La Storia dell’arte dell’Iran

PRIMA PARTE

L’ARTE DELL’IRAN PREISLAMICO

L’ARTE DEL PERIODO ACHEMENIDE

Gli Achemenidi furono una dinastia di re persiani. I Persiani (Parsi) erano una popolazione ariana di fatto imparentata con i Medi. Erano divisi in tre gruppi:

1) i Parsua, stabiliti a ovest del lago di Orumiyeh, i quali vivevano a fianco dei Mannei. Dopo l’ascesa al potere dei Medi e l’istituzione del loro impero, che incluse anche i Mannei, i Parsua accettarono l’autorità del sovrano medo;
2) il secondo gruppo abitava la zona a est del territorio di Susa, e vivevano in unità con gli Elamiti. La loro capitale era Anshan e nel periodo del massimo splendore dell’Elam – primi secoli del primo millennio – con gli elamiti ebbero un governo comune. Questo gruppo si chiamava Parsumash;
3) i Persiani, o Parsi, che abitavano l’attuale Fars, o per meglio dire le zone di Marvdasht e di Estakhr.

Ciò che pensano alcuni, cioè che i Parsumash e i Parsi siano quegli stessi Parsua stabiliti a ovest del lago di Orumiyeh, migrati a sud, sembra poco ragionevole. Infatti, in primo luogo non esiste nessun documento in grado di confermarlo, e in secondo luogo una migrazione a sud avrebbe necessitato di motivazioni serie. I Parsua occupavano un territorio, quello a ovest del suddetto lago, verde e fertile, e la ricerca di nuove terre era fuori discussione. D’altra parte, se lo scopo fosse stato quello di avvicinarsi ai loro cugini Parsumash ad Anshan, avrebbero dovuto attraversare i territori dei Medi, dei Lullubi e dell’Elam, e tutta questa fatica solo per avvicinarsi ai Parsumash è piuttosto improbabile. I tre gruppi di Persiani, probabilmente, dopo la nascita del regno medo o proprio mentre i Medi si stavano stabilendo, colonizzarono diverse parti dell’Iran; i Medi, essendo numericamente più consistenti, riuscirono per primi a formare uno stato forte ed esteso.
I Parsumash si unirono agli Elamiti ad Anshan, e alla fine del secondo millennio accettarono il dominio elamita; tra il 1.300 e il 1.100 Untash-Gal e i suoi successori si proclamarono re di Anshan e Susa. Quando i Medi occuparono l’Iran centrale, occidentale e settentrionale, sottomettendo i Mannei e i Parsua, i Parsumash costituirono un piccolo potere locale ad Anshan e intorno al 700 Almanas o Achemene fondò nella città la dinastia achemenide. Dopo di lui, Teispe ereditò il trono, regnando dal 675 al 640. Fu lui a conquistare la terra dei Parsi, o Parsea, e verso la fine del suo regno spartì i territori sotto la sua autorità tra i suoi figli. Il territorio dei Parsumash venne assegnato al figlio maggiore Ciro I, che chiamò “il grande re”; la Parsea venne assegnata al figlio minore, Ariaramne, che il padre chiamò “grande re, re dei re, re della Parsea”. Ciro, che era più vicino all’Elam e alla Mesopotamia, al fine di mettersi al riparo da eventuali invasioni assire, inviò suo figlio maggiore a Ninive, presso Assurbanipal, per assicurargli che l’Elam non sarebbe stato attaccato. Ariaramne all’inizio fece dei buoni progressi, ma suo figlio Arsam non fu in grado di governare altrettanto bene. Ciro I, quando i Medi erano al potere ebbe un atteggiamento amichevole, tentando di unire i Persiani e i Parsumash. Suo figlio Cambise I, anche se si considerava indipendente, agiva in modo tale che i Medi lo consideravano la loro longa manus. Per questo, dopo Ariaramne e a causa della debolezza di Arsam, Astiage re dei Medi assegnò anche la Parsea al controllo di Cambise, offrendogli in sposa la figlia Mandane; dalla loro unione nacque Ciro II, che sarà noto come Ciro il Grande.
In principio, Ciro si impegnò a rispettare l’autorità di Astiage, ma dentro di sé coltivava l’aspirazione di impadronirsi della corona e del trono dei Medi. Per prima cosa, fece stringere a tutti i popoli iranici un patto di fedeltà, accettando al contempo la proposta di unione che veniva dal sovrano babilonese Nabunaid (Nabonidus). Nabonidus, ormai al sicuro da Ciro, mise insieme un esercito e nell’anno 553 attaccò Harran, mettendo fine al dominio medo sulla città. Astiage, spaventato dall’ascesa al potere di Ciro, gli inviò contro un esercito guidato da Arpago, il quale però si unì all’esercito di Ciro con molti dei suoi uomini. Astiage fu così costretto a mettere insieme un esercito guidato da lui in persona, ma Ciro attaccò improvvisamente Ecbatana, conquistandola e facendo prigioniero Astiage. Tutti i territori dominati dai Medi finirono così nelle mani di Ciro. Dopo aver piegato i Medi, Babilonia, la Lidia, Pasargade, Ciro conquistò anche Sardi. Suo figlio Cambise II si spinse fino in Egitto. Nel periodo di Dario I il regno achemenide arrivava fino alla Grecia a ovest, all’Armenia e all’Asia Minore a nord, e fino al Sind a est, cioè il più grande impero del mondo antico, il quale a dispetto della grande molteplicità di lingue, religioni, usi e costumi, durò per più di duecento anni.
