FILOSOFIA (FALSAFA)
La filosofia nel mondo islamico comparve intorno al III/IX secolo, quando avvenne la traduzione in arabo di testi filosofici greci. Il primo filosofo musulmano fu al-Kindī, il quale aveva familiarità con le dottrine della filosofia greca e si era fatto fare la traduzione di una versione compendiata delle “Enneadi” del filosofo neoplatonico Plotino. Fu lui che avviò il processo di formulazione di un vocabolario filosofico tecnico in arabo, e a un ripensamento della filosofia greca in termini di dottrine islamiche.
In entrambi questi aspetti fu seguito da al-Fārābī, il quale gettò le basi affinché la filosofia peripatetica si insediasse e si sviluppasse in seno all’Islam. I filosofi di questa scuola avevano familiarità con i neoplatonici alessandrini e ateniesi, e con i commentatori di Aristotele, e vedevano la filosofia dello Stagirita attraverso occhi neoplatonici. Non mancano inoltre elementi neopitagorici in al-Kindī, dottrine politiche sciite (la figura dell’Imam) in al-Fārābī e idee di ispirazione sciita (in particolare dello sciismo ismailita) in alcuni degli scritti di Avicenna.
La principale tendenza della scuola peripatetica, che trovò il suo più grande esponente islamico in Avicenna (Ibn Sina), fu a ogni modo verso una filosofia basata sull’uso della facoltà discorsiva, e dipendente essenzialmente dal metodo sillogistico. L’aspetto razionalistico di questa scuola raggiunse il suo punto terminale con Averroè (Ibn Rushd), il quale divenne il peripatetico musulmano più puramente aristotelico, e rifiutò, come aspetto esplicito della filosofia, quegli elementi neoplatonici e musulmani che erano entrati nella visione del mondo dei peripatetici orientali come Avicenna. A ogni modo, i filosofi peripatetici, pur lasciando un’impronta indelebile sulla terminologia della posteriore teologia musulmana, si allontanarono gradualmente dagli elementi ortodossi, sia teologici sia gnostici, cosicché dopo la loro “confutazione” da parte di al-Ghazzālī, esercitarono poca influenza sul corpo principale dell’opinione musulmana.
Dal VI/XII secolo in avanti, si sviluppò l’altra scuola principale della filosofia islamica, il cui fondatore fu Suhrawardī, e che divenne nota come la scuola illuminazionista (ishrāqī), in contrapposizione con quella peripatetica (mashashā’ī). Mentre i peripatetici si fondavano più decisamente sul metodo sillogistico di Aristotele, e cercavano di raggiungere la verità per mezzo di argomenti fondati sulla ragione, gli illuminazionisti, che attingevano le loro dottrine sia dai platonici e dagli antichi persiani sia dalla stessa Rivelazione islamica, consideravano l’intuizione intellettuale e l’illuminazione il metodo fondamentale da seguire, fianco a fianco con l’uso della ragione. Di fatto, assieme alla gnosi, essa occupò la posizione centrale nella vita intellettuale dell’Islam.
Mentre il mondo sunnita ha rigettato la filosofia quasi interamente dopo Averroè, eccezion fatta per la logica e per l’influenza persistente della filosofia sui suoi metodi di argomentazione, oltre che per alcune credenze cosmologiche che si erano conservate nelle formulazioni della teologia e in alcune dottrine del sufismo, nel mondo sciita la filosofia di entrambe le scuole, peripatetica e illuminazionista, continuò a essere insegnata come una tradizione viva nei secoli nelle scuole religiose. Lo sciismo è sempre stato numericamente una minoranza, ma la sua importanza spirituale e culturale durante la storia islamica è stata però molto profonda. In Persia gli sciiti duodecimani hanno dominato a partire dal X/XVI secolo, ove la filosofia trovò il suo habitat più congeniale dopo l’epoca di Averroè. Quivi la logica e la filosofia peripatetica, la quale è fondata sostanzialmente su di essa, divennero propedeutiche allo studio delle dottrine della scuola illuminazionista, e questo studio fu a sua volta una scala per ascendere alla comprensione delle dottrina della pura gnosi. Delle varie branche dell’Islam sciita, due sono particolarmente importanti per lo studio della filosofia islamica, la scuola duodecimana o ja‘farīta, e la scuola ismailita, che ebbe una grande influenza, sia politica sia culturale, durante il Medioevo. Gli imam sciiti che portano in sé la luce profetica, sono gli interpreti par excellence del significato interiore di tutte le cose, del Libro della Rivelazione come del Libro della Natura. Essi posseggono in principio la conoscenza di tutte le cose, soprannaturali oltre che naturali, e alcuni di essi – in particolare Ja‘far al-Sādiq, il sesto imam – furono non soltanto maestri di scienze religiose e spirituali, ma scrissero anche di scienze naturali. Lo sciismo cercò quindi di coltivare varie scienze, in particolare quelle cosmologiche. Molti fra i famosi scienziati e filosofi musulmani – come Avicenna, Nāsir-i Khusrau e Nāsir al-Dīn al-Tūsī – furono sciiti o provennero da un ambiente sciita.
