La Storia dell’arte dell’Iran

SECONDA PARTE

L’ARTE IRANIANA DALL’AVVENTO DELL’ISLAM
ALLA VITTORIA DELLA RIVOLUZIONE ISLAMICA

L’ARTE NEL PERIODO SAFAVIDE

L’origine dei Safavidi

I Safavidi furono una dinastia iraniana discendente dal Messaggero di Dio, Mohammad (la pace di Dio su di lui e sulla sua famiglia) e seguaci della religione sciita. Il loro bisnonno, lo Shaykh Safi ad-Din Ardabili, sin dalla tenera età dimostrò molto interesse verso la religione ed il misticismo. Egli, al fine di purificarsi e di giungere ai gradi elevati del misticismo, andò a Shiraz per unirsi allo Shaykh Najib ad-Din Bezghash Shirazi. Lo Shaykh però morì prima del suo arrivo, allora Safi ad-Din si recò al servizio di altri maestri del misticismo di Shiraz tra cui lo Shaykh Saadi, il noto poeta del tempo. Ma nessuno poté calmare la sua sete, quindi Zahir ad-Din, figlio e sostituto dello Shaykh Bezghash, gli propose di recarsi dallo Shaykh Zahed Gilani nella regione settentrionale del Gilan. Lo Shaykh Safi ad-Din ci andò dopo quattro anni e visse da lui per ben 22 anni, sposò sua figlia e dopo la morte dello Shaykh Zahed guidò i suoi discepoli e seguaci per ben 35 anni. Dopo la morte dello Shaykh, avvenuta nel 1335, la successione alla guida passò di padre in figlio fino a che, nella quarta generazione, arrivò a Jonayd. Lo Shaykh Jonayd andò a Dyar Bakr e venne accolto con il massimo rispetto alla corte del sultano Aq Qoyunlu, Uzun Hasan, e sposò sua sorella Khadijeh. Lo Shaykh con un esercito di propri seguaci partecipò alla guerra di Shervanshah morendovi martire. Anche suo figlio, lo Shaykh Heydar, che sposò la figlia di Uzun Hasan di nome Alam Shah Begum, rimase ucciso nella guerra vendicativa contro Shervanshah. Egli ebbe tre figli che il Sultan Yaqub, figlio di Uzun Hasan, voleva uccidere, ma per il timore di rivolta dei suoi seguaci e anche per il legame di parentela, decise di imprigionarli in un’ isola sul lago Van. Essi riuscirono però a fuggire verso la città di Lahijan, nel nord dell’Iran. Ismail, uno dei figli allora tredicenne, partì per la città di Ardabil, accompagnato da alcuni dei seguaci del padre. Durante il tragitto, altri seguaci si unirono a lui e cosi si formò un esercito piccolo ma fedele e con forte spirito di sacrificio. Ismail con questo esercito vinse la guerra contro Shervanshah e uccise lui e tutta la sua famiglia. Egli nel 1492 riprese l’Azerbaijan dall’emiro Aq Qoyunlu e riconquistò la città di Baku nel 1501. Ismail si incoronò nel 1503 a Tabriz, nel 1509 occupò la città di Baghdad e due anni più tardi liberò la città di Marv dagli Uzbeki riconquistando la regione del Khorasan. Nel 1525 venne sconfitto dagli ottomani nella località di Chaldiran ma 10 anni più tardi, nel 1525, occupò la Georgia. Shah Ismail morì quello stesso anno e salì al potere il figlio Tahmasb I che regnò fino al 1575. Dopo di lui regnarono altri sette sovrani, di cui solo due ebbero il titolo di Shah. I più noti Shah safavidi furono: Shah Ismail I, Shah Tahmasb I, Shah Abbas I (nipote dello Shah Ismail) e Shah Safi.
Shah Abbas I fu soprannominato kabir (‘grande’) per le grandi ed importanti opere che portò a termine. Egli regnò 43 anni e durante il suo regno l’arte, l’artigianato e la cultura ritrovarono lo splendore. Egli trasferì la capitale da Qazvin a Isfahan e costruì grandiosi palazzi, moschee e monumenti di pubblica utilità.
Nel 1710 a Qandahar un gruppo di sunniti fece una rivolta, e nel 1723 il capo dei rivoltosi, Mahmud l’afghano, prese la città di Isfahan e uccise Sultan Hossein e tutti i membri della famiglia safavide, tranne Tahmasb II che fuggì nel Gorgan, nel nord del paese, dove si mise al servizio del capo di una delle tribù del Khorasan di nome Nader Qoli. Questi riuscì a sconfiggere l’esercito degli Afghani nel 1731 e a riconquistare nel 1735 le città di Darban e Baku in mano ai russi che le avevano occupate nel 1723. Egli si incoronò ufficialmente con il titolo di Nader Shah nel 1737. L’anno seguente, in base al secondo patto di Costatinopoli, riprese Erevan dagli Ottomani, riannettendola al territorio iraniano. Egli riconquistò due anni più tardi l’Afghanistan e nel 1748 la città di Lahore facendo un massacro a Delhi. Nader Shah venne ucciso nel 1749 a causa della sua condotta dura e spietata e delle ingiustizie compiute nei confronti di coloro che lo circondavano e della sua stessa famiglia. Dopo di lui salì al potere suo nipote Shahrokh nel Khorasan. Fu un periodo di disordini, insicurezza e sedizioni di ogni tipo, finché un uomo della tribù Lor, di nome Karim Khan, riuscì a riportare la pace prendendo in mano ufficialmente le redini del potere. Egli non si nominò mai re (Shah), scegliendo piuttosto il titolo di Vakil or-Roaya (‘delegato del popolo’ o ‘reggente’). Karim Khan Zand scelse come propria capitale prima Tehran e in seguito Shiraz, assicurò l’unità del paese e abolì la riscossione delle tasse per qualche anno. Karim Khan morì nel 1810 e dopo di lui, ancora una volta, l’Iran cadde nel disordine totale.

L’architettura

La capitale dei Safavidi fu inizialmente la città di Qazvin, ma Shah Abbas I la trasferì a Isfahan. Forse nessuno dei sovrani safavidi prima di lui fu così tanto interessato all’architettura e ai monumenti grandiosi. Egli ebbe un indiscutibile interesse per le decorazioni e le arti quali la pittura, i ritratti, l’illustrazione dei libri, i tessuti, i tappeti; inoltre, dopo il trasferimento della capitale a Isfahan, fece costruire dei magnifici palazzi, moschee, piazze e bazar. Gli storici scrivono questo anche di Shah Tahmasb, ma purtroppo, a causa di alcuni gravi terremoti, nessuna delle opere da lui costruite è rimasta in piedi. I lavori di costruzione di alcuni edifici cominciarono durante l’epoca di Shah Ismail e terminarono durante il regno di Shah Tahmasb, come la moschea Shah di Qazvin che venne distrutta da un terremoto. Shah Ismail lasciò delle opere anche a Isfahan, come il cosiddeto “Harun-e Velayat”, che fu costruito nel 1513 Esso fu edificato sulla tomba di un santo uomo che, pur essendo sconosciuto, era venerato dai credenti di tutte le religioni. Il monumento è considerato importante per le sue decorazioni con piastrelle di maiolica nell’ingresso che conduce al cortile. Le piastrelle lucide e splendenti impiegate in questo monumento sono tra le migliori di quest’arte. Anche se a prima vista sembrerebbe eguagliare per la composizione artistica le lavorazioni con piastrelle di maiolica del monumento “Darb-e Imam”, è senza alcun dubbio superiore a questo dal punto di vista dell’esecuzione. Anche il santuario di Masumeh (la pace su di lei) a Qom fu costruito all’epoca di Shah Ismail, anche se alcune parti degli edifici secondari furono edificati in epoca qajar e appaiono prive di interesse architettonico. Di recente sono stati aggiunti alcuni nuovi edifici come quelli della biblioteca e del museo e, negli ultimi anni, la moschea Azam (‘grande moschea’) di Qom. Il lato nord del mausoleo, che risale all’anno 1520 ed è rimasto ancora in piedi dai tempi di Shah Ismail, è dotato di una bellissima decorazione. Le moqarnas dorate dell’iwan sono del tempo di Nasser ad-Din Shah qajar. La data di costruzione della cupola non si conosce con precisione, ma il suo rivestimento d’oro fu ordinato da Fath Ali Shah qajar. Secondo quanto afferma Andrè Godard, sotto il rivestimento d’oro, la cupola era ricoperta di piastrelle intarsiate di colore azzurro la cui data di lavorazione risaliva ad ancor prima dello Shah Abbas I da lui stesso fotografate.
