Mauro Vitale

Sensazioni dal viaggio in Iran

Il viaggio è la mia passione, cerco di partire tutte le volte che ne ho la possibilità.
Sono affascinato dai luoghi e soprattutto dai popoli. Nelle mie esplorazioni ho incontrato paesaggi meravigliosi, città ricche di cultura, resti di antiche civiltà e la mia memoria resta profondamente impregnata da tutto questo. Parto per raggiungere dei luoghi, delle città, delle nazioni, ma con l’Iran è tutto diverso: parto per incontrare gli Iraniani.
Il popolo iraniano, mi incanta, mi attrae per tutti i suoi aspetti; le prime volte restavo stregato dalla sua ospitalità, disponibilità, e ora che sono al mio sesto viaggio in quei luoghi continuo a provare la stessa fascinazione ed è necessario dare una risposta più razionale a tutto questo.
Il mio sesto viaggio ha aggiunto un tassello fondamentale per capire questo popolo.
Nella umile Siachador il capo famiglia qashqai mi ha offerto tutto quello che di più sacro possedeva, un posto sul suo tappeto, il cibo, l’ospitalità per la notte. Nel matrimonio talysh, incontrato sui monti Elburz nella spedizione del terzo viaggio, siamo diventati il fulcro delle attenzioni rischiando addirittura di offuscare gli sposi, ed ora a Teheran nella colta e raffinatissima Vahdat Concert Hall mi ritrovo seduto in prima fila accanto al celebre compositore Aliresa Mashayekhi autore delle musiche del concerto, quella stessa musica che ascolto di frequente nei teatri italiani, austriaci, ungheresi e pensavo mancasse in questa Tehran satura di rumori e priva di suoni.
È una società estremamente eterogenea questa Iraniana che va dalle popolazioni nomadi dove gli ideogrammi sui tappeti sono una delle rare forme di espressione intellettuale, alla mostra personale di Ali Akbar Sadeghi, che mi cattura in questo sesto soggiorno nello splendido spazio del Tehran Museum of Contemporary Art.
Sto per recarmi al vernissage della nostra mostra “Popoli e Terre della lana” alla Nami Gallery of the forum e mi ritrovo perso nella moltitudine monocromatica che si accalca nella stazione Ferdowsi della metropolitana di Tehran. La prima sensazione è di spersonalizzazione, propria di tutti i luoghi superaffollati delle nostre metropoli; ambienti dove l’indifferenza annienta le relazioni fra le persone. Inghiottito nella ressa sulle prime ho la sensazione di essere invisibile e che finalmente anche qui sia tutto come a “casa” nostra, ma il déjà-vu iniziale ha breve durata e il solo fatto di essere identificato come occidentale frantuma quel muro di indifferenza.

“Where are you from”, è la domanda che mi bersaglia da più parti, e non è quasi mai fine a sé stessa; diventa spesso un grimaldello per annullare le distanze e immediatamente costruire una connessione. Ho sempre cercato di evitare questo tipo di approcci anticipatori di probabili insidie, ma immancabilmente, in Iran, sembra non esistere la truffa, il raggiro, la simulazione. È proprio questa utopistica considerazione che mi ha indotto ad un’analisi più disincantata.
Gli Iraniani sentono un bisogno spasmodico di rendere evidente quel lato della sfera dei sentimenti troppo spesso represso e oscurato in occidente dalla propaganda filo-sionista.
La cultura persiana ha radici antichissime e il patrimonio genetico di questo popolo ne è profondamente pervaso, non si possono rimuovere millenni di storia, una storia che ha origini comuni alla nostra; gli Iraniani sono consci di tutto questo e con orgoglio vogliono manifestarlo. Il contatto con l’occidentale e, con noi Italiani in particolare, diventa momento totalizzante a cui sacrificare il proprio tempo, una sorta di rito solenne, esclusivo, che induce a lasciar da parte il resto. Un incontro fugace si traduce il più delle volte in un’esperienza indimenticabile, la disponibilità assume i connotati di un dono fatto per cancellare le distanze, per fabbricare relazioni durevoli.
Alla nostra mostra è riservato l’onore di aprire il “15° immage of the Year-Tassvir Film”, sono presenti il vice-ministro della Cultura, una delegazione dell’Ambasciata italiana a Tehran; i più importanti Media ci intervistano, ci comunicano che dovremo presenziare seminari e conferenze.
Tutto ciò che ruota intorno alla cultura ha un peso preponderante nella vita degli Iraniani; i loro miti sono i poeti Hafez, Ferdowsi, Umar Khayyam. La pittura, la fotografia, e le arti visive in genere hanno una diffusione capillare.
Il nostro progetto ipotizza un ardito accostamento fra gli usi e costumi dei nomadi qashqai e talysh con la transumanza praticata dai pastori italiani attraverso il tratturo che attraversa l’Abruzzo, il Molise e la Puglia. L’idea nasce più da sensazioni che da fondamenti scientifici e per questo facilmente confutabile, specie per la presenza di esperti della cultura nomade iraniana intervenuti alla presentazione. Abituato al contraddittorio di precedenti esperienze in Italia, confesso di aver temuto domande atte a confutare le nostre tesi, invece l’interesse di tutti si è subito rivolto esclusivamente ad approfondire i possibili punti di comunione fra questi mondi geograficamente così lontani ignorando le eventuali differenze.
Ci lasciamo con l’intento di proseguire la ricerca su altre etnie quali i Turkmeni e i Bakhtiari.
Ho la sensazione che Il loro sia un invito dettato più da un impulso emotivo che da una ragione scientifica. La mia smania di esplorare altri mondi ne soffrirà ma sono certo di poter accettare questa rinuncia senza rammarico.

Mauro Vitale

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