In quest’era, la storia dell’arte iranica cambia profondamente, il che non significa che nacque una nuova arte. Ciò che è arrivato fino a noi, relativo a un periodo di due secoli, è tale e tanto che noi possiamo facilmente interpretarlo e commentarlo. Questo vale soprattutto per l’architettura, nella quale gli altri popoli iranici non ci hanno lasciato molto. Pasargade e Persepoli sono ottimi esempi di architettura achemenide, i quali grazie alla varietà e quantità di opere, illustrano bene la conoscenza e la competenza degli architetti del periodo.
A Pasargade non sono rimaste in piedi molte opere che ricordino una città, a parte una torre mezzo distrutta o incompleta e un edificio di guardia piuttosto piccolo. Le costruzioni sono separate le une dalle altre. Una di esse è un palazzo residenziale, un’altra è una sala d’udienza; erano probabilmente collegate da un viale alberato o da un giardino lungo il quale passava un canale di pietra. Del resto della città, che doveva necessariamente circondare questi palazzi, non è rimasto niente in piedi. Si tratta di:

1) i resti di una fortezza, che forse era la rocca della città;
2) un portone e un edificio rettangolare di 22 metri per 26,56, che ha una sola sala con due file di quattro colonne, le porte principali che si aprono su due parti, sorvegliate da due enormi buoi, i cui frammenti sono sparsi nelle vicinanze. Sul lato più grande c’è la raffigurazione di un uomo con quattro ali e un particolare copricapo con al centro tre forme di brocca, sopra le quali c’era un’iscrizione che oggi è scomparsa. Il testo dell’iscrizione recitava: “Io, Ciro, re, re achemenide, ho costruito questo”;
3) un ponte, a ovest della porta, eretto sopra il canale. La carreggiata, che era in legno, era sorretta da cinque file di tre colonne;
4) il cosidetto Palazzo dell’udienza , che si trova a 200 metri a nord-ovest della corte, di 32,25 per 22,14 metri, che comprende due file di 4 colonne alte 13,44 metri, in pietra calcarea bianca, sopra piedistalli rettangolari bianchi e neri. I capitelli delle colonne hanno forma di mezzo leone, felini con corna, tori e cavalli. Le porte che stanno al centro delle due parti hanno dei grandi bassorilievi con iscrizioni in siriaco: dalla parte orientale c’è un essere mezzo pesce e un minotauro, in quella occidentale un uomo e un demone con zampe d’uccello. Le porte si aprivano su due portici dell’altezza di 5,10 metri: il portico meridionale è comprende da due torri ai due angoli, che probabilmente erano il luogo dove salivano le scalinate. Questo portico, che misurava 53 metri di lunghezza era collegato con lo spazio esterno;
5) il padiglione del giardino, o il luogo di guardia, una sala lastricata delle dimensioni di 10,15 metri per 11,7, con due porticati con file di colonne sui due lati, nelle vicinanze del quale è stato trovato un tesoro di oro e argento;
6) il palazzo residenziale, eretto sulla verticale della sale delle udienze, dalla superficie di 42 per 73 metri. La sala centrale misura 32 per 23,5 metri e comprende cinque file di 6 colonne. Le colonne sono di pietra calcarea bianca, poggiano su piedistalli rettangolari bianchi e neri e sono più basse di quelle della sala delle udienze. Ciascun lato più grande aveva una porta che non era però al centro, ed era decorata con immagini a bassorilievo su pietra nera: il re con un abito pieghettato, seguito dal principe alle sue spalle, che entra nella sala. Sul suo abito c’è un’iscrizione: “Ciro il Grande, re degli Achemenidi”. È possibile che questi disegni siano stati eseguiti nell’epoca di Dario. Il portico settentrionale presenta due file di 12 colonne, con due torri nei due angoli. Il portico meridionale è lungo 73 metri e largo 9,35 e aveva 2 file di 20 colonne di legno ricoperte di stucchi multicolore. Un pilastro ospita un’iscrizione in tre lingue: “Io, Ciro, sono il re degli Achemenidi”. Questo palazzo è il solo edificio che ha le pietre tagliate con strumenti dentati con una tecnica proveniente dalla Ionia, e questo indica che la sua costruzione è più vicina a noi del resto dei palazzi di Pasargade, in quanto dovrebbe essere stato eretto verso la fine del regno di Ciro;
7) la torre che è nota con il nome di “Prigione di Salomone” si erge a 250 metri dal palazzo residenziale, in una fortezza di mattoni in terra cruda. Della torre non rimane che un muro, simile ai muri della torre di Naqsh-e Rostam. Era alta 14 metri, la parte inferiore era piena e aveva soltanto una stanza, all’altezza di 7 metri, che si raggiungeva per mezzo di una scalinata di 29 gradini ricavata al suo interno. Sembra che l’edificio fosse una tomba o un tempio, infatti è assente la scalinata che conduce al tetto, dove di solito si eseguivano i rituali del fuoco;
8) la tomba di Ciro si trova in posizione isolata, a sud del palazzo, e comprende una base alta cinque metri e mezzo; è di 6 piani, e una stanza di circa 5 metri per sei si apre all’altezza della base. All’interno c’è la tomba vera e propria, una stanzetta di 3 metri per due, con un soffitto a doppia inclinazione che ricorda i cornicioni dorici. Lo zoccolo esterno è decorato con piccoli fiori e altri motivi ed è stato fatto al di sotto di due piccole stanze non raggiungibili.