Shah Abbas, al contrario di Shah Tahmasb I, nutrì molto interesse per le costruzioni e l’architettura. Fu durante la sua epoca che la maggior parte dei monumenti religiosi iranici vennero rivestiti con piastrelle di maiolica. Queste lavorazioni all’inizio furono ad intarsio. Anche i primi monumenti dell’epoca di Shah Abbas ebbero questo tipo di decorazione, e tra di essi possiamo citare la moschea Maqsud Beg, la moschea Shaykh Lotfollah, l’ingresso del bazar Qeisariyeh e l’ingresso della moschea dello Shah, mentre quasi tutte le altre decorazioni delle moschee erno rappresentate da lavorazioni con le piastrelle di maiolica quadrate dipinte, scelte per risparmiare sia tempo che denaro. È certo che ciò non fu dovuto alla precarietà finanziaria di Shah Abbas, bensì alla fretta di costruire un maggior numero di monumenti nella capitale. Uno degli orientalisti che visitò Isfahan a quell’epoca disse: “Nel 1666 la città di Isfahan aveva 162 moschee, 48 scuole, 182 caravanserragli e 273 bagni pubblici, a cui bisogna aggiungere i bazar, le piazze, i ponti, le ville ed i palazzi reali.”
Il più importante complesso rimasto ancora in piedi è la grande piazza di Naqsh-e Jahan e i monumenti ed i palazzi costruiti intorno. Questo complesso include una piazza che fu il campo da gioco del chogan, ovvero il gioco del polo, nonché il luogo per le parate militari e per le feste pubbliche. Intorno alla piazza c’è una serie di archi e di volte su due piani: il primo piano è dedicato ai negozi e alle botteghe degli artisti, il secondo è soltanto una facciata d’arco aggiunto per bellezza. Al centro di questi archisi trova il portale di ingresso della moschea dello Shah (l’attuale moschea Imam). Al lato opposto e all’estremo nord della piazza si trovano il caravanserraglio e il bazar reale, e intorno alla piazza e dietro le costruzioni ad arcate si trova un altro bazar con dei rami secondari che conducono al bazar principale. Il palazzo Ali Qapu (‘porta grande’) è situato al centro del lato occidentale e di fronte ad esso, al lato opposto della piazza, si vede la bella moschea Shaykh Lotfollah. Si dice che fosse stato costruito anche un corridoio di collegamento sotterraneo tra il palazzo reale di Ali Qapu e la moschea per la frequentazione delle donne della corte.
La costruzione della moschea dello Shah iniziò nel 1613 e terminò nel 1639. Questo monumento, progettato nello stile delle moschee a quattro iwan, rappresenta il culmine della tradizione millenaria della costruzione della moschee in Iran. La pianta è perfezionata dalle piante precedenti, ma nello stesso tempo è più semplice, essendo stati eliminati i settori che creavano confusione e disordine. I grandi elementi della costruzione e le decorazioni sono stati realizzati con una tale grandiosità e magnificenza da far includere questa moschea tra i più grandi capolavori dei monumenti religiosi del mondo.
Le proporzioni, belle e grandiose, poggiano su delle fondamenta molto ampie. L’altezza della volta della mezza cupola del portale ad arco esterno è di 27 metri e quella dei minareti è di circa 33 metri, mentre i minareti al di sopra della sala di preghiera sono ancora più alti e la cupola grande è più alta di tutti. Il portale ad arco esterno ha un’atmosfera talmente mistica da invitare il visitatore all’interno della moschea ad invocare il Signore. Le decorazioni con le piastrelle di maiolica intarsiate e le cornici d’ingresso contribuiscono a questo misticismo. La facciata interna del cortile è abbellita da corridoi, archetti, moqarnas chiare ed epigrafi bianche splendenti. Il colore azzurro delle piastrelle cattura l’attenzione del visitatore dirigendola verso il testo e le scritte delle epigrafi. Questo monumento ha una particolarità maggiore rispetto al palazzo Ali Qapu, grazie alle lavorazioni con splendide piastrelle di maiolica di colore azzurro. Può darsi che l’obiettivo dello Shah Abbas fosse stato quello di dimostrare la superiorità della religione sul governo. L’atrio d’entrata della moschea, da solo, è un capolavoro architettonico. Questo reparto è in direzione nord ossia verso la piazza, mentre la qibla si trova in direzione sud-ovest. Per eliminare questa posizione ad angolo, dall’ingresso si entra in un corridoio circolare che non ha una direzione specifica. Dal lato destro del corridoio si va verso l’arcata alta dell’iwan settentrionale passando ad un tratto dal buio al cortile illuminato. Questo punto costituisce la logica di base di questo stile architettonico, ovvero introduce dal buio alla luce che è un cenno al terzo versetto dell’Ayat al-Kursi (il versetto del Trono) e quindi si esce dal lato sinistro del corridoio. Di fronte al corridoio c’è l’entrata dell’iwan alto della sala di preghiera, anch’essa un capolavoro decorativo e di bellezza. La combinazione degli elementi della sala con la cupola e i minareti è tale che la sua descrizione in poche righe è del tutto impossibile. Lo spazio della sala è molto semplice e il legame tra i suoi componenti è definito con la massima consapevolezza. Vi è una bella armonia tra le varie forme contrastanti delle diverse componenti come la cupola, la cornice della porta e i minareti. La cornice rettangolare della porta interseca la forma semisferica della cupola ed ambedue sono incrociate verticalmente dai minareti alti. La curva dell’arcata dell’ingresso è infatti a ripetizione dell’arco della cupola.
Spostandosi avanti e indietro nel cortile, si avverte il movimento di questi elementi e le proporzioni e i legami tra di essi cambiano continuamente. Tale calcolo preciso si nota meglio nell’iwan occidentale. Al centro di esso è costruito un arco d’entrata. Da una distanza vicinissima, ossia esattamente sotto l’iwan, la proporzione della volta è una proporzione aurea. Mentre al di fuori dell’iwan questa proporzione cambia a √3 e ancora da poca distanza la relazione diventa 1 a 1/840; questo calcolo fu effettuato del tutto consapevolmente.
La costruzione della moschea Shaykh Lotfollah ebbe inizio nel 1602 e terminò nel 1629. Questa fu costruita secondo l’antica tradizione sasanide dei palazzi a quattro archi, di cui la cupola, a monostrato, è poggiata sopra la struttura a quattro archi. In realtà questa moschea era il luogo di preghiera privato dello Shah. Anche qui l’angolazione storta del monumento è rimediata con una curva inaspettata nel corridoio. Il cambio di direzione non si nota dal di fuori, in quanto da qui sono visibili soltanto l’arcata d’entrata e la cupola bassa del diametro di 12 metri. I muri portanti della cupola sono spessi 170 cm. e questo spessore aumenta notevolmente la resistenza del monumento. La sala quadrangolare è modificata sin dal basamento a forma ottagonale ed è coperta dalla cupola con delle cornici molte severe ed altri elementi principali e secondari contrastanti. La base quadrata del monumento, grazie alle lavorazioni triangolari e gli angoli che continuano fino alla sommità del monumento, ha assunto forma ottagonale. Gli otto lati sono ornati perimetralmente in colore turchese chiaro, con ampie bande epigrafate in bianco brillante su fondo azzurro scuro, che sono opera di Alireza Abbasi, il più grande calligrafo dell’era safavide. I colori dominanti di questo complesso, interamente rivestito con piastrelle di maiolica, sono il turchese, il bianco latte e l’azzurro. I piedistalli e le facciate delle arcate al centro delle pareti sono rivestiti con piastrelle di maiolica con i sette colori dell’arcobaleno. La pittura dell’interno della cupola, al cui apice si trova una grande asta, è costituita da islimi belli e ripetuti, disegnati a forma di spirale come i fiori della camomilla e del girasole. Un striscia di epigrafia separa la parte dipinta dalle finestrelle che a loro volta sono collegate, attraverso un’altra striscia, agli otto muri laterali. L’illuminazione del monumento è progettata ed eseguita in maniera tale che chiunque entra nella sala avverte improvvisamente un’atmosfera di spiritualità e di adorazione di Dio, e pochi potrebbero contraddirlo!
