TEOLOGIA (KALAM)
Distinta dalla filosofia (falsafa) nei suoi intenti principali, sebbene contaminata anch’essa dal pensiero greco (che cercava di avversare) fu la scienza del kalam (termine che nel suo senso primario significa ‘parola’, ‘discorso’). Il kalam è la scienza della parola o del discorso di Dio, ed in sostanza per kalam è da intendersi l’apologia difensiva o, più in generale, una sorta di teologia speculativa e dialettica.
Lo storico, filosofo e sociologo Ibn Khaldun (m. 1406) nel suo celebre Muqaddima (‘Introduzione [alla storia universale]’) la definisce la “scienza che, utilizzando le prove razionali difende gli articoli di fede e refuta ogni credenza deviante rispetto alla dottrina professata dagli antichi e dai seguaci della Sunna.” La scienza del kalam, che può essere definita la scolastica dell’Islam, si basa dunque sull’assoluta priorità attribuita alla Rivelazione divina rispetto alla ragione meramente umana, e per questo fermamente radicata sulla Scrittura e sulla tradizione al fine di salvaguardarla e consolidarla. Essa “ha il carattere di una dialettica pura, che opera sui concetti teologici.”
La teologia ebbe inizio fra i musulmani come il risultato di un tentativo di difendere i principi della loro fede contro attacchi da seguaci di altre religioni, e particolarmente dai cristiani, che erano armati degli strumenti della logica greca. Dapprima essa fu dominata dai mutaziliti. Gradualmente, in seguito a un primo periodo di intenso dibattito su questioni come il determinismo e il libero arbitrio, la natura degli attributi divini ecc., si consolidò una tradizione teologica che, dopo il IV/X secolo, cadde sotto il dominio degli ashariti. La scuola della teologia scolastica – Kalām, come divenne nota nella storia islamica – non si occupò, come le scuole di filosofia, di ogni questione che si presentasse alla mente umana, ma si limitò invece soprattutto ad argomenti specificatamente religiosi. Essa non tentò, a ogni modo, di seguire gli insegnamenti di alcuna scuola greca particolare, così che i teologi poterono esporre talune tesi abbastanza originali. Essi si servirono della logica sviluppata da Aristotele e dalla sua scuola, ma a fini diversi; la loro “filosofia della Natura” – le loro speculazioni concernenti la natura della luce e del calore, il significato della causalità e la “spiegazione” di eventi naturali – è del tutto distinta dalle visioni dei peripatetici.
MUTAZILISMO
La prima scuola organizzata del kalam fu quella mutazilita, fondata, o quantomeno ispirata da Wasil ibn ‘Ata (m. 748 o 749).
I Mutaziliti (da itazala, ossia ‘separarsi’) sono considerati la prima scuola teologica dell’Islam formatasi verso la prima metà del VIII secolo a Basra (anche se sarà Baghdad, sotto diversi regni, il centro della loro scuola), sebbene in realtà è da considerarsi più un movimento intellettuale nel quale confluirono pensatori e teologi di varia estrazione convergenti tutti verso la condivisione di cinque tesi fondamentali:
1) l’unicità di Dio, in cui tutto sarebbe radicalmente e unicamente uno;
2) il musulmano colpevole non è miscredente né credente, ma possiede un peculiare status intermedio;
3) l’imperativo morale di ‘ordinare il bene e proibire il male’;
4) Dio è necessariamente giusto (non può dunque compiere il male), per cui il creato è il migliore possibile;
5) Dio adempie alle sue promesse di premio e castigo (da cui discende il corollario dell’atto umano che è da considerarsi libero, per cui all’origine del male vi sono gli uomini stessi).
Innanzitutto l’Unicità divina, che è il principio fondamentale dell’Islam: i Mutaziliti danno dell’Essere divino e della sua unicità una concezione statica, limitata ontologicamente al piano dell’essere incondizionato. Concezione, questa, che porta alla sostanziale negazione degli attributi divini. Alcuni studiosi hanno visto l’influenza di vari fattori su tale elaborazione, ad esempio il confronto con gruppi non musulmani stabilitisi all’interno del mondo islamico (Mazdei in Iraq, Cristiani ed Ebrei in Siria), oltre alla lotta contro il dualismo di alcune sette persiane.
Riguardo alla seconda tesi, i Mutaziliti definiscono il ‘peccato’ (che può essere ‘lieve’ o ‘grave’) in rapporto alla fede e all’infedeltà, ponendo il peccatore, sia dal punto di vista teologico che giuridico, in una posizione intermedia, distinta sia dal pio musulmano che dal non-musulmano.
La tesi poi dell’imperativo morale di ‘ordinare il bene e proibire il male’ riguarda la vita di comunità, riguarda cioè la messa in opera dei principi della giustizia e della libertà nella società. Per i Mutaziliti la giustizia non consiste soltanto nell’evitare singolarmente il male e l’ingiustizia; essa è anche un’azione di tutta quanta la comunità al fine di creare un’atmosfera di uguaglianza e di armonia sociale, grazie alla quale ogni individuo possa realizzare le sue possibilità. Per cui libertà e responsabilità umana si estendono all’insieme della comunità.
Tale visione della libertà e della responsabilità dell’uomo (nel bene e nel male) è strettamente legata alla tesi della giustizia divina. Meglio, dalla giustizia divina derivano la nostra libertà e la nostra responsabilità, poiché la ricompensa o il castigo ultraterreno altrimenti non avrebbero senso. Dio è giusto, dunque, e giudica l’uomo, che è libero, a seconda delle sue azioni. Da qui l’ultima tesi, ossia che Dio premierà e castigherà secondo giustizia, così come ha promesso.