Quello che abbiamo sommariamente detto di Pasargade è ben lontano dal coprire tutto quello che c’era un tempo. Normalmente gli Iraniani hanno sempre avuto poca attenzione per il passato, ed è probabile che nei periodi successivi, in particolare in epoca islamica, le popolazioni rurali abbiano utilizzato il sito come cava di pietra per le loro costruzioni. Invece, Ciro il grande aveva scelto questo luogo come residenza, eleggendolo a capitale eterna. E fu ancora lui a far costruire la grande piattaforma di pietra di Persepoli, che sorge sulla montagna di Rahmat. Per ragioni che André Godard ha spiegato, non è possibile che sia stato Dario, con tutti gli impegni politici e militari che ebbe, a costruire in pochi decenni questa grande piattaforma, insieme al suo palazzo personale a Pasargade. Per questo, la base di Persepoli deve essere stata eretta nell’epoca di Ciro, per essere completata sotto Dario. La piattaforma ha i lati occidentale, orientale e meridionale rispettivamente di 455, 300 e 290 metri, mentre l’altezza del lato meridionale è di 18 metri. L’archeologo Ernst Herzfeld ha scoperto, in una torre nella parte nord di Persepoli, 30.000 tavolette con incisioni in lingua elamitica e documenti ufficiali del regno di Dario, le quali purtroppo non si sa che fine abbiano fatto. Persepoli è un esempio molto ricco e interessante dello splendore dell’architettura achemenide, ed è il prodotto dell’esperienza accumulata dagli abili architetti iraniani nella costruzione dei palazzi di Pasargade e di Susa. Per accedere alla grande piattaforma c’è solo una scalinata a due direzioni, posta a nord sul lato occidentale, che conduce il visitatore ad ammirare un maestoso portale di pietra, la “Porta delle Nazioni”. Tale portale fu iniziato da Dario e portato a termine da Serse. L’edificio ha tre porte: la porta occidentale, aperta sulla scalinata, la porta orientale, che dà accesso ad lungo un viale che prosegue verso est, e la porta meridionale, che si affaccia sul cortile dell’Apadana. L’architrave del portale era retto da quattro colonne, alte oggi più di 14 metri e che dovevano essere alte in origine almeno 16. Il passaggio orientale e quello occidentale del portale era “sorvegliato” da statue di tori alati antropomorfi. I tori, ispirati all’arte assira, differiscono dai tori assiri nel fatto che hanno una zampa in meno, quattro invece di cinque.
Al centro, si erge la facciata nordovest del grande palazzo dell’Apadana, come a Susa. Questo palazzo sorge su una base alta 2,60 metri, e ciascun lato misura quasi 112 metri; le facciate a nord e a ovest hanno due scalinate ciascuna, con decorazioni scolpite a bassorilievo. Oltrepassando le scalinate, si giunge a un portale, e da qui si entra in una sala. L’Apadana a nord, ovest e est presenta dei grandi portali absidati a volta con 12 alte colonne, simili alle colonne del palazzo stesso. Sul lato meridionale si aprono dei depositi e delle stanze secondarie. La sala dell’Apadana, che senza contare i portali absidati è un quadrato con lato di 60 metri e mezzo, ospita 36 alte colonne, che sostenevano un soffitto a più di 20 metri d’altezza. È probabile che la scala settentrionale servisse a entrare nella sala, mentre da quella orientale si entrasse nella sala del consiglio, il Tripylon. Al centro di ciascuna facciata del palazzo vi è l’immagine di Serse assiso sul trono, con a fianco il figlio in piedi, ed un notabile medo scelto fra un gruppo di altri. Sopra di lui c’è un disco achemenide alato in volo. Da entrambi i lati dell’entrata è rappresentato un leone che aggredisce un bovino; non sembra che l’immagine simboleggi qualcosa, ma pare avere solo una funzione ornamentale. Il funzionario medo probabilmente rappresenta tutti i popoli chiamati alla presenza di Serse, e presenti dalle due parti della scena (Fig. 11). Da una parte c’è un guardiano persiano dell’esercito immortale, poi una carrozza reale, ufficiali Medi e Persiani; dall’altra parte, 23 rappresentanti dei popoli governati dall’impero achemenide, nei loro abiti nazionali, guidati uno alla volta a corte dagli inservienti di corte. Dopo la morte di Serse, l’immagine centrale a rilievo di ciascuna parte venne rimossa, e depositata nel tesoro, sostituita dall’immagine dei soldati dell’esercito immortale, uno di fronte all’altro. Il palazzo eretto sopra questa piattaforma era un edificio rettangolare in mattoni che, come detto, poggiava su quattro torri poste in corrispondenza di ciascun angolo. I portali absidati posti a nord, ovest ed est dell’Apadana sono delimitati e separati da queste torri.