Avicenna
La ricapitolazione e perfezione della filosofia di al-Kindī e al-Fārābī venne con Avicenna, che fu forse il più grande filosofo-scienziato, e certamente il filosofo più influente, all’interno del mondo islamico. Egli rappresenta un esempio eccellente di al-hakīm, nel quale si fondono varie branche della conoscenza. Dopo la sua morte i suoi scritti divennero ben presto la fonte da cui molte scuole diverse avrebbero attinto idee e ispirazione. Avicenna fu non soltanto un filosofo peripatetico che combinò le dottrine di Aristotele con certi elementi neoplatonici, e uno scienziato che osservò la Natura all’interno della cornice della filosofia medievale della Natura; egli fu anche uno dei precursori della scuola metafisica dell’illuminazionismo (ishrāq), di cui il più grande esponente fu Suhrawardī. Nelle sue opere più tarde, e specialmente nei Racconti visionari e nell’Epistola sull’amore, il cosmo dei filosofi sillogistici è trasformato in un universo di simboli attraverso cui lo gnostico viaggia verso la sua finale beatitudine. Nella “Logica” degli Orientali, appartenente a un’opera più vasta, gran parte della quale è andata perduta, Avicenna rinnegò le sue opere anteriori, che sono principalmente aristoteliche, considerandole idonee alla gente comune; egli propose, invece, per l’élite, la «Filosofia orientale». La sua trilogia – Hayy ibn Yaqdhan (Figlio vivente del Risvegliato), al-Tair (L’uccello) e Salāmān e Absāl – si occupa del ciclo completo del viaggio dello gnostico dal «mondo delle ombre» alla Presenza Divina, l’Oriente della Luce. In questi scritti il disegno dell’universo dei filosofi e scienziati medievali rimane immutato; il cosmo viene, a ogni modo, interiorizzato all’interno dell’essere dello gnostico – una “cripta”, rispetto alla quale l’iniziato deve orientare se stesso, e attraverso cui deve viaggiare. I fatti e i fenomeni della Natura diventano trasparenti, simboli che hanno un significato spirituale per il soggetto che viene a contatto con loro in questo viaggio cosmico.
La totalità dell’opera di Avicenna presenta un chiaro esempio della gerarchia della conoscenza all’interno della società islamica. Avicenna fu un osservatore e sperimentatore in geologia e in medicina; filosofo della scuola peripatetica, più neoplatonico che aristotelico; e autore di testi gnostici che sarebbero diventati la fonte di molto commentari di illuminazionisti posteriori. Si può vedere nei suoi scritti l’armonia della conoscenza sensibile, razionale e intellettuale, rivelata per mezzo di un edificio imponente fondato sulla gerarchia insita nella natura delle cose, e che poggia in definitiva sui molteplici stati e gradi della manifestazione cosmica.
Il Libro della Guarigione (al-Shifa) – l’esposizione più completa della filosofia aristotelica nell’Islam – contiene sezioni che si occupano di ogni branca delle scienze naturali, oltre che di logica, di matematica e di filosofia prima. Avicenna descrive inoltre una elaborata cosmologia, in cui i pianeti vengono fatti corrispondere a varie intelligenze o angeli, emananti tutti dal Primo Intelletto. Nel mondo islamico, e particolarmente in Persia, la cosmologia di Avicenna fu interpretata alla luce di un’angelologia, così che l’universo conservò sempre il suo aspetto sacro, e continuò a servire da sfondo armonico per le realtà della religione. Nel suo ciclo narrativo, oltre che in varie poesie e in brevi trattati meno noti, nel mondo occidentale, della sua filosofia “essoterica”, Avicenna chiarisce la primordialità del mondo intelligibile o angelico, e la sua superiorità su quello sensibile e umano, oltre che la necessità per l’anima umana di abbandonare questo mondo di ombre e di tornare al mondo angelico da cui è venuta. Dal momento che l’Intelletto è il principio dell’universo, l’anima acquisisce una certa conoscenza del cosmo solo quando è unita all’Intelletto – ossia, solo quando ha riacquistato la sua natura angelica.