I mutaziliti dunque cercarono cercando di fare dell’Islam non solo una religione fondata sulla legge, ma anche una religione con uno spessore filosofico e teologico che potesse difendere razionalmente le proprie tesi attraverso un dialogo-confronto apologetico con i rappresentati delle altre religioni: difesa dell’islâm nel rifiuto delle tesi dell’avversario sul terreno delle sue stesse argomentazioni razionali. Da qui crebbe il desiderio per lo studio delle opere dei greci, che portò alle traduzioni che vennero fatte sotto il califfo al-Mamûn (d. 218 H./833), col fine preciso di imparare e di assumerne il metodo dialettico da usare durante le controversie filosofiche e teologiche. Secondo lo studioso R. Caspar, più che paladini del pensiero liberale all’interno dell’Islâm, i mu‘taziliti divennero i paladini della riforma islamica: cavalieri della fede in quanto veri cavalieri della ragione, che spinti dalla curiosità del sapere, si lanciarono nella ricerca sperimentale e nello studio della metafisica.
Molte tesi del mutazilismo sono poi state riprese e fatte proprio dallo Sciismo.
ASHARISMO
In risposta al movimento mutazilita sorse l’asharismo, dal nome del suo fondatore al-Ashari (874-935), dapprima mutazilita ma successivamente entrato in rotta con il patrigno e maestro al-Gubbai (890-933). Egli sente di criticare i Mutaziliti sia per il valore assoluto che questi sembrano talvolta attribuire alla ragione, rischiando di sostituirla alla fede sopprimendo così la religione, sia perché la fede in ciò che è al di là della dimostrazione razionale è un principio essenziale della vita religiosa su cui insiste lo stesso Corano. Si tratta dunque per al-Ashari di conciliare due estremi, tentativo che in senso più vasto significava tentare di conciliare le varie scuole sunnite.
Mentre per i Mutaziliti Dio è privo di ogni attributo positivo, e i letteralisti arrivavano a rappresentarsi la divinità quasi antropomorficamente, la soluzione di al-Ashari (che distinse l’attributo come concetto e rilevò che la dualità fra essenza e attributo stesso deve essere posta sul piano qualitativo) prevedeva che l’Essere divino possieda realmente gli Attributi e i Nomi che sono menzionati nel Corano, che hanno una realtà positiva distinta dall’essenza anche se non hanno esistenza né realtà al di fuori della stessa.
Riguardo alla questione del Corano creato o increato, mentre i Mutaziliti optano per la prima soluzione (in quanto il contrario potrebbe intaccare l’assoluta Unicità di Dio, discorso simile a quello riguardante gli Attributi), e i letteralisti per la seconda, al-Ashari ancora una volta sceglie la via intermedia: il Corano inteso come ‘discorso dell’anima’, indipendente dalla manifestazione verbale, è increato (intendendo indicare l’attributo divino del kalam sussistente eternamente in Dio), ma inteso come composto da parole scritte diventa un fatto temporale creato (contrariamente a quanto sostenuto dai letteralisti).
Anche riguardo alla libertà dell’uomo al-Ashari sceglie la via intermedia tra i fatalisti letteralisti e i Mutaziliti, che invece tendono ad introdurre una sorta di dualismo rispetto all’attività divina, in quanto l’uomo non soltanto è libero e responsabile, ma possiederebbe anche la potenza creatrice, ossia la facoltà di creare le proprie opere. Al-Ashari lascia all’uomo la libertà che lo rende responsabile dei suoi atti, ma gli attribuisce solo l’acquisizione delle sue opere, non la loro creazione (che è da attribuirsi a Dio).
L’asharismo, formatosi verso la metà del X secolo dai diretti discepoli di al-Ashari, divenne quindi in definitiva la scuola teologica sunnita maggioritaria, e può considerarsi una reazione in senso volontaristico al razionalismo mutazilita, in quanto rivendica il primato della divina onnipotenza e in particolare della Volontà libera, pura, illimitata e indeterminata di Dio. Il pensiero asharita può essere considerato il punto d’arrivo della scienza del kalam, pensiero che, se da un lato mirava a difendere la concordia fondamentale tra rivelazione e ragione, dall’altro tendeva a porre la prima al di sopra di tutto, anche a costo di contraddire in alcuni casi la seconda.
I Mutaziliti per spiegare la creazione e i rapporti che intercorrono tra Dio e il mondo, fecero ricorso all’idea di causalità universale, in cui gli Ashariti vedono una sorta di determinismo incompatibile con la libertà assoluta di Dio. La sapienza, la potenza e la volontà divine sono assolutamente al di sopra di qualsiasi condizione e determinazione. Al fine di spiegare la creazione del mondo e la relazione di questa con Dio essi ricorrono alla teoria dell’indivisibilità ad infinitum della materia, ossia all’atomismo, teoria certamente già presente nei pensatori greci ed anche indiani, ma rielaborata dagli Ashariti al fine di salvaguardare l’onnipotenza e la creazione di Dio così come da loro intesa. Dall’indivisibilità ad infinitum della materia deriva il ricorso ad una creazione continua, ad una condizione per cui la materia e l’accidente sono creati istante per istante da Dio. L’interesse per gli atomi e gli accidenti era dunque motivato principalmente dal desiderio di rivendicare la potenza assoluta di Dio e di spiegare con suo diretto intervento la venuta in essere delle cose e la loro persistenza nell’essere da un istante all’altro.
La scuola si sviluppò e si estese divenendo portavoce, fino a oggi, del Sunnismo.