Edoardo Ferrari

TEHERAN IN QUATTRO ELEMENTI

viaggio in Teheran

diario di viaggio a Teheran di Edoardo Ferrari

Rientrato da poco da Teheran, dopo sei settimane di soggiorno, ritorna alla mia mente la mia prima visita a questa città. Ricordo di un giorno in particolare, mentre passeggiavo cinque anni fa lungo Valiasr, unghissima arteria stradale che attraversa la metropoli da nord a sud. Durante il mio primo viaggio a Teheran mi imbattei, camminando fra filari di alberi che correvano lungo i lati della strada verso il mercato di Tajrish, in un edificio che mi colpì per il suo portico d’ingresso e il suo lungo cancello verde. L’ingresso, arretrato rispetto alla strada, portava all’istituto Dehkhoda. L’istituto, che prende il nome dal suo fondatore, è un centro di massima importanza sullo studio della lingua persiana. In quell’occasione, senza saperne il motivo, ebbi la sensazione che proprio lì sarei tornato un giorno, che, inaspettatamente, si è ripresentato cinque anni dopo.

Ritornare in Iran per iniziare a imparare il Farsi crea una diversa prospettiva sulla terra nella quale si trascorrono, o forse sarebbe meglio dire vivono, sei settimane. Sei settimane a Tehran richiedono innumerevoli spostamenti in macchina fra una zona e l’altra della città, molte ore nel traffico, fermi o in movimento. Dopo alcuni giorni, che lo si voglia no, si è come risucchiati dalle strade e dal loro ritmo. Tante delle memorie di questo viaggio sono legate a queste ore che ho trascorso seduto, in macchina, quando non potevo o non volevo chiacchierare con i conducenti o le altre persone che con me condividevano la corsa. In brevi momenti di assopimento, apparivano sbiaditi sogni dai quali mi destavo all’improvviso, interrotto da altre visioni a occhi aperti o da ricordi nuovi. Ed è proprio con alcune di queste immagini che vorrei descrivere il mio viaggio a Teheran : quattro punti, i quattro elementi, come fossero le coordinate di un viaggio interiore che viene distillato in piccole gocce, intense, che riportano a questa città.

– Terra –

Di una Teheran fatta di terra ci si può solo immaginare un lontano ricordo di più di un secolo fa. E’ muovendosi fra le ripide vie a nord della città che si intravedono ancora brandelli di muri di terra cruda coperti di lamiera. L’asfalto ha divorato quasi ogni angolo della metropoli, squarciato in pochi punti, dove crescono gli alberi. Sempre a nord della città si può cercare di sentire il fragore lento della terra che è diventata montagna. Ci si può immaginare la spinta dal basso che ha elevato queste catene montuose e sentire la terra che esce allo scoperto, mentre la città che si espande va coprendo tutto il resto. Ed è mentre si solca la terra tramite un sottopassaggio che si ha la percezione della sua presenza: la terra sotterrata, la terra scavata, la terra silenziosa. Mentre attendo, guardando dal finestrino della macchina il fango fra gli alberi, immagino le innumerevoli sculture che si potrebbero modellare in questi piccoli spazi fra le strade.

– Acqua –

Improvvisamente, in autunno, il cielo lascia cadere la pioggia che sembra far risaltare il verde delle piante, che, fino a qualche attimo prima, pareva ingrigito dalle strade. Volgendo lo sguardo verso nord si vedono le montagne dell’Alborz ricoperte di candida neve. E’ un sollievo per gli occhi posarsi dall’alba al tramonto sulle cime bianche al di là delle migliaia di edifici all’orizzonte. L’acqua fluisce per le vie della città inondando i canali ai lati delle macchine. Avvolge gli alberi per dissetarli e scorre veloce per le strade ripide di Tehran. E’ quando il sole torna a risplendere che la pioggia caduta ritorna di nuovo verso il cielo, evaporando in fretta. Le montagne risplendono ancora alla luce del sole mentre i passanti godono di alcuni attimi in cui tutto sembra essere ancora umido.

Sorrisi fra la gente.

– Fuoco –

Dentro una macchina la radio risuona: notizie, pubblicità e voci interrotte dall’aprirsi di una portiera che si spalanca sul mondo esterno, caotico, per alcuni attimi. Giungono inaspettate dagli altoparlanti della macchina le note di un setar, frammiste ai rumori della strada. Il loro suono cresce rapido, in successione, il ritmo aumenta. Queste note mi portano altrove mentre sfrecciano come le dita del suonatore le insegne dei negozi e le vite dei passanti fuori dalla macchina. In me si accende un fuoco, interno, ed è come se si animasse qualcosa di sconosciuto, inspiegabilmente: è come viaggiare sulle corde dello strumento avanti e indietro; è come sentirsi dita infuocate. Sono sempre seduto in macchina, ma non sento più l’aria fredda che entra dal finestrino abbassato. La voce delle note mi ha finalmente ridato calore in una fredda giornata d’autunno.

– Aria –

L’aria carica di gas della combustione non si fa dimenticare in nessun luogo. Uscendo dal traffico i sensi sono ancora confusi dall’odore di benzina. Il frastuono delle macchine non lascia quasi tregua. Si sente la necessità di dover fluttuare su tutto questo, lasciando tutto lontano al di sotto di noi, per sentirci più leggeri. E’ alla fine del viaggio a Teheran , fuori da ogni macchina, fra le mura di casa o in un piccolo caffè nascosto, che la pesantezza dell’aria può svanire. Davanti a una tazza di tè tutto magicamente si dissolve. Un piccolo fiore rosa si muove lento sul liquido caldo. L’aria diventa leggera. I ricordi portano ai giardini profumati del deserto, in quei brevi momenti in cui si possono odorare i paesaggi brulli dopo la pioggia. Profumi dimenticati fra le strade cittadine. Un leggero sentore conduce lontano dalla città, ancora una volta, il nostro pensiero. Un piccolo bocciolo rosa nel tè: gol mohammadi, non è solamente un fiore, ma una speranza quando l’aria sembra ormai consumata.

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