Nei Racconti visionari Avicenna, lo storico naturale, scienziato e filosofo, diventa il navigatore e la guida attraverso l’intero cosmo, dal mondo delle forme grossolane al Principio divino. Tutta la sua vasta conoscenza, qui illuminata dalla visione intellettuale, gli serve da base su cui costruire con grande bellezza il panorama dell’universo attraverso cui l’iniziato deve viaggiare. Le scienze della natura sono qui trasformate in una realtà immediata e diretta. Il cosmo attraverso cui chi cerca di conoscere in maniera effettiva e non solo teorica deve compiere il suo viaggio viene interiorizzato all’interno del suo stesso essere; in un certo senso, egli “diventa” il cosmo. Avicenna comincia i Racconti visionari con una descrizione del saggio, che simboleggia la luce dell’intuizione intellettuale, oltre che il maestro spirituale, che deve guidare l’iniziato; e poi, nel linguaggio della guida, egli descrive l’anatomia dell’universo, o “cripta” cosmica, attraverso cui guida e iniziato, maestro e discepolo, devono compiere il loro viaggio.
Al-Ghazzālī
La diffusione della teologia asharita limitò l’influenza del razionalismo nell’Islam e con l’aiuto del sufismo lo distrusse infine come forza di primo piano. La persona che era destinata a realizzare la «distruzione dei filosofi» e nello stesso tempo a instaurare un’armonia fra gli elementi essoterici ed esoterici dell’Islam fu Abū æāmid Muáammad al-Ghazzālī. Rispettato parimenti da giuristi, teologi e sufi, e in possesso di una lucidità di pensiero e di una capacità di espressione notevoli, egli definì una volta per tutte nei suoi scritti la funzione che la filosofia, come tentativo della ragione umana di spiegare tutte le cose in un sistema, avrebbe avuto nell’Islam, e specialmente nell’Islam sunnita. Dopo di lui la filosofia razionalista continuò a essere insegnata, particolarmente nel mondo sciita, ma non come aspetto centrale della vita intellettuale dell’Islam. Nell’Islam al-Ghazzālī, espulse l’aristotelismo dalla vita interiore dell’Islam, garantendo in tal modo la sopravvivenza della scuola dell’illuminazionismo e del sufismo, che poterono conservarsi fino a oggi. Il corso radicalmente diverso degli eventi nell’Occidente e nel mondo islamico durante i secoli successivi, nonostante le molte somiglianze delle due civiltà durante il Medioevo, può forse essere spiegato in parte dal diverso atteggiamento che ciascuna delle due civiltà avrebbe adottato nei confronti della filosofia peripatetica. La reazione dell’Islam ortodosso, sia dei teologi sia anche di certi gnostici, contro i filosofi razionalisti, specialmente riguardo alle scienze della natura, è esemplificata nel modo migliore nelle “confessioni” di al-Ghazzālī Liberazione dall’errore, in cui questi enumera le varie scuole filosofiche e scientifiche e le loro limitazioni.
Averroè e la filosofia nell’Andalusia
In Andalusia la filosofia islamica raggiunse il suo apogeo e anche la sua conclusione con Averroè, dopo essere iniziata tre secoli prima di lui con Ibn Masarrah, il sufi e filosofo che fondò la scuola di Almería. Nel V/XI secolo il teologo, filosofo e storico della religione Ibn Hazm sostenne con i suoi voluminosi scritti la causa degli studi filosofici e teologici nell’Andalusia. Oltre a essere autore di un’opera notevole di storia delle religioni, Ibn Hazm scrisse varie opere filosofiche, di cui la più familiare è L’Anello della colomba, che al modo del Fedro di Platone analizza l’amore universale che pervade l’intero cosmo. Ibn Hazm rappresenta di fatto la tendenza platonica nella filosofia islamica in Andalusia.