Un’altra opera del periodo dello Shah Abbas è costituita dalla ricostruzione e dal restauro del complesso del santuario dell’Imam Reza (la pace di Dio su di lui) a Mashad. Lo Shah Abbas nel 1598 si recò a piedi in pellegrinaggio al santuario. La ricostruzione del mausoleo cominciò nel 1602. Questo complesso comprende più di 30 monumenti e rappresenta la storia di oltre cinque secoli di costruzione architettonica e di restauro. Vi sono quattro cortili antichi, le cui lunghezze variano da 50 a 100 metri. Di recente, ossia dopo l’instaurazione della Repubblica Islamica, sono stati aggiunti altri nuovi cortili. Oltre ai monumenti citati c’erano altre moschee, sale da preghiera, scuole, biblioteche, caravanserragli, bagni pubblici e bazar, questi ultimi abbattuti per allargare ulteriormente il complesso. Tutti i cortili sono circoscritti da archi su due piani rivestiti con piastrelle di maiolica di colore azzurro. Lo stile è lo stesso noto stile iraniano a quattro iwan. Alcuni degli elementi antichi, vicini all’edificio centrale, dove si trova la tomba, sono stati abbattuti e riconvertiti a spazi aperti al fine di poter accogliere l’enorme folla di pellegrini, il cui numero è in continuo aumento. A questo bellissimo complesso safavide, dove è anche esposta un’epigrafe scritta da Alireza Abbasi, sono stati aggiunti delle sale da riunione, la biblioteca, il ristorante pubblico, la mensa dei dipendenti, l’ospedale ed il centro di emergenza medico-sanitario ecc. Il mausoleo ha una cupola rivestita d’oro, una base alta e cilindrica e due minareti anch’essi rivestiti d’oro, di cui uno sopra l’iwan d’oro e l’altro sopra l’iwan di fronte. Questo magnifico complesso è unico e senza eguali tra le opere architettoniche islamiche, sia dal punto di vista della struttura, sia dal punto di vista delle decorazioni e risulterebbe alquanto impossibile esporne la descrizione tecnica ed estetica in poche pagine. Il cortile d’oro è opera di Amir Alishir Navai. Di fronte a questo iwan, c’è l’iwan Shah Abbasi, molto profondo e chiuso all’estremità e interamente rivestito con piastrelle di maiolica di 7 colori. Il colore dominante, cioè l’azzurro, crea un contrasto bello ed affascinante con il minareto d’oro sovrastante.
L’edificio della cupola sopra la tomba fu costruito per ordine di Allahverdi Khan, il cancelliere di Shah Abbas, e in contemporanea con la costruzione della moschea Shaykh Lotfollah, dall’architetto Amir Esfahani Memar, mentre dallo stile della adiacente stanza dotata di cupola si evince che l’opera è del maestro Tabrizi. Il diametro e l’altezza della cupola sono rispettivamente di 10 e 20 metri. La base della cupola è formata da due serie di finestre ad arco su due piani. L’interno è magnificamente rivestito con lavorazioni a specchietti. Le basi delle pareti sono rivestite con marmo di colore giallo, limato e lucidato e d’altezza di 1,5 metri.
I palazzi reali dello Shah Abbas, di cui attualmente ne sono rimasti soltanto due, ripropongono l’antico stile della sala con l’iwan colonnato e il soffitto piatto, simile all’Apadana di Persepoli. Il palazzo Chehel Sotun, che in realtà possiede venti colonne, ma a causa del loro riflesso nell’acqua della fontana di fronte al palazzo è nominato Chehel Sotun (‘quaranta colonne’), ha una bellezza straordinaria. Questo stile architettonico fu impiegato per lunghi secoli nella costruzione di palazzi, templi, moschee, mausolei e grandi abitazioni. Il magnifico iwan colonnato è collegato al palazzo principale ed è come una grande sala di ricevimento, in cui le immagini e le decorazioni sono completati con delle cornici lavorate con specchietti e un soffitto intarsiato colorato. Le pareti interne del palazzo sono affrescate con figure umane e animali. Il soffitto è dipinto con colori forti ma uniformi come l’azzurro, il bordeaux, il verde chiaro ed il giallo oro.
Il monumento Ali Qapu si trova nella piazza Naqsh-e Jahan, di fronte alla moschea Shaykh Lotfollah, e fu la sede centrale del governo. La capienza della sala di ricevimento è di oltre 200 persone e, al contrario di quella del palazzo Chehel Sotun che non è molto alta dal suolo, essa lo è e da là si può osservare lo splendido complesso della piazza, le moschee e gli altri monumenti della città. Le numerose stanze del palazzo su due piani, aperte da un lato e dotate di un camino dal lato opposto, sono costruite secondo lo stile architettonico iraniano che collega l’interno all’esterno del monumento. Le decorazioni interne delle stanze sono differenti, alcune sono affrescate in modo vario e altre sono rivestite con decorazioni in vetro colorato. La stanza adibita alla musica è costruita con una tale precisione che in essa non riverbera neanche una minima eco. Le proporzioni del monumento sono calcolate con precisione matematica. Dietro al monumento si trova un edificio adibito alla preghiera privata dello Shah, denominato “Tohid Khaneh” (‘casa del monoteismo’) che comprende un cortile, i cui muri laterali hanno la facciata ad arco, delle sale costruite intorno al cortile e un palazzo di sedici lati coperto da una grande cupola e altre cupole basse e prive di base (cioè poggiate, o meglio, costruite proprio sul tetto). Vi sono quattro ingressi o entrate ad arco, di cui soltanto l’ingresso del lato della qibla è rivestito con piastrelle di maiolica di sette colori.
All’epoca di Shah Abbas e nei periodi successivi si costruirono alcuni mausolei e palazzi sulle tombe dei personaggi venerati, tra cui il più importante è il mausoleo di Khajeh Rabie che fu costruito nel 1623 in un giardino alla periferia di Mashad. La sua pianta è come quella del mausoleo di Oljaitu. Si tratta di un palazzo ottogonale e ha degli atri e dei corridoi su due piani che ricordano lo stile architettonico del palazzo Taj-e Mahal, anch’esso è costruito secondo lo stile iraniano. Il palazzo del mausoleo di Khajeh Rabie è interamente rivestito con delle piastrelle di maiolica con disegni e dipinti vivaci e vari e di una lavorazione piuttosto rara. Le pareti interne sono dipinte con disegni a bassorilievo in diversi colori. I gushvare sono eseguiti con abilità e precisione, e sono collegati al suolo attraverso numerosi angoli pronunciati verso l’esterno. La cupola è poggiata su quattro muri arcati.
Il monumento Ghadamgah, dell’anno 1644, è un palazzo ottogonale con la cupola e degli atri aperti (ovvero senza il soffitto) e molto proporzionati, costruito in mezzo a un giardino sopra una collina nella città di Nishapur. Questo monumento conserva due pezzi di pietra che secondo la credenza popolare riportano le orme dei passi dell’Imam Reza (la pace su di lui). Questo palazzo fu interamente restaurato nel 1681, all’epoca del regno dello Shah Solayman. Credere all’esistenza delle orme dei passi dei santi allora era diffuso quasi in tutte le città iraniane anche se molti dei palazzi costruiti su di esse sono attualmente distrutti e del tutto cancellati. Il monumento Ghadamgah ha quattro iwan lavorati con delle bellissime moqarnas, costruiti su due assi perpendicolari, e i quattro lati tra i quattro iwan sono costituiti da quattro file di iwan minori. La cupola è poggiata su una base cilindrica alta, e ambedue, sia la cupola che la base, sono rivestite con piastrelle di maiolica intarsiate e a forma di coppia di rombi intrecciati tra loro. Questo tipo di rivestimento è tipico dei palazzi religiosi delle regioni del Fars e di Kerman. Da ciò si può dedurre che molto probabilmente l’esecutire delle decorazioni e/o l’architetto fosse di quelle regioni.
Di altri palazzi dell’epoca safavide tutt’ora in piedi, bisogna citare il piccolo palazzo di Hasht Behesht (‘Otto Paradisi’), la madrasa ed il caravanserraglio Madar-e Shah. Hasht Behesht è un palazzo ottagonale con una bella cupola costruito in mezzo al cosiddetto “Giardino degli usignoli”. Questo palazzo-villa, su due piani, con delle bellissime decorazioni simili a quelle del palazzo reale di Ali Qapu, fu costruito nel 1670 per ordine di Shah Solaiman ed essendo una proprietà privata è stato raramente citato nei libri di storia. È caratterizzato da quattro iwan su due piani, fontanelle e cascate artificiali costruite in marmo. Gli atri dei lati nord e sud hanno alti soffitti su colonne cilindirche alte circa 20 metri. Le colonne, all’epoca, erano state rivestite di specchietti. C’è poi una grande sala centrale ottagonale, al cui centro si trova una fontanella, originariamente rivestita d’argento; la sala è coperta da una piccola cupola con moqarnas dipinte finemente di vari colori. Il palazzo-villa era aperto da ogni lato al fine di permettere l’ooservazione del giardino da ogni angolo, ed era interamente ornato con oro e lapislazzuli. Queste decorazioni si sono deteriorate durante il regno dei Qajar; negli anni successivi sono stati rifatte ma in maniera molto carente. Una parte delle pareti e i muri posti sotto le facciate degli archi erano originariamente rivestite d’oro. Questo palazzo è degno di considerazione per quanto riguarda l’ideazione degli spazi e l’ottimo uso degli spazi positivi e negativi utili.