Le colonne dei portali, che raggiungono 19 metri, hanno capitelli di diversa foggia. Quelli a ovest sono a forma di toro, quelli a est a forma di leone cornuto e quelli a nord sono simili a quelli dell’Apadana.
Dagli scavi è emerso un deposito di documenti del Palazzo di Dario con tavolette trilingui, antico persiano, elamitico e babilonese, in oro e in argento. Accanto alle tavolette, erano conservate monete della Lidia di Creso, di Egina, di Abdera e di Cipro. Non ci sono tuttavia tracce di monete di Dario. La sala del consiglio è una piccola sala che si trova a distanza dai complessi pubblici e interni di Persepoli, nell’angolo sudorientale dell’Apadana, e sorge su una base che ha una doppia scalinata; fu costruita per ospitare l’assemblea ed era punto di passaggio tra le due parti principali del sito. La sala ha quattro colonne e due porte si aprono su due iwan retti da due colonne. Le immagini accanto alle porte rappresentano Dario nell’atto di uscire, seguito dal figlio e presenta anche una porta trasversale che mostra Ardashir mentre i rappresentanti dei popoli portano suo figlio.
Dario fece costruire un piccolo edificio nella parte meridionale dell’Apadana, che lui stesso chiamò Tochara (o Tochariyeh), insieme ad altri edifici che furono poi ultimati da Serse. Una facciata secondaria e una scalinata furono aggiunte per suo ordine; anche questo edificio giace su una piattaforma, e nella sua parte meridionale alloggia un portico d’ingresso delimitato da torri. Quindi, la sala principale è delimitata da 16 colonne e due sale di consiglio, chiuse simmetricamente dalle due parti da ripostigli; le decorazioni delle porte mostrano scene della vita privata del re, con servitori che portano panni e boccette di profumo. Ci sono altri palazzi, malauguratamente assai danneggiati, eretti dai successori di Dario in questa parte del sito. Dario fece erigere a est una serie di palazzi che sono stati più volte modificati, ampliati e alla fine utilizzati come tesoreria reale. La tesoreria, in accordo con la tradizione mesopotamica, era un edificio ipostilo che sorgeva attorno a un cortile centrale, privo di abbellimenti sulle facciate esterne. Dall’unico cortile presente in questa sezione, si accede, attraverso quattro portali, ad alcune stanze indipendenti e a due gruppi di grandi sale, separati da un corridoio. Questi ambienti erano separati dal muro perimetrale da alcune stanzette adibite a ripostiglio e dotate, probabilmente, di alte finestre che affacciavano all’esterno.
La base di questo palazzo misurava 62 metri per più di 120 e a nord conduceva a un altro complesso, che comprendeva un cortile con iwan e un’ampia sala con 121 colonne. Nel cortile ci sono due grandi bassorilievi che riassumono le scene scolpite dell’Apadana. Serse aggiunse un’ampia sala alla parte settentrionale del complesso e separò questa parte dall’ala occidentale, con lo scopo di sostituirla con un palazzo, comunemente detto “harem”, provvisto di numerose stanze.
La zona nordorientale della fortezza reale, divenne da Serse in poi un complesso indipendente, isolato dal resto per mezzo di un muro. Ad esso si accedeva direttamente dalla “Porta delle Nazioni” e dalla strada nordorientale. Da quest’ultimo ingresso, si entrava attraverso un ampio portale con scalinata, simile a uno presente a Susa, e abbellito con due statue riccamente decorate di Dario. Si entrava quindi in un cortile, alla fine del quale si ergeva un grande padiglione con cento colonne, portato a compimento (464-425 a C.) da Artaserse I. Il portico che delimitava la sala era lungo 56 metri, ed era sostenuto da maestosi tori. La grande sala, come forse la tesoreria, era illuminata da finestre aperte in alto lungo i muri. Le soglie delle porte di ingresso sono decorate con immagini di eroi persiani che trascinano dèmoni e con l’immagine del re mentre accompagna per mano i soldati Medi e Persiani.
Nelle decorazioni di Persepoli non ci sono immagini di carattere militare o di guerra, così come gli edifici nella parte est del complesso, che si appoggiano alla montagna, non erano depositi di armi o stalle per cavalli o carri reali. Questi edifici, con i loro portali absidati, erano pertinenze del palazzo di Dario, trasformate in tesorerie, e dovevano avere degli spazi residenziali. Un piccolo palazzo e un edificio che dovette essere utilizzato solo temporaneamente, sorgono a nord del complesso.