Quanto alla scuola peripatetica, essa trovò il suo primo rappresentante eminente in Avempace, che nacque nel nord della Spagna, a Saragozza, e morì a Fez nel 533/1138. Egli fu sia uno scienziato sia un filosofo ed esercitò una grande influenza nonostante la maggior parte dei suoi scritti sia andata perduta. Come molti altri filosofi andalusi, fu più attratto dalla filosofia di al-Fārābī che da quella di Avicenna, mentre nello stesso tempo si opponeva ad al-Ghazzālī, che solo pochi anni prima di Avempace aveva criticato Avicenna su alcuni punti della sua filosofia. Sebbene egli stesso fosse incline a un’interpretazione metafisica della filosofia che la avvicinava al dominio della gnosi, egli ha rappresentato un’altra tendenza rispetto alla prospettiva di al-Ghazzālī. Di fatto, egli dette alla filosofia andalusa un’impronta che si potrebbe definire “antighazzālīana”, la quale culminò con Averroè, che si oppose sia ad al-Ghazzālī sia a certe interpretazioni di Avicenna che al-Ghazzālī aveva a sua volta criticato. Avempace scrisse vari commentari ad Aristotele, oltre a opere indipendenti di astronomia, filosofia e musica e, come al-Fārābī, fu un esperto musico. In astronomia scrisse un trattato in difesa della fisica celeste aristotelica contro il sistema epiciclico tolemaico, sottolineando così un esteso dibattito che venne portato avanti da posteriori astronomi e filosofi. La principale opera filosofica di Avempace è il Regime del solitario, un’opera metafisica incompiuta basata sul tema centrale dell’unione con l’Intelletto Attivo. Avempace sviluppò un’elaborata teoria delle forme spirituali. Egli distinse fra forme intelligibili astratte dalla materia e forme intelligibili indipendenti dalla materia, sostenendo che il processo della percezione filosofica dovesse andare dalle prime alle seconde. Questa dottrina è della massima importanza nella sua fisica, dov’egli la applica alla forza di gravità, con risultati che ebbero effetti storici di vasta portata. È infatti nel dominio dell’aspetto filosofico della fisica che Avempace è meglio noto in Occidente. Avempace concepì inoltre la forza di gravità come una forma interiore, una forma spirituale, che muove i corpi dall’interno e che egli paragonò al movimento dei corpi celesti a opera delle intelligenze. Egli eliminò in tal modo la barriera fra i cieli e il mondo sublunare.
Fra Avempace e Averroè si colloca la figura di Ibn Tufail, medico, filosofo e uomo politico noto anch’egli in Occidente attraverso le critiche rivoltegli da Averroè nel suo commentario al De Anima di Aristotele. Oltre ai suoi contributi alla medicina, egli è meglio noto per l’opera “Figlio vivente del Risvegliato”, che però non dev’essere confusa con l’opera di Avicenna che porta lo stesso titolo. Ibn Tufail fu di fatto un grande ammiratore di Avicenna, ma la sua opera ha una diversa impostazione e conclusione, sebbene anch’essa sia una ricerca della conoscenza attraverso l’unione con l’Intelletto Attivo. Ignota in epoca medievale, fu tradotta nel Seicento col titolo di Philosophus autodidactus e fece una profonda impressione su alcuni filosofi di quell’epoca oltre che sui mistici inglesi, i quali parlavano della “luce interiore” e cercavano di scoprire la “luce” all’interno di se stessi attraverso lo sforzo individuale.