Un altro importante monumento safavide è la moschea/ madrasa costruita per ordine dello Shah Sultan Hossein, l’ultimo sovrano safavide, negli anni tra il 1707 e il 1715, che dal punto di vista edilizio è molto simile alla madrasa Madar-e Shah. Quest’ultimo monumento ha una pianta a forma di croce, ovvero è a quattro iwan. Intorno ad essi è disposta una serie di stanze intrecciate tra loro. L’iwan del lato sud è maggiore di quello del lato nord, e dietro ad esso c’è la sala quadrata con la cupola. Il cortile è quasi quadrato e al suo centro scorre un ruscello che passa sotto l’iwan del lato nord continuando poi al centro del caravanserraglio. Il caravanserraglio pur essendo collegato alla madrasa, è separato da essa da un vicolo, ed è costituito da un palazzo a quattro iwan circondati da stanze collegate tra di loro, mentre sul lato est si trova un cortile rettangolare intorno al quale sono costruite altre stanze. Apparentemente questa zona era lo stalla per i cavalli. A nord della madrasa e del caravanserraglio si trova un bazar lungo e coperto che è collegato alla madrasa e al caravanserraglio attraverso gli iwan. Questi edifici, in particolare la madrasa, sono interamente rivestiti da piastrelle di maiolica di colore azzurro che, pur non essendo eccellenti quanto quelle del rivestimento della moschea dello Shah, sono comunque splendide. L’ingresso della madrasa, che conduce alla piazza Chahar Bagh, è uno degli più bei portali ad arco esistenti, ed è considerato da molti specialisti più bello del portale della moschea dello Shah. Le lavorazioni a piastrelle di maiolica di questa madrasa sono nello stile ad intarsiato.
La moschea-madrasa di Shah Sultan Hossein è un monumento splendido e solido, e pur non essendo all’altezza delle moschee costruite durante il regno di Shah Abbas, come la moschea dello Shah, è comunque degno di considerazione rispetto alle opere islamiche dell’epoca. Il suo bell’ingresso, dalla piazza Chahar Bagh conduce a un magnifico cortile. La facciata del cortile propsetta su due piani, tutti rivestiti con piastrelle di maiolica. Vi sono quattro iwan alti e arcati ai quattro lati. La sala da preghiera è sullo stile della sala della moschea dello Shah, che è coperta da una cupola bella ma bassa. Questa è dipinta con disegni islimi di colore giallo e nero su fondo turchese. Il rivestimento esterno del monumento è costituito da varie cornici piccole di colore oro e verde con le ombre in azzurro. Molti esperti d’architettura iraniana considerano questo monumento l’ultima grande opera dell’arte islamica iraniana. Altri palazzi costruiti durante il regno dei Zand e dei Qajari, pur con tutta la loro bellezza, non eguagliano la grandezza dei monumenti safavidi. I più importanti monumenti di questo periodo sono la moschea Hakim ad Isfahan e la moschea Vakil di Shiraz. Tra le altre considerevoli opere architettoniche rimaste dai tempi dei Safavidi ci sono alcuni bagni pubblici, alcuni ponti, alcuni bazar e alcuni centri commerciali accanto ai bazar. Lo stile architettonico di questi centri è generalmente lo stesso delle madrasa – quattro iwan e un ingresso di bella fattura, a volte senza iwan – mentre i bazar seguono lo stile tradizionale con un tetto formato da cupole ripetute. I centri commerciali sono dei bazar più grandi ma di lunghezza minore e privi di via d’uscita dal lato opposto all’ingresso. In genere in fondo a questi centri si trova una grande sala ottagonale con una cupola relativamente più alta che è interamente affrescata o rivestita con piastrelle di maiolica.
Ci sono rimasti numerosi caravanserragli di epoca safavide, di cui molti sono restaurati. Ne vengono utlizzati anche alcuni semi diroccati. Essi si trovano generalmente sulle principali vie di collegamento e di commercio del paese; per esempio sulla Via della Seta, dalla città di Kermanshah, nell’Iran occidentale, fino ai confini della regione del Khorasan, nel nord-est del paese, se ne contano più di trenta di cui alcuni risalgono all’epoca sasanide. Con il tempo, questi edifici sono andati in rovina e su di essi si sono costruiti, all’epoca dei Safavidi, dei nuovi caravanserragli apportando delle modifiche (per esempio la ricostruzione a quattro iwan). Alcuni di essi sono di epoca qajar. L’esempio più noto è il caravanserraglio di Robat-e Sharif. Anche sulla via commerciale nord–sud del paese si trova un certo numero di caravanserragli safavidi, di cui alcuni hanno la forma ottagonale come quello di Deh Bid nel Fars, di cui sono rimaste soltanto poche rovine.
Di altre opere safavidi possiamo citare i bagni pubblici, le cisterne per l’acqua, le biblioteche e i palazzi privati dell’elitè della società. Il bagno pubblico “Hammam Khosrow Agha” presso Isfahan, nel 1997, nel bel mezzo dei lavori di restauro da parte del municipio della città, venne purtroppo distrutto con il pretesto di allargare la via adiacente. Un altro monumento è il complesso di Ganj Ali Khan a Kerman, che è stato trasformato, dopo essere stato restaurato, in un museo d’antropologia.
Altri monumenti rimasti di epoca safavide sono alcuni monasteri e alcune mossalla. Il monastero “Tohid Khaneh”, accanto al palazzo Ali Qapu ad Isfahan è un ottimo esempio di monastero safavide. Questo monumento, di cui sono stati completati i lavori di restauro, attulmente ospita la sede di una facoltà d’arte. È un villa di sedici lati, situata al centro di un cortile, ai lati del quale ci sono delle stanze, in modo simile allo stile delle scuole. Questa villa ha quattro ingressi arcati simili all’iwan. L’iwan del lato della direzione della qibla è rivestito con piastrelle di maiolica. La sala centrale è coperta da una cupola semisferica posta su una bassa base ottagonale.
Un altro monastero ancora in piedi è quello dello Shaykh Abd os-Samad Esfahani nella città di Natanz. La pianta interna è simile a quella del palazzo reale di Shapur I a Bishapur. Il suo ingresso è ornato con piastrelle di maiolica. Queste, molto belle e grandiose, sono una combinazione particolare del mattone e della maiolica che risalgono al primo quarto del quattordicesimo secolo. La costruzione di questo monastero, come quello dello Shaykh Safi ad-Din Ardabili ad Ardabil, avvenne prima dell’epoca safavide, ma venne restaurato durante il regno dei Safavidi.
Tra le mossalla più note, si deve citare quella di Pain-e Khiyaban e di Toraq a Mashad e la mosalla di Yazid. Le mosalla di Mashad sono di epoca safavide, mentre quella di Yazd, che è a forma di di chahar taq, risale all’epoca sasanide; essa fu ricostruita nel 1554 e restaurata nel 1629 durante il regno dello Shah Abbas I.
Nelle città di Yazd, Taft e Bafgh vi sono dei centri religiosi, detti in persiano Hosseiniyeh e/o Tekkiyeh ove i fedeli si riuniscono per svolgere riti religiosi come la celebrazione della preghiera rituale quotidiana o gli anniversari della nascita o del martirio dei santi Imam, la cui costruzione risale all’epoca safavide o ancor prima. Questi centri sono costruiti secondo lo stile e la tradizione architettonica degli antichi templi del fuoco (templi zoroastriani), ma dal punto di vista architettonico non hanno importanza e prestigio considerevoli e per questo motivo non occorre descriverli qui.
La costruzione di ponti e dighe in Iran era diffusa fin dai tempi più antichi e forse la data della loro invenzione è contemporanea a quella dei canali. In ogni modo non è chiaro quando e dove sia avvenuta. La storia parla della più antica diga costruita per ordine di Ciro il Grande nella regione del Caucaso per ostacolare e preventire gli attacchi e le invasioni del popolo Hun. In diverse località dell’Iran si vedono rovine di ponti e dighe che risalgono all’epoca sasanide. La diga più antica tutt’ora in piedi è quella di Band-e Amir nella città di Marvdasht nella regione del Fars, che è del periodo del regno dei Buyidi ed è costruita secondo lo stile della diga di Band-e Bahman, anch’essa nel Fars, ma è semi distrutta.