Alcuni palazzi reali ed alcuni edifici di servizio per la corte e per i soldati sono stati rinvenuti nella pianura a sud della piattaforma. Gli scavi a Persepoli sono ancora incompleti e maggiori conoscenze su questo sito ci potranno derivare da future scoperte.
Dario il grande fece di Susa la propria capitale, e fece costruire un’Apadana a nord della fortezza, cioè nel centro della città. Il palazzo sorge sopra un colle che aveva ospitato alcuni edifici anche in precedenza. L’ingresso del palazzo era posto nella parte orientale, nel luogo in cui prima sorgeva un enorme portale con scale interne separate. Sui due lati, lungo la strada che conduce dal portale all’Apadana, erano disposte alcune grandi statue di pietra. Una di esse, che rappresenta Dario, era stata portata dall’Egitto. L’entrata del palazzo si apriva su un cortile di 54 metri per 52; a sud si trovavano delle grandi sale e a nord una sala ipostila. In questa sezione, i muri sono decorati con leoni smaltati e appaiono limitati da due obelischi. Il cortile interno è di 36 metri per 35,5 e conduce a sud verso un complesso di magazzini. Il cortile occidentale è delimitato da due padiglioni, ognuno composto di due file di stanze o passaggi, che conducevano alle stanze interne del re e che erano circondati da due sale di 33 metri per 9 una dietro l’altra. Una tavola di pietra, appesa sul muro in fondo alla sala, aveva delle iscrizioni incise in babilonese e in elamitico che spiegavano le ragioni della costruzione del palazzo. Sul muro si apriva una porta che si affacciava su una sala minore. Le stanze a nord del palazzo sono state costruite una dietro l’altra e poiché il rapporto con le altre parti è diverso, si è pensato che siano state costruite al tempo di Artaserse II. Questa parte comprende una casa con due sale e una sala ipostila. A ovest ci sono due abitazioni non dissimili dai templi elamiti.
A nord si erge una grande sala ipostila simile a quella di Persepoli, nella quale è collocata un’iscrizione che racconta come Artaserse II ricostruì l’Apadana dopo che essa fu distrutta da un incendio. La sala interna aveva 36 colonne poggianti su piedistalli quadrati. Sui tre lati della sala affacciavano altrettanti portici sostenuti da 12 colonne. Nell’insieme essa misurava 112 metri (come l’Apadana di Persepoli). Il palazzo venne distrutto all’epoca delle ribellione di Molon, satrapo di Susa, nel 220. Roland de Mecquenem scoprì un altro palazzo a Susa che venne riutilizzato nel periodo partico. Il terzo palazzo fu eretto da Artaserse II nella pianura, a ovest della rocca, ed aveva una sala di 34,5 metri per 37 il cui soffitto era sorretto da 64 colonne di legno poggianti su piedistalli di pietra. Su tre lati c’erano tre portici disuguali, non corrispondenti l’uno con l’altro, appoggiati alle stanze ed alle abitazioni reali.
Nella parte occidentale, in questa stessa epoca cominciò ad essere operativa la cosiddetta “citta degli artisti”. Qui Ghirshman ha portato alla luce i resti stratificati di un villaggio persiano. Nell’arte della scultura della pietra e della statuaria e del rilievo, l’influenza elamitica è evidente e preponderante, forse perché gli antenati degli Achemenidi, prima dei Medi erano gli Elamiti, D’altra parte, molti dei nomi achemenidi sono di origine elamitica, come Ciro ad esempio, che in Elam era pronunciato Kurash. Non ci sono dubbi sul fatto che gli Elamiti accettarono tra loro i Parsi e i Parsumash e con loro convissero pacificamente. Questa circostanza portò allo sviluppo di una reciproca influenza. Gli Elamiti mutuarono dai Persiani l’acconciatura dei capelli, ed i Persiani presero da essi l’abbigliamento.
Un’altra caratteristica prettamente iranica è stata l’impulso verso la perfezione, ovviamente relativa, impresso all’arte. Gli esempi meglio riusciti dei rilievi di Persepoli si avvicinano fino quasi al limite della scultura, grazie al perfezionamento delle proporzioni, delle misure e dell’estetica. Si può parlare, da questo momento in poi, di un’estetica iranica. Il fatto che venissero impiegati scultori greci della Ionia o che coloro che lavoravano l’argento fossero egiziani, e i fabbricanti di mattoni babilonesi, è attestato nelle iscrizioni di Dario. Tuttavia artisti e artigiani operavano sotto l’attenta supervisione estetica iranica. I mattoni smaltati achemenidi di Susa erano fatti a imitazione di quelli dell’Elam, con la differenza che questi erano lisci, mentre quelli achemenidi erano a rilievo e decorati con disegni raffinati. Anche se la loro raffinatezza era maggiore di quella dei mattoni elamitici, era comunque minore di quella dei bassorilievi achemenidi di Susa. La ragione è nota: i mattoni venivano ricavati a stampo e questo procedimento non consentiva al disegno di imprimersi perfettamente su di essi. I colori dello smalto erano gli stessi dell’Elam: azzurro, giallo, verde e nero.