La risposta ai filosofi musulmani che cercavano di modificare Aristotele così come alla sfida di al-Ghazzālī contro i filosofi fu data, ma senza un effetto troppo grande sul mondo musulmano, da Averroè. Egli credette, come molti filosofi medievali, che tanto la ragione quanto la Rivelazione siano fonti della verità e guidino al medesimo fine ultimo, com’è affermato nel suo libro Trattato decisivo sull’accordo della religione con la filosofia; a differenza di Avicenna e di molti altri filosofi musulmani famosi, però, il suo pensiero rimase molto più razionalistico che intellettuale. Il suo sistema è l’esposizione più completa e fedele, nel mondo islamico, di Aristotele e dei suoi commentatori neoplatonici. Egli seguì Aristotele con grande fedeltà nelle scienze della regione sublunare, sebbene differisca dallo Stagirita su questioni relative all’Intelletto, alla relazione di Dio con l’universo e alla connessione fra filosofia e religione. Eppure, come lo Stagirita, egli credette che l’intera conoscenza potesse essere scoperta dalla ragione umana operando sull’esperienza dei sensi, e che l’esistenza di Dio potesse essere dimostrata con argomenti attinti alla fisica. L’Incoerenza dell’incoerenza fu la risposta di Averroè all’attacco di al-Ghazzālī ai filosofi, che non ebbe però nel mondo islamico un’influenza pari a quella dell’attacco. Le idee di Averroè sono state insegnate in taluni paesi islamici, come la Persia, subito dopo la sua morte, come parte del corpus della scuola peripatetica. Eppure, anche nel campo della filosofia peripatetica, Averroè ha occupato una posizione secondaria rispetto ad al-Fārābī e ad Avicenna, le cui prospettive meno razionalistiche e più metafisiche hanno fornito una compagnia più congeniale alla gnosi e uno sfondo più idoneo all’intuizione intellettuale, di quelli della più razionalistica filosofia di Averroè.
Al Tūsī
Fu Nasīr al-Dīn al-Tūsī, uno fra i principali matematici e astronomi musulmani, a cercare di ristabilire la scuola di Avicenna. Egli riuscì a collocarsi nella prospettiva di ciascuna scuola, e difenderla dal proprio punto di vista; e anche a comporre un’opera in quel campo, che venne accettata più tardi come un’autorità classica. Egli aveva realizzato pienamente l’armonia interiore delle varie prospettive coltivate nell’Islam. Di fatto egli mette in luce nei suoi scritti questa armonia, risultato della posizione che è stata assegnata a ogni scienza secondo un ordine gerarchico, preservando così l’armonia del tutto e impedendo alle discipline di divenire nemici contendenti su un campo di battaglia intellettuale. Paragonato ad Avicenna, Nasīr al-Dīn al-Tūsī dev’essere considerato inferiore come filosofo e come medico, ma superiore come matematico e come teologo. I suoi scritti in persiano sono più importanti di quelli di Avicenna. In ogni caso, egli è secondo solo ad Avicenna, il maestro di tutti i filosofi-scienziati musulmani, nella sua influenza e nella sua importanza per le arti e le scienze e la filosofia islamiche. L’universalità del genio di Nasīr al-Dīn al-Tūsī, che alcuni hanno abbastanza erroneamente scambiato per mancanza di principi, è dimostrata dal fatto che, mentre fu al servizio degli ismailiti, riuscì a padroneggiare le loro dottrine e anche a scrivere varie opere che contengono alcune fra le esposizioni più chiare dell’ismailismo.
Suhrawardī e Mullā Sadrā
Sebbene visse quasi un secolo prima di Nasīr al-Dīn al-Tūsī, Shihāb al-Dīn al-Suhrawardī appartiene – per quanto riguarda l’influenza della scuola da lui fondata – ai secoli successivi al filosofo matematico, sul quale esercitò anche una certa influenza. Suhrawardī visse solo 38 anni, essendo nato nel 548/1153 ed essendo morto nel 587/1191, ma furono però per lui sufficienti per fondare la seconda più importante prospettiva filosofica dell’Islam, la scuola dell’illuminazionismo, che divenne una rivale della più antica scuola peripatetica, e finì presto addirittura con l’oscurarla. Suhrawardī studiò a Maragha, centro delle future attività astronomiche di al-Tūsī, e anche a Isfahan, dove fu compagno di studi di Fakhr al-Dīn al-Rāzī. Viaggiò molto in Persia, Anatolia e Siria, stabilendosi infine ad Aleppo. Qui la sua aperta esposizione di dottrine esoteriche, e specialmente il suo ricorso a un simbolismo attinto a fonti zoroastriane, oltre alle sue critiche dure ed esplicite verso i giuristi, determinarono una severa reazione, che portò alla sua carcerazione e infine alla sua morte. Suhrawardī, noto ai suoi compatrioti come Shaykh al-ishrāq, o «maestro dell’illuminazionismo», fu autore di una serie di opere filosofiche e gnostiche in arabo e in persiano, la più importante delle quali è l’Hikmat al-ishrāq (La Saggezza dell’Illuminazionismo), il testamento fondamentale di quella scuola, che da quando fu scritta ha sempre dominato la scena intellettuale della Persia. Suhrawardī apre questa opera magistrale con una critica severa della filosofia peripatetica, non soltanto nella logica, ma anche nella filosofia naturale, nella psicologia e nella metafisica. Egli insiste sul mondo archetipico, che Aristotele aveva lasciato da parte a favore della forma immanente, e considera lo studio della natura come la penetrazione e l’interpretazione ermeneutica di simboli cosmologici. Egli abolisce inoltre la distinzione aristotelica fra le regioni sublunari e celesti, e colloca il confine fra il mondo della pura luce, o Oriente, e il mondo in cui la materia, o l’oscurità, sono mescolate alla luce – ossia l’Occidente – nella sfera delle stelle fisse. Il vero cielo comincia dunque al confine dell’universo visibile, e ciò che gli aristotelici e i tolemaici hanno chiamato i cieli appartiene più o meno allo stesso dominio del mondo della generazione e della corruzione.