Dei periodi successivi sono rimasti pochi ponti intatti. Tra di essi due sono degni di nota, Si-o-se pol e Khaju, entrambi nella città di Isfahan. Il ponte Khaju non è un semplice ponte, bensi è anche una specie di diga mobile, costruita sulle fondamenta di pietre pesanti . Chiudendo la bocca di scorrimento d’acqua sotto il ponte, infatti, veniva usato per accumulare l’acqua per l’irrigazione dei terreni circostanti. Inoltre, con l’acqua così raccolta si creava un laghetto per il canottaggio e un luogo per il passatempo del sovrano; per questo motivo la parte centrale del ponte è costruita a forma di stanza-villetta adibita all’uso della corte. L’altro ponte, ossia il Si-o-se pol, prese il nome dal numero (33) delle bocche di scorrimento dell’acqua e fu unicamente costruito per collegare le due sponde del fiume Zayande Rud e creare una via di collegamento tra le città di Isfahan e di Shiraz.
In epoca safavide ebbe una notevole diffusione anche l’arte del giardinaggio. Un certo numero di questi giardini sono ancora rimasti in alcune città, tra cui quello di Chehel Sotun a Isfahan e il Bagh-e Fin a Kashan. Soprattutto quest’ultimo, con i ruscelli e le fontanelle, ricorda gli antichi giardini iranici di cui si parla nella storia. I giardini degli Zand e dei Qajari sono costruiti, sin dall’epoca del regno di Nasser ad-Din Shah, secondo lo stesso stile dei giardini safavidi.
Inoltre, di epoca safavide sono rimaste alcune chiese cristiane nelle regioni dell’Azerbaijan, di Isfahan e di Shiraz, di cui le più importanti sono:
– la chiesa Vank (la sede del vescovado di Isfahan) e la chiesa Beit Lahm sempre ad Isfahan;
– la chiesa Tatavus a Tehran (nel quartiere di Chaleh Meidan);
– la Chiesa Shamun-e Ghayur a Shiraz;
– la chiesa Tajlil-e Masih a Qalat-e Shiraz;
– la chiesa Zohur-e Masih a Bushehr, nel sud dell’Iran.
Queste chiese sono costruite secondo uno stile architettonico interamente islamico e hanno il soffitto coperto da cupola.

Le arti figurative

Le arti figurative più importanti dell’epoca safavide furono: la pittura, la pittura su piastrelle di maiolica, il disegno dei tappeti, dei tessuti e dei piatti fabbricati in rame, argento e terracotta. Fu in questo periodo che si diffuse la ritrattisca dei volti umani, ad imitazione della pittura europea (gotico e rinascimento artistico italiano). Ma il fatto che si trattasse di un’arte di imitazione superficiale, che dava importanza unicamente alle somiglianze precise ma apparenti con il modello, non ne favorì lo sviluppo tanto che fino al periodo della rivoluzione islamica da essa non venne creata nessun’opera degna di nota. Da un altro punto di vista, la ritrattistica fu utilizzata per creare copie venendo accolta favorevolmente da parte degli artisti iraniani, e per altri versi ancora evidenziò un tipo di estetica derivata dalla pittura e dall’autentica arte iraniana, che contribuì a creare una nuova corrente di cui parleremo nel capitolo dedicato al periodo qajaro.
La pittura all’epoca safavide fu la continuazione dello stile e delle scuole d’epoca timuride. Shah Ismail dimostrò molto interesse per l’arte e la cultura, e dopo essersi assicurato l’integrità territoriale iraniana, si occupò della fondazione di biblioteche e laboratori d’arte. Egli durante una guerra fece nascondere Kamal ad-Din Behzad e Shah Mohammad Nishapuri, rispettivamente il pittore e il calligrafo noti dell’epoca, nei bauli per evitare che subissero danni e li liberò alla fine della guerra. Egli nel 1523 nominò Kamal ad-Din Behzad direttore della biblioteca e dei laboratori d’arte reali. La fama di Behzad crebbe talmente tanto che i re ottomani e d’India si contendevano le sue opere. Egli fu un artista della scuola d’arte denominata scuola di Bukhara, però per aver creato un certo numero di opere durante il suo soggiorno a Herat, un gruppo di storici lo considerano della scuola d’arte di Herat. Behzad fu allievo di Pir Seyed Ahmad di Tabriz, e lui a sua volta apprese l’arte della pittura dagli artisti di Shiraz deportati a Samarcanda e in Transoxiana per ordine di Tamerlano. Pir Seyed Ahmad, il maestro di Behzad, seguiva il metodo di Jonayd che aveva imparato la pittura a Shiraz e molto probabilmente fu anche suo allievo. Jonayd fu a sua volta allievo di un pittore di nome Mir Ali Shirazi, ma poiché non aveva firmato le sue opere, attualmente non ci sono opere a nome suo o comunque è molto raro. La fama di Behzad indusse alcuni artisti del tempo che seguivano il suo stile a presentare le proprie opere a nome di Behzad. In ogni modo egli inventò e perfezionò i metodi estetici della pittura iranica. Fu lui a purificare ed eliminare le influenze mongole e probabilmente cinesi dall’arte iraniana, e a creare un’arte autentica dotata di varietà e splendore.
Dopo Shah Ismail, suo figlio Tahmasb Mirza sostenne Behzad che si occupò dell’istruzione degli allievi, i quali a loro volta crearono la scuola safavide di pittura, di disegno dei tappeti, delle piastrelle di maiolica, e di altro. Uno dei pregi di Behzad nelle sue opere fu la combinazione delle linee verticali e orizzontali con le linee inclinate e libere che riempiono lo spazio dell’opera in un movimento circolare. Dato che egli non voleva che la calligrafia penetrasse e influenzasse la pittura o viceversa, dipingeva sempre l’intera superficie della tela senza lasciare spazi per l’iscrizione, ad eccezione dei casi in cui lo riteneva necessario per l’armonia generale delle componenti dell’opera. Tra le iniziative di Behzad ricordiamo la pittura di ritratti di personaggi illustri del tempo e la riproduzione di vari stati d’animo e spirituali sui volti. La maggioranza degli scritti nelle opere di Behzad è opera del calligrafo Mir Ali Kateb.
Un altro pittore del tempo, seguace della scuola d’arte di Herat, che visse gran parte della sua vita durante il regno dei Safavidi, fu Qassem Ali. Egli dipinse alcune pagine della Khamse di Nezami Ganjavi insieme a Behzad. Questo libro è custodito nel museo di Londra in Inghilterra. Il suo stile fu quello di Behzad, tanto che, se non avesse firmato le proprie opere, il visitatore cadrebbe in errore nel riconoscere l’autore. Tuttavia la fama di Behzad è uno dei fattori per cui gli esperti riservano poca attenzione alle opere di Qassem Ali o, con poco favore nei suoi confronti, le attribuiscono a Behzad.
Degli altri artisti di questo periodo, considerati appartenenti sia alla scuola d’arte di Herat sia a quella safavide, possiamo nominare i seguenti: Shaykh Zadeye Khorasani, Mir Mansur Sultan, Aqa Mirak e Mozaffar Ali, avente ognuno un proprio stile personale ed innovativo, di cui parleremo nel capitolo dedicato alla pittura safavide.
Dopo l’invasione e il saccheggio di Herat da parte degli Uzbeki nel 1536, alcuni artisti seguaci della religione sciita si trasferirono a Bukhara, allora sotto il domino safavide, perciò dovrebbero essere considerati appartenenti alla scuola safavide. Tra loro i più noti sono: Mohammad Momen, Mahmud Mozahhab e Abdollah Naqqash. Tutti loro seguivano lo stile di Behzad, e per questo le loro opere sono spesso dello stesso stile. Gli storici hanno attribuito questo gruppo di pittori alla scuola d’arte di Bukhara che non ebbe vita facile in quanto la varietà, la multitudine e la presenza degli artisti in Iran, sotto il nome della scuola safavide o la scuola d’Isfahan, fece sì che la centralità dell’arte si trasferisse nuovamente dalla Transoxiana all’Iran centrale, stabilendosi qui ancora una volta.