Non abbiamo nessuna statua “indipendente” di epoca achemenide, e questo indica che essi erano seguaci della religione di Zarathustra, poiché per le credenze zoroastriane se una statua, una volta scolpita, viene separata dalla sua origine, al momento della resurrezione (rastakhiz) dovrà ricevere un’anima. È per questo che la scultura a rilievo non andò mai oltre il limite, staccandosi dalla pietra originaria. L’unica opera che fu probabilmente concepita ed eseguita in modo indipendente è la statua di un giovane principe di cui è stata ritrovata solo la testa. È addirittura possibile che il corpo non sia mai esistito, e in questo caso l’artista non sarebbe stato obbligato a donare l’anima alla statua nel tempo della resurrezione. La piccola testa misura 6 x 6,5 cm. ed è fatta di pietra azzurra, e la sua fattura, dall’acconciatura al cappello merlato, fino al naso prominente, è caratteristica dei Parsi.
Nel campo delle arti minori, gli Achemenidi produssero una grande quantità di statue zoomorfe, molte delle quali metalliche, secondo una tradizione diffusasi in tutto l’Iran dal Luristan. L’estetica e lo stile di queste opere sono estremamente interessanti, molto più intriganti di quelli delle immagini umane. Esse sono prive di qualsiasi individualità, caratteristica che è propria di tutta l’arte antica dell’Asia occidentale, ed in particolare del periodo achemenide. Uno dei più antichi soggetti dell’arte di questa area è costituito dal leone ruggente, con la zampa aperta, pronto a balzare sulla preda. Nell’arte achemenide gli animali sono rappresentanti come creature immortali dall’aspetto imponente, forte e collerico. È probabile che questo modo di rappresentarli derivi dall’arte assira, ma l’espressività esagerata dei tratti della faccia degli animali ha creato una singolare sintesi tra le forme a rilievo e le linee: i muscoli delle guance sono simili a foglie di palme da dattero distese sulla faccia; le pieghe sul naso sono sottolineate da linee rialzate, con le curve profondamente incise. Occhi e orecchie sono quasi sempre abbozzati, mentre le ali sono composte da riccioli perfetti, disposti in file ordinate e ondeggianti. I muscoli della spalla, leggermente asimmetrici, sono stilizzati a forma di otto, una rappresentazione tipica degli Achemenidi soprattutto nel caso di leoni, tori e aquile (Fig. 12).
La metallurgia achemenide è costituita principalmente da oro e argento. Al Metropolitan Museum è esposto un recipiente d’oro per libagioni appartenente probabilmente a un re. Si tratta di una coppa alta, la cui parte inferiore è costuita dalla protome di un leone (Fig. 13). La struttura del leone corrisponde esattamente nelle sue varie parti al leone di pietra descritto sopra (che è molto pesante). Il leone di pietra proviene da Susa e questo invece da Persepoli, e questa somiglianza dimostra come l’arte achemenide fosse omogenea in tutto l’Iran. La coppa è vuota all’interno, ad eccezione di una lamella posta all’altezza del collo dell’animale, che ne costituisce il fondo. La coppa non è costituita da un pezzo unico, bensì da più componenti giustapposte, i cui punti di giunzione tuttavia sono difficilmente individuabili. La parte superiore della coppa è decorata con 44 cerchi concentrici, aventi uno spessore di circa sedici centesimi di millimetro e disposti ad una distanza di un centimetro e mezzo. Per l’intera coppa devono essere stati utilizzati 4.080 cm. di filo, oltre a quello utilizzato per le linee decorative.
Un affilato pugnale d’oro, appartenente a un corredo reale, è stato rinvenuto a Ecbatana. Esso deve essere stato foggiato su un modello elamitico, dato che Anekrib, re assiro, scrisse che “gli Elamiti usano indossare pugnali d’oro alla cintura”; l’oro usato è di circa 20 carati. La lama del pugnale, anche se rinforzata da linee verticale a rilievo, è talmente fine che non poteva essere realmente utilizzata, pertanto aveva uno scopo puramente ornamentale. La lama ha delle tracce di un impatto con un oggetto duro, come una pala; l’impugnatura è cava e termina con due teste di leone, mentre l’altra estremità, quella che si congiunge con la lama, ha la forma della zampa di un leone. L’espressione della faccia del leone è la stessa del leone della coppa e della statuetta, presentate sopra.
Abbiamo altri esempi di animali in metallo, soprattutto camosci, utilizzati come manici di recipienti vari. I camosci, che di solito appaiono in coppia, da una parte e dall’altra del recipiente, costituiscono probabilmente un’evoluzione formale dell’antica decorazione delle capre che stanno da una parte e dall’altra di un albero. Alcuni di questi camosci sono alati, mentre altri sono estremamente stilizzati; tutti, in ogni caso, sono rappresentati in una posizione quasi identica, altro segno dell’omogeneità dell’arte achemenide. Il disegno di questi animali è molto raffinato e la descrizione dettagliata di tutte le parti, faccia, zampe e corpo, porterebbe il discorso troppo lontano. Con l’eccezione di qualche esemplare, è presente una criniera e le corna a segmenti. Il corpo delle coppe è normalmente ornato con spire verticali e il dorso, cioè quella parte dove le zampe dell’animale sono saldate alla coppa, è ornato da file di rose e boccioli sbalzati.
