tra esoterico ed essoterico, lasciando i primi alle turuq sufiche e preoccupandosi solo che le masse vivano nell’osservanza dei precetti della Shari’ah (la Legge divina), di cui deve essere custode il Califfo e la cui interpretazione fu compito delle differenti scuole. La Shi’ia, da parte sua, rifiuta tale dicotomia e mantiene l’unità tra interiore ed esteriore, considerando i “quattro sensi” del Corano in un’Integrazione Totale, in quanto emanazioni della Totalità divina, e in tale maniera esponendoli ai fedeli, i quali si elevano ai vari livelli conoscitivi a seconda della loro apertura intellettuale. Nella visione sciita, questa esegesi è riservata agli Imam, diretti discendenti di Alì, nipote e genero di Muhammad, e Vicari del Profeta fino al momento in cui, dopo la fine del presente ciclo, Dio creerà un nuovo Adamo e la catena profetica tornerà a snodarsi nell’ordine esistenziale umano.

Rivolgendosi ai compagni, vale a dire a coloro che, al pari dei discepoli di Gesù, erano in grado di comprenderlo, l’Imam Alì appare Vicario del Profeta, l’esegeta della Parola di Dio fissata nel Corano e i cui significati furono rivelati a lui da Muhammad; così infatti l’Imam Alì si esprime:

Qualunque cosa io vi dirò proviene dal Profeta [Serm. n. 88].

     La conoscenza delle segrete cose (ilmu’l-ghayb) mi è stata affidata dal Profeta… Dio la trasmise al Profeta ed egli la trasmise a me. Egli pregò Dio che il mio cuore e le mie costole potessero contenerla [Serm. n. 127].

     Io sono in grado di dire a ognuno di voi da dove è venuto e quale sarà il suo destino, ma io temo che ciò vi porti a considerarmi più grande del Profeta. Io rivelerò queste cose a chi di voi reputerò immune da questo pericolo [Serm. n. 174].

E sempre nell’ottica di mettere bene in evidenza la sua natura di Vicario, egli aggiunge:

     Voi siete a conoscenza della mia parentela e del mio stretto rapporto con il Profeta. Egli mi prese con sé che ero ancora bambino, mi tenne vicino al suo petto, mi fece dormire nel suo letto e mi trasmise il suo profumo. Egli mi nutrì dei suoi pensieri e delle sue meditazioni…Ogni giorno egli mi rivelava qualcosa e mi ordinava di tenerla bene in mente. Ogni anno egli si ritirava in preghiera sulla montagna di Hira e io solo ero in grado di vederlo…Io vedevo lo splendore della Rivelazione divina e sentivo il Profumo della Profezia…Egli mi disse: «Alì, tu vedi quello che io vedo e odi quello che io odo, ma tu non sei un Profeta. Tu sei il mio Vicario e marci sul Retto Sentiero» [Serm. n. 191].

Muovendo da questo punto fermo, l’Imam Alì può dunque porsi al centro della Comunità islamica e quindi a Vera Guida dei credenti:

   Io sono il mozzo su cui gira la ruota, e non appena il mozzo è tolto la rotazione cessa…Io vi ho posti sul Retto Sentiero [Serm. n. 118].

     Io sono a conoscenza dell’adempimento delle promesse e dell’intera Rivelazione [Serm. n. 119].

     Io accesi la Luce divina quando gli altri rimasero fermi…Io presi le redini [del Profeta] [Serm. n. 37].

    Io sono stato generato per la Vera Religione [Serm. n. 56].

È una conoscenza, la sua, che non si esaurirà con lui, bensì si trasmetterà agli Imam che lo seguiranno, i quali, in numero di dodici, si denominano i Discendenti del Profeta e assicureranno l’esegesi spirituale del Corano durante tutto il Ciclo della Wilayah (cioè guida e autorità spirituale); essi, con il Profeta e Fatima, sua figlia e sposa di Alì, formano i Quattordici Puri, richiamando due numeri egualmente simbolici.

L’Imam Alì parla nei suoi Sermoni dei Discendenti del Profeta, dei quali egli è il capostipite, così esprimendosi:

     Essi sono i depositari dei Suoi segreti, la Fonte della Sua Conoscenza, il Centro della Sua Sapienza, le Valli per i Suoi Libri, le Montagne della Sua Religione…Essi sono le Fondamenta della Religione e i Pilastri della Fede [Serm. n. 2].

     Essi sono la spina dorsale della giustizia, gli Stendardi della Fede e le Lingue della Verità [Serm. n. 86].  

     Nessuno entrerà in Paradiso se non li avrà conosciuti ed essi non avranno conosciuto lui. La Porta della Virtù può essere aperta solo dalle loro chiavi [Serm. n. 151].

     Noi, membri della Famiglia del Profeta, abbiamo le Chiavi della Conoscenza e la Luce della Guida [Serm. n. 119].

     Noi siamo i più vicini, noi siamo i Compagni, i Custodi del Tesoro e le Porte della Sapienza…Il senso profondo del Corano appartiene agli Imam, ed essi sono i Tesori di Dio…l’esteriorità delle cose nasconde un’eguale interiorità [Serm. n. 153].

     Essi sono la Vita della Conoscenza e la Morte dell’Ignoranza… Essi sono i Pilastri dell’Islam, assicurano la Verità e fugano l’Errore. Essi posseggono la conoscenza della Religione [Serm. n. 237].

È in tutto ciò espressa chiaramente l’idea che negli Imam sta il significato profondo della Rivelazione coranica, da essi attinta dal Profeta e da essi custodita come un prezioso tesoro, in una sala la cui porta si apre solo a chi ne possiede la chiave della Conoscenza che tale simbolica porta apre senza farle violenza.

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