La pittura safavide può essere suddivisa in due scuole, tra cui quella di Tabriz, sviluppatasi durante il regno di Shah Tahmasb, la quale si identifica con artisti come Behzad, Soltan Mohammad, Mohammad Mozahhab, Sayed Ali Soltan Mohammad, Aqa Mirak, Mirza Ali, Shah Qoli, Mozaffar Ali, Mir Sayed Ali e Abd os-Samad. Si possono aggiungere artisti come Sayed Pir-e Naqqash, Shah Mohammad, Dust Mohammad e Shah Qoli Tabrizi che sono però di livello inferiore. Mossavver Mohammadi, figlio di Sultan Mohammad, fu un abilissimo pittore che occupa una posizione particolare nella storia dell’arte iraniana. Egli inventò uno stile e un metodo nuovo che sfortunatamente non ebbe continuità. Aqa Mirak e Soltan Mohammad furono dei pittori famosi. Soltan Mohammad fu il maestro incontestato della pittura all’epoca del regno di Shah Tahmasb; egli fu persino il maestro dello stesso Shah, che apprese la pittura e il dipinto del tappeto e del tessuto. Le composizioni delle opere di Soltan Mohammad sono piuttosto complicate e piene di piccole componenti ornamentali e in genere sono realizzate con un movimento circolare e in base alla geometria quasi conica e alle proporzioni auree. Le sue opere si distinguono per la varietà della composizione e della colorazione, il loro splendore e la loro bellezza, che dimostrano il benessere e la ricchezza dell’epoca del regno di Shah Tahmasb. Suo figlio, Mosavver Mohammadi, fu pittore di scene di villaggi, della vita e delle attività contadine e fu l’unico ad interessarsi a questo stile. Egli si astenne dallo splendore e dalla magnificenza della corte reale e il suo interesse verso la natura e la vita contadina lo rese un pittore eccezionale.
L’arte del periodo di regno di Shah Tahmasb che fu una fase di transizione tra la scuola d’arte di Bahgdad e la scuola d’arte safavide d’Isfahan, segnò il periodo più fiorente della pittura iranica. Due libri pregiatissimi sono tra le opere rimaste di questo periodo: il Khamse-ye Nezami, che è attulmente custodito nel museo britannico di Londra, e lo Shahnameh di Ferdowsi che comprende 256 miniature, di cui la maggior parte sono opera di Soltan Mohammad oppure sono da lui schematizzati e disegnati e in secondo momento colorati da altri. È considerevole il fatto che quindici pittori di quel periodo avessero collaborato per illustrare questo libro. Shah Tahmasb diede i due libri in dono al sovrano ottomano in occasione della sua incoronazione e in segno di fratellanza e pace. Ma nel corso del tempo i libri uscirono dalla Turchia e caddero nelle mani del barone Rothschild, ricco ebreo francese, ed in seguito furono venduti a Hudson, un magnate americano. Hudson donò settanta pagine dello Shahnameh al museo Metropolitain di New York e ne vendette un certo numero di pagine; le pagine rimanenti, che costituiscono più della metà del volume, nel 1997, grazie gli impegni e agli interventi autorevoli del dottor Hasan Habibi, il primo vice presidente della Repubblica Islamica dell’Iran di allora, vennero scambiati con un’opera dell’artista occidentale De Koenig.
Tra gli insigni calligrafi del periodo safavide si possono annoverare: Shah Mohammad Nishapuri, Mir Ali Tabrizi, Soltan Mohammad Nur, Haj Mirak-e Khattat e Mir Emad Khattat. Quest’ultimo fu il maestro incontestato della calligrafia dello stile nastaliq, che contribuì a perfezionare.
Ciò che è degno d’attenzione dell’arte dell’epoca safavide, è l’uniformità delle arti in tutte le città iraniane che in qualche modo furono culle, ovvero luoghi della nascita dell’espansione e della diffusione dell’arte iraniana. L’unità politica e religiosa fu accompagnata dall’unità artistica e questa uniformità fu talmente forte che qualsiasi invenzione e innovazione in ciascuna delle arti si manifestava rapidamente in altre arti; e ciò fu forse dovuto al fatto che artisti come Soltan Mohammad, oltre alla pittura, si occupavano anche del disegno del tappeto, del tessuto e anche della lavorazione con piastrelle di maiolica. Loro non si occupavano di una sola arte, bensì consideravano l’unità delle arti come il principio delle proprie attività. In quel periodo, quando la città di Tabriz era capitale del paese, si diede molta importanza all’autenticità dell’arte e alla sua iranicità. I metodi e gli stili iraniani nelle lavorazioni delle piastrelle di maiolica e del tappeto si perfezionarono al massimo. Altre arti come le lavorazioni delle piastrelle di maiolica intarsiate e di vari tessuti come il broccato e il Kashmir acquisirono uno splendore considerevole. L’arte della lavorazione del metallo, che non era diffusa nei periodi precedenti, trovò gradualmente il suo meritato posto e segnò l’inizio di una svolta, che all’epoca del regno di Shah Abbas I attirò i viaggiatori occidentali verso l’Iran.
Durante il regno di Shah Abbas il Grande la capitale si trasferì da Tabriz a Isfahan. Lo Shah Abbas voleva vivere in mezzo alla bellezza e alla magnificenza, ma nello stesso tempo non voleva sopportare i sacrifici che le costruzione di tali opere comportava per cui indirizzo l’arte verso la semplicità e la sobrietà riducendone i costi. In questo modo, venne eliminata la lavorazione delle piastrelle di maiolica intarsiate ed i muri delle moschee vennero rivestiti con piastrelle quadrate di maiolica, lavoro che si effettua con facilità e rapidità maggiore e con costi minori. L’arte del disegno e della progettazione di maiolica si perfezionò, mentre scese di livello dal punto di vista della tecnica. Non si dedicò la dovuta attenzione all’arte della rilegatura e dell’illustrazione dei libri. Nell’industria del tappeto non si lavorò sui tappeti pregiati come quello del monastero della città di Ardabil. I disegni raffiguranti gli animali e gli uccelli, denominati disegni di caccia, si diffusero grazie alla richiesta e all’accoglienza incontrate fuori dei confini del paese. Le misure e le dimensioni dei tappeti si ridussero per facilitarne il trasporto. La lavorazione dei piatti di ceramica perse il suo splendore, mentre la lavorazione dei metalli e dei piatti di rame incisi, acquistò importanza.
Shah Abbas fu sostenitore del rinnovamento. Stabilì relazioni politiche con i paesi occidentali ed orientali cercando di far stare l’Iran al passo con i progressi occidentali ed europei. La liberalizzazione del commercio estero favorì l’importazione massiccia di opere artistiche straniere, in particolare incisioni e quadri europei di stile gotico olandese e del periodo del rinascimento artistico italiano. Pittori come l’olandese Johan che trascorse un pò di tempo alla corte dello Shah Abbas e contribuì notevolmente a dipingere i muri dei palazzi di Isfahan, fecero sì che l’attenzione degli artisti si rivolgesse dall’illustrazione dei manoscritti ad altre tecniche artistiche. In questo periodo la pittura murale o l’affresco, sia secondo lo stile occidentale sia secondo quello iraniano, trovò maggiore splendore, però gli artisti iraniani appresero solo ciò che non recò alcun danno all’identità artistica iraniana. In realtà essi compirono una sorte di revisione nelle loro opere. Tra i più importanti pittori di questo periodo si possono annoverare Reza Abbasi, Mossavver Mohammadi e alcuni allievi di Reza Abbasi come Shafie Abbasi (figlio di Reza), Afzal Mohmmad, Qassem Tabrizi, Mohammad Yusof e Mohammad Ali Tabrizi. Reza Abbasi fu il più eminente del gruppo e si può dire che lo stile autenticamente iraniano nella pittura fa capo a lui.
In questo periodo, definito il secondo periodo dell’arte safavide, si diffuse la pittura dei ritratti e di altri tipi tradizionali. L’esportazione di queste opere sia in Europa che in India, indusse gli artisti di altri paesi ad imitare l’arte iraniana. In Europa era allora superato il periodo gotico e il rinascimento artistico e si diffuse rapidamente la corrente barocca. Rembrandt fu molto interessato all’arte iraniana e indo-iraniana. Questo periodo potrebbe essere considerato un periodo di influenza reciproca tra l’Iran e l’Europa.