Tra gli altri manufatti di metallo è opportuno menzionare il bracciale del tesoro di Jihun, uno degli esemplari più belli dell’orificeria achemenide, nonché uno degli oggetti del tesoro, insieme ad un altro bracciale del.la stessa forma, meglio conservati. Il tubo del bracciale, incurvato al centro, è tutto pieno tranne che alle estremità (Fig. 14). Queste hanno forma di leoni-acquila, con ali e corna. Il torso e le ali sono tridimensionali, mentre la coda e le zampe sono modellati a rilievo sulla superficie del bracciale. Le corna presentano estremità allargate a forma di tazza, mentre il restante corpo dell’animale è inciso ed utilizzato come raffinato castone per pietre preziose; l’unica pietra ritrovata è un frammento di lapislazzuli all’interno delle ali. Grossi buchi sono comunque presenti anche sulle cosce e sul corpo degli animali. Queste cavità hanno forme completamente astratte. Sulle zampe anteriori sono rappresentati delle ninfee, caratteristica tipica dell’arte di questo periodo. Il montaggio dei lapislazzuli sul bracciale d’oro è significativo del senso estetico sviluppato e intellettualizzante degli achemenidi. Bracciali e collane d’oro sono stati rinvenuti anche in una tomba reale di Susa. Come i precedenti , anche questi gioielli presentano la parte terminale decorata da leoni, le cui orecchie, a differenza di quelle dei leoni di Jihun, sono rivolte verso l’alto, mentre le teste sono leggermente più corte. Sembra che il leone, in posizioni diverse, sia il motivo ornamentale più diffuso nella gioielleria achemenide. Un leone con all’interno un filo d’oro attorcigliato compare in una decorazione ricamata per un abito. Il leone, colto nell’atto di ruggire come in tutti gli altri esempi, presenta la testa rivolta all’indietro e i muscoli del collo e delle cosce molto contratti. La coda ha la forma di uno scudiscio contorto, e le ali sono disposte verso l’alto e incurvate verso il corpo del leone. L’artista ha posto una particolare attenzione nel decorare lo spazio tra il cerchio di filo e le diverse parti del corpo dell’animale, e questo mostra che la decorazione era destinata a un abito scuro, molto probabilmente color blu o turchese.
Le monete d’oro achemenidi conosciute con il nome di dareikos, avevano un diametro di quasi due centimetri (l’esemplare più grande è di 1,8 cm.), e l’effigie di un uomo con un arco, con una gamba inginocchiata e l’altra piegata. L’arciere porta una faretra sulla schiena e una lancia nella mano destra. La sua corona è simile a quella di Dario nelle rappresentazioni di Bisotun. La forma della moneta rimase quasi invariata lungo tutto il periodo achemenide, e veniva usata non solo per pagare soldati e militari, ma anche per “comprare” i gli stati vicini, che nelle regioni lontane dell’impero potevano attaccare causando seri grattacapi, come Sparta o altre città greche.
Un altro elemento dell’arte achemenide è costituito dai sigilli, nei quali, sebbene mutuati dall’Elam – che conservò fino alla fine la sua peculiare forma di sigilli – gli Achemenidi apportarono delle innovazioni significative di carattere chiaramente iranico. Nell’Elam, così come in Assiria e a Babilonia, nel corso dei secoli ottavo e settimo, i sigilli cilindrici, prodotti in grande quantità, venivano utilizzati dal popolo, mentre quelli piatti o ad anello erano riservati alla corte e ai notabili; al tempo di Sargon II, i sigilli piatti costituivano i sigilli ufficiali del sovrano. Poiché nell’Elam i sigilli cilindrici venero conservati e usati per un periodo molto lungo e i sovrani achemenidi avevano, agli inizi della dinastia, come modello proprio gli elamiti, i sigilli cilindrici furono una caratteristica dell’amministrazione achemenide dall’inizio della dinastia fino al regno di Ardashir I. Le immagini dei sigilli, pur molto simili a quelle elamitiche, avevano però un’originalità propria. Si consideri, ad esempio, il sigillo (Fig. 15) in cui al centro è rappresentato un re che sovrasta due creature con corpo di leone, testa umana e ali spiegate; il re tiene nelle mani due leoni, che afferra dalle zampe. In maniera tipicamente iranica, i leoni hanno la testa girata, rivolta verso il re, e ruggiscono. Ai due lati della scena compaiono due palme, sopra le quali è issato il simbolo della fravarti, rappresentata senza la testa. Gli elementi della raffigurazione hanno tutti una funzione ornamentale, con l’obiettivo di mostrare il potere del re e, contemporaneamente, di invocare la protezione di Ahura Mazda. Un’altra caratteristica dei sigilli achemenidi è la disposizione verticale delle decorazioni, molto poco diffusa in Mesopotamia, ma che presenta qualche analogia con alcuni esemplari del Luristan.