Suhrawardī discusse a lungo anche il problema della conoscenza, fondandola in definitiva sull’illuminazione. Egli combina il modo della ragione con quello dell’intuizione, considerando le due come complementi necessari l’una dell’altra. La ragione senza intuizione e illuminazione è, secondo Suhrawardī, puerile e semicieca e non può mai raggiungere la fonte trascendente di ogni verità e intellezione; mentre l’intuizione, senza una preparazione in logica e senza l’addestramento e lo sviluppo della facoltà razionale, può essere sviata, e inoltre non può esprimersi succintamente e metodicamente. Questo è il motivo per cui La Saggezza dell’Illuminazionismo comincia con la logica e termina con un capitolo sull’estasi e sulla contemplazione delle essenze celesti. Suhrawardī scrisse anche numerosi brevi racconti simbolici, principalmente in persiano, che sono capolavori della prosa persiana e che illustrano, in una forma altamente artistica, l’universo di simboli attraverso cui l’adepto deve viaggiare per raggiungere la verità. In questi trattati vengono discussi molti aspetti della filosofia naturale, specialmente la luce e i fenomeni luminosi. Il fine è però quello di aprire una via attraverso il cosmo, allo scopo di guidare colui che ricerca la verità e di liberarlo quindi da tutti gli impacci e le determinazioni connessi al dominio naturale. Il fine ultimo di tutte le forme di conoscenza è l’illuminazione e la gnosi, che Suhrawardī colloca, con termini inconfondibili, alla sommità della gerarchia della conoscenza, affermando in tal modo la natura essenziale della Rivelazione islamica.
Le dottrine di Suhrawardī trovarono la loro casa congeniale in Persia, specialmente nell’ambiente sciita, nel quale durante l’ultima fase della storia islamica si svilupparono la filosofia e la teosofia islamiche. La scuola di Suhrawardī si avvicinò a quella dei peripatetici, specialmente come interpretata da Avicenna, e anche alle dottrine gnostiche della scuola di Ibn ‘Arabī. Nel grembo dello sciismo queste diverse prospettive si unificarono infine nell’XI/XVII secolo nella sintesi realizzata da Mullā Sadrā. Questo saggio persiano fu filosofo e gnostico e uno dei più grandi espositori di dottrine metafisiche nell’Islam. I Viaggi spirituali di Mullā Sadrā sono l’opera più monumentale della filosofia islamica, in cui argomentazioni razionali, illuminazioni ricevute dall’intuizione spirituale e i principi della Rivelazione si armonizzano in un tutto che segna il culmine di un migliaio di anni di attività intellettuale nel mondo islamico. Fondando la sua dottrina sull’unità dell’Essere, sul costante mutamento “transustanziale” e sul divenire di questo mondo imperfetto della generazione e della corruzione, Mullā Sadrā creò una vasta sintesi che dominò la vita intellettuale della Persia e di gran parte dell’India musulmana durante gli ultimi secoli. Insieme a Suhrawardī egli fornì una visione dell’universo che contiene elementi delle scienze della Natura precedentemente sviluppati, e che sono stati la matrice delle scienze intellettuali e filosofiche, particolarmente nei paesi orientali dell’Islam. Perciò le sue dottrine, come quelle del maestro della gnosi islamica, Ibn ‘Arabī, e dei suoi seguaci, hanno fornito la visione del cosmo alla maggior parte di coloro che, nel mondo islamico, hanno calcato la via della realizzazione spirituale.