Shah Abbas II, che regnò dal 1643 al 1667, favorì e incoraggiò la diffusione dei metodi e degli stili d’arte europea e occidentale in Iran. Egli inviò un gruppo di giovani guidati da Mohammad Zaman in Europa (in particolare in Italia) per apprendere le tecniche della pittura occidentale. Mohammad Zaman cambiò religione e ritornò in patria con il nome di Paolo Zaman. Questo gruppo, alcuni dei soui membri temettero di firmare le proprie opere, non incontrò il favore della popolazione. La maggioranza delle loro opere ritrae le storie religiose della Torah e del Vangelo. Mohammad Zaman dipinse qualche pagina rimasta ancora bianca del libro Khamse-ye Nezami (il quale essendo redatto per ordine dello Shah Tahmasb, è detto anche Khamse-ye Nezami-e Shah Tahmasbi) dipinto circa cent’anni prima. Questi dipinti, pur essendo in stile occidentale ed europeo, conservano le proprie specificità iraniane dal punto di vista della composizione, della forma e della colorazione.
Questo periodo fu un periodo di decadenza dell’arte safavide. Non venne creata alcuna opera importante, ad eccezione di alcuni tappeti e le decorazioni in maiolica, e le opere create in realtà furono la continuazione degli stili del secondo periodo.
La tendenza all’occidentalizzazione nella pittura segnò l’inizio di una svolta nell’arte della pittura dei periodi successivi, ossia i periodi degli Zand e dei Qajar, di cui si parlerà più avanti.
Del periodo safavide vi sono altre opere preziose nelle biblioteche che riportano i nomi di altri pittori che non divennero famosi. Dispiace il fatto che queste opere, custodite nelle biblioteche della moschea Sepahsalar (attuale Shahid Motahhari), nella biblioteca Reale e nella biblioteca di Haj Aqa Malek, non siano state studiate ed analizzate.

Ceramica, metalli, tappeti, tessuti

Attualmente le arti, ad eccezione dell’architettura, della scultura e della pittura, sono chiamate industrie manifatturiere oppure artigianato che comprende le arti della lavorazione della ceramica, del metallo, del legno, dei tappeti e dei diversi tipi di tessuto.
Riguardo alla lavorazione della ceramica e del metallo, dal periodo successivo alla vittoria dell’Islam sull’impero persiano, ossia l’introduzione dell’Islam in Iran, non si possono forse fornire le caratteristiche e le specificità proprie dei diversi periodi. Queste due arti, dopo la caduta dei Sasanidi, continuarono nello stesso stile sasanide e persino fino ai secoli X e XI in esse si possono trovare i disegni e le illustrazioni di quel periodo. Purtroppo non sono state rinvenute opere degne di nota dei diversi periodi della storia dell’Iran.
Anche se le prime dinastie indipendenti iraniane salirono al potere ad est e nel nord-est dell’Iran, le più antiche opere rinvenute in Iraq e nel Fars, sono del periodo del regno dei Buyidi (933-1064), e nel nord del paese sono del perodo Samanide (818-1006). Queste opere sono di numero esiguo, non presentano uno stile e un metodo specifico e non dimostrano neppure una benchè minima svolta. Fu in questo periodo che per la prima volta venne impiegata l’arte della calligrafia in caratteri arabo-cufici per ornare i bordi dei piatti insieme a dipinti floreali e geometrici e anche disegni islimi e a rilievo.
Per quanto concerne la ceramica, dalle opere custodite nei musei si deduce che il massimo splendore in quest’arte si ebbe nei secoli X e XI, e i suoi centri più importanti furono le città di Samarcanda, di Bukhara e di Nishapur. In questo periodo era diffusa la fabbricazione di bellissimi piatti in ceramica rivestiti con smalti trasparenti, dipinti floreali e di animali e con scritte in caratteri cufici. Nelle città come Nishapur, Gorgan, Ray e Kashan si diffusero i piatti smaltati monocolore o multicolore con disegni stampati con colori come il giallo e l’azzurro oppure con i disegni incisi, ma i piatti più belli furono di Nishapur, spesso dotati di uno o due anelli di scritte in caratteri cufici, ai bordi o poco più centrali. Il metodo di fabbricazione era il seguente: i piatti fatti di ceramica o di argilla venivano cotti nei forni e poi su di essi si facevano dei disegni, quindi li si immergeva nella soluzione di smalto di vetro e infine, una volta asciugato lo smalto, venivano nuovamente cotti. I piatti più belli sono famosi con il nome “zarrinfam” (‘piatti dorati’).
Lo sviluppo delle forme e dei disegni di questi piatti fu molto lento, e durante il governo dei Mongoli l’arte della ceramica conobbe un momento di stasi e di arretramento. Durante la prima invasione mongola ad opera di Chengiz Khan, la città di Nishapur venne rasa al suolo e dopo averla irrigata per una settimana, vi si coltivò l’orzo. Dopo la rinascita di Nishapur, non ci fu nessuna traccia dei suoi bellissimi oggetti in ceramica. Nei secoli XIII e XIV la sede centrale di quest’arte si trasferì nelle città di Takht-e Soleyman, di Soltan Abad e di Varamin.
Si può considerare questo periodo un’era di rinnovamento e di rinascita della ceramica smaltata. Nel periodo degli Ilkhanidi ebbe inizio la fabbricazione di piastrelle di maiolica smaltata (spesso di colore azzurro) che per la prima volta vennero impiegate in architettura nel rivestimento della cupola di Maragheh e successivamente vennero fabbricate, dopo ricerche sperimentali, nelle città di Isfahan e di Kashan anche se lo scopo principale fu la creazione e la lavorazione di piastrelle di maiolica intarsiate per le decorazioni dei monumenti, in particolare di quelli religiosi. Vennero costruite dei grandi mihrab compatti, cioè fartti di un solo pezzo o di qualche pezzo. Fu allora che entrò in uso il termine kashi che vuol dire appunto piastrelle di maiolica.
Durante il regno di Tamerlano e dei suoi successori vennero create tra le più belle decorazioni di piastrelle di maiolica intarsiate, il cui esempio più eccellente è la moschea Gohar Shad di Mashad.
Data la maggiore diffusione dei piatti di metallo, in questo periodo e in particolare durante il regno dei Safavidi, gli artisti vasai fabbicavano i piatti di ceramica solo per rispondere alle richieste di consumo della gente. L’importazione di vari oggetti in ceramica smaltata di colori azzurro e bianco favorì la diffusione dell’imitazione di tali oggetti e piatti in Iran e vennero fabbricati nei centri come Kerman, Isfahan, Tabriz e nelle zone costiere del Golfo Persico. Di quel tempo forse non si può trovare un disegno e un dipinto autenticamente iraniano e privo dell’influenza cinese; però l’arte del kashi, ovvero la fabbricazione delle piastrelle di maiolica, ebbe molto successo e segnò una svolta molto importante, specialmente all’epoca del regno di Shah Abbas II. I più bei esemplari di tali piastrelle vanno cercati nei monumenti della moschea dello Shah, della moschea Shaykh Lotfollah e la Darb Imam ad Isfahan.
La fabbricazione monotono delle piastrelle di ceramica smaltate continuò nei periodi degli Zand e dei Qajar con lo stesso stile safavide, però esse furono generalmente smaltate cotte, e lo stile di Nishapur dei secoli X e XI fu quasi dimenticato. Alla fine del periodo qajar e durante il regno dei Pahlavi, a causa dell’importo massiccio di piatti e di vari oggetti dall’estero, l’arte della fabbricazione delle piastrelle e dei piatti di ceramica perse la sua buona qualità riducendosi a un livello molto banale e privo di valore. Tuttavia nella seconda metà del periodo pahlavi ci fu un sostegno apparente dell’artigianato ma non fu tale da poter parlare di svolta o della creazione di capolavori in ceramica, o persino di opere con una qualità appena accettabile. La situazione era diversa per quanto riguarda l’arte della lavorazione in metallo. Quest’arte, che all’epoca sasanide fu considerata una delle arti di base e d’esportazione dell’Iran, ritrovò lo splendore nel periodo islamico, sin dal regno dei Buyidi, giungendo a una relativa perfezione durante l’epoca selgiuchide.