I sigilli cilindrici achemenidi erano di due tipi, uno più grande e uno più piccolo. I sigilli grandi erano di solito in pietra, coperti alle estremità da due lamine d’oro. I sigilli reali erano perlopiù in materiali preziosi quali agata, lapislazzulo scuro, corniola e rubino. Ma anche in pietre meno pregiate, come pietra calcarea rosa o marrone, pietra saponaria o addirittura terracotta, quest’ultimi riservati alle classi più umili.
C’era poi un altro tipo di sigillo, definito “cilindrico-piatto”, caratterizzato da un’appendice che fungeva da gancio e dai bordi incisi. Si tratta di oggetti ispirati ai sigilli di Urartu, arrivati agli Achemenidi per mezzo dei Medi. D’altra parte esistono numerosi sigilli del tipo piatto non ancora chiaramente attribuiti ai medi o agli achemenidi. In Egitto è stato rinvenuto un sigillo recante l’iscrizione “Dario, grande re” in elamitico, antico persiano e babilonese. Su di esso appare impressa l’immagine di Dario su un carro trainato da due cavalli, dietro al cocchiere, nell’atto di scagliare una freccia contro un leone feroce in piedi su due zampe. Il leone presenta alcune similitudini con il leone d’oro di Ziwiyeh, e ha dietro di sé una palma; un’altra palma, ancora più massiccia e rigogliosa, si trova alle spalle di Dario. Le palme simboleggiano probabilmente la forza e la resistenza rispettive del leone e di Dario. In mezzo e sopra il sigillo c’è l’immagine della fravarti, eseguita con particolare finezza, che si muove verso Dario. Il sigillo reca il nome di Dario, ma è possibile che appartenesse a qualcuno dei comandanti o satrapi di Dario in Egitto, i quali non avendo sigilli personali utilizzavano quelli con il nome del loro sovrano. Sotto le zampe dei cavalli che trascinano il carro giace un leone con una freccia infissa in una spalla ed una zampa allungata. Questa immagine ricorda le rappresentazioni sasanidi della caccia nelle quali vengono raffigurati animali cacciati, vivi o morti. Alla Morgan Library di New York, è esposto un sigillo achemenide con l’immagine di un toro in movimento che risponde agli stessi criteri estetici e formali dei tori di Persepoli. Una delle particolarità di questo sigillo e degli altri sigilli achemenidi, è la presenza di parecchio spazio “negativo”, vuoto, intorno agli elementi decorativi. Alcuni specialisti occidentali considerano questo una prova dell’influenza dell’arte greca sull’estetica e la tradizione artistica iranica.
Tra i manufatti maggiormente diffusi in epoca achemenide, possiamo menzionare vari tipi di tessuti che comprendono le stoffe di seta, quelle ricamate con l’oro, i tappeti annodati o di altro genere, come ad esempio i feltri. Un esemplare di tappeto ritrovato in un tumulo ghiacciato in Siberia,noto con il nome di “tappeto di Pazyryk” , dimostra che l’arte achemenide spaziava oltre l’architettura, la metallurgia e la ceramica smaltata. Il tappeto di Pazyryk, a forma quasi quadrata, è caratterizzato da un motivo centrale a scacchiera e da cinque cornici laterali. La scacchiera centrale, che occupa solo una piccola parte della superficie del tappeto, è formata da 24 quadrati simili tra loro.
La cornice più esterna è formata da vari quadrati disposti uno accanto all’altro, aventi al loro interno un disegno simile a quello dei riquadri che ornano gli abiti dei soldati achemenidi raffigurati sui mattoni smaltati di Susa. La seconda cornice, la più larga, ospita immagini di cavalieri iranici in movimento, disposti alternativamente a cavallo e a piedi. La terza cornice, la più sottile, è formata da una fila di rombi posti uno di seguito all’altro che sembrano riprendere la forma dei quadrati dello scacchiere. La cornice che segue, più larga di quella precedente, è formata da una fila di cervi, animali all’epoca tipici dell’Iran settentrionale, che si muovono in seno contrario a quello dei cavalieri; corpo e proporzioni sono le medesime di quelle dei bovini achemenidi, ma la testa è chiaramente di cervo, disegnata in modo molto realistico e privo di esagerazioni. La cornice successiva, la più interna, è una ripetizione di quella esterna. Se si prolunga la misura dei lati del tappeto di circa un metro, le sue dimensioni diventano quelle delle stanze piccole dell’harem di Persepoli. Il disegno al’interno dei quadrati dello scacchiere rappresenta un bocciolo centrale contornato da quattro fiori disposti a croce; quattro foglie romboidali si frappongono tra i fiori a formare una rosa dei venti. Fiori e foglie sono collegati tra loro per mezzo di un sottile nastro. Questo motivo floreale, chiamato khorshidi, compare, con una forma un po’ diversa, nei tappeti tessuti ancora oggi in Iran, e viene definito herati o mahi dar ham.



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