Quest’epoca può essere considerata uno dei periodi più fiorenti della diffusione delle arti dalla vittoria dell’Islam in poi. Le più belle opere metalliche nei primi periodi islamici appartengono alla regione del Khorasan ed hanno diverse decorazioni di scritte calligrafiche e di epigrafi in caratteri cufici, dipinti di figure umane, di animali, di piante e di disegni islimi. Durante il dominio dei Mongoli sull’Iran, quest’arte raggiunse la sua perfezione relativa e ciò significa che non si estinse durante l’invasione distruttiva mongola ed il regresso economico dell’Iran, ritrovando lo stesso vigore e la stessa bellezza dell’epoca degli Ilkhanidi. All’epoca del regno di Tamerlano, le città di Samarcanda e Bukhara erano il fulcro dell’arte, mentre l’arte della lavorazione del metallo, come quella della ceramica smaltata non fece progressi considerevoli. Tamerlano dava più attenzione e importanza alle costruzioni architettoniche colossali e alle loro decorazioni intarsiate. Quest’arte tuttavia rinacque in epoca safavide e vennero fabbricati diversi tipi di piatti e di oggetti metallici, come grandi candelabri, vassoi, ciotole, coppe, grandi brocche, vasi ornamentali e cornici fatte di specchi con vari disegni e dipinti simili ai disegni delle piastrelle di maiolica e dei tappeti. Lo stile della fabbricazione dei piatti con i laminati d’oro e d’argento, che fu abbandonata dopo l’epoca dei Sasanidi, ritrovò nuovamente il suo splendore, continuando ancora durante il periodo degli Zand e agli inizi del periodo dei Qajar.
C’è da sottolineare che il periodo selgiuchide segnò un eccellente inizio nel disegno e nella forma dei piatti metallici e in questo periodo si fabbricarono dei piatti in bronzo stampati o incisi conservando le forme tradizionali di oggetti come lampade, brocche a forma piramidale, mortai, caraffe, boccali, giare, bacinelle e ciotole ed oltre al bronzo si diffuse anche l’uso del rame.
Dalla metà del XII secolo si fabbricarono nuovi modelli di brocche a forma cilindrica, lampade zoomorfe e ornate con vari disegni, candelabri a base larga, spruzzatori di acqua di rosa a collo lungo, brocche tondeggianti a collo lungo simili a quelle del periodo sasanide, bacinelle e altri piatti in diversi disegni e forme. In quel periodo tutta la superficie esterna delle opere veniva ornata d’argento e di rame e nelle sale di cerimonia della corte venivano esposte sculture del corpo umano e scene di caccia sui piatti e sulle collane fabbricate in diverse forme geometriche e con i nastri ornamentali. All’inizio del XIII secolo apparvero le incisioni e i disegni a rilievo nelle decorazioni esterne dei piatti e degli oggetti.
Con il superamento della fase di declino attraversata da quest’arte in epoca mongola, verso la fine del XIII secolo, essa si concentrò nelle regioni nord-occidentali del paese. Durante il regno di Ghazan Khan (dagli ultimi anni del XIII secolo agli inizi del XIV secolo), insieme al miglioramento delle condizioni economiche del paese, l’arte della lavorazione del metallo giunse all’apice. Gli Ilkhanidi, che in realtà erano buddisti, introdussero elementi orientali nelle decorazioni di oggetti di metallo. Dopo la caduta degli Ilkhanidi nella prima metà del XIV secolo, la sede centrale dell’arte della lavorazione in metallo, si spostò nella regione del Fars, sotto il dominio degli Injù e dei Mozaffaridi. In questo periodo ci furono due tipi di opere con disegni diversi: quelle con disegni influenzati da temi orientali, come i fiori di ninfea, elementi mongoli come i vestiti, scene di natura e le opere aventi disegni di forme geometriche, quadrate ed incrociate, prodotti nelle città di Mussel e di Baghdad. Sui piatti vennero incise figure umane di alta statura (al contrario dell’uomo di bassa statura di aspetto mongolo nel periodo degli Ilkhanidi), ben impostata e in mezzo a giardini o durante la caccia. Come simbolo della scuola delle lavorazioni in metallo della dinastia dei Mozaffaridi del Fars, si distinguono gli oggetti raffiguranti testi di preghiere e invocazioni, a cui a volte si aggiungevano i nomi dei governatori della regione e firmati dal calligrafo Nasabe-ye Shirazi.
Tamerlano dopo la conquista della città di Shiraz portò con sé a Samarcanda numerosi artisti tra cui quelli del metallo. Sfortunatamente di quel periodo non sono rimaste opere in metallo di un certo rilievo.
Nel periodo safavide gli oggetti in metallo furono decorati inizialmente con piccoli disegni islimi e con scritte in stile timuride, mentre continuava la fabbricazione di oggetti e di piatti in bronzo ornati da disegni incisi su di essi, mentre per fabbricare bacinelle ed altri piatti si usava il bronzo colato come metallo. Diventò un fatto consueto scrivere sui piatti delle poesie o i nomi dei Profeti e degli Imam e ai bordi si incidevano scene di festa e di caccia mentre il fondo veniva dipinto con disegni floreali.
In epoca safavide gli artisti si sforzarono di modificare e di allargare le forme degli oggetti metallici. Si fabbricarono delle brocche-bacinelle in bellissime forme e delle ciotole fonde e finemente curvate per creare forme nuove ed interessanti. Gli artisti usavano abilmente il ferro e l’acciaio e ornavano gli oggetti fabbricati con raffinatezza. In questo periodo si fabbricarono tanti strumenti da combattimento come spade, diversi tipi di pugnali, elmetti, scudi ed altre armi e mezzi da guerra usando metalli come il ferro e l’acciaio incisi e marcati con lamine d’oro e d’argento. Inoltre si fabbricavano, per la corte e per l’ elitè della società, piatti d’argento e d’oro con decorazioni molto fini. L’arte della lavorazione dei metalli continuò durante l’epoca di regno degli Zand e dei Qajar nello stesso stile safavide.
In epoca qajar sui piatti si eseguivano i disegni floreali presi dalle pitture e dai dipinti già in uso. D’altro canto sugli oggetti di metallo dell’epoca qajar si possono notare influenze dello stile barocco-rococò occidentale, che sono in qualche modo state modificate secondo lo stile iraniano. L’arte della lavorazione in metallo è una delle arti che continua tutt’ora in molte città iraniane, tra cui Isfahan, e gli artisti di questa disciplina hanno trasmesso i segreti di generazione in generazione.
In epoca safavide fu data molta importanza all’arte del disegno e della tessitura del tappeto. Si dice che nelle officine dello Shah Tahmasb I, oltre alla pittura, la bella calligrafia e la rilegatura, si insegnava e si fabbricava anche l’arte del disegno e della tessitura del tappeto e lo stesso Shah Tahmasb conosceva quest’arte. Le più importanti opere rimaste di questo periodo sono due tappeti molto preziosi che attualmente sono custoditi nel Victoria & Albert Museum di Londra. Il primo e il più importante è il tappeto di Ardabil, che fu rubato dal monastero-mausoleo dello Shaykh Safi ad-Din Ardabili e venduto agli stranieri. Questo tappeto di seta e lana è di tessitura molto fine, con 520.000 nodi al metro quadrato. È probabile che questo tappeto sia stato prodotto prima di Shah Ismail Safavide o per lo meno durante il suo regno. Come si evince da quanto scritto sul tappeto, è stato prodotto in un laboratorio della città di Kashan e la sua annodatura è del tipo “farsbaf”(‘annodatura di tipo persiano’) o del tipo “senneh”. Il secondo tappeto, che è famoso col nome di Chelsee (il nome dell’ambasciatore d’Inghilterra del tempo), ha in ogni metro quadrato 740.000 nodi. Anch’esso è del tipo farsbaf ed è stato tessuto a Kashan. Questo tappeto è più antico di quello di Ardabil, ed il suo disegno, noto con il nome di “giardino di caccia”, rappresenta degli animali in mezzo ad arbusti, cespugli e fiori islimi.
Vi sono altri tappeti nelle collezioni private negli Stati Uniti d’America e in Europa, in particolare nelle collezione privata del principe di Lussemburgo che però sono di livello inferiore per quanto riguarda il numero dei nodi, i materiali usati e le dimensioni.
È da sottolineare che nei disegni dei tappeti safavidi, pur avendo essi alcune somiglianze con i disegni delle cornici decorate con le piastrelle di maiolica delle moschee e dei luoghi religiosi, non si esitò ad aggiungere immagini di animali e di figure umane in mezzo agli islimi, e ai motivi floreali. Forse per la prima volta nella storia dell’Iran islamico si produssero dei tappeti con i disegni di luoghi di caccia, di foreste, di animali selvatici e domestici, di uccelli, sia veri che leggendari e di fantasia, il che divenne gradualmente una tradizione dopo i Safavidi.
Delle altre arti che fiorirono durante il regno dei Safavidi, vi sono la tessitura, sia di seta che di kashmir, della tessitura in oro, del sormeh duzi (‘ricamo con filo d’oro o d’argento’), ecc. Ne parleremo nel capitolo della rinascita delle arti tradizionali nella Repubblica Islamica dell’Iran.
È da citare forse il fatto che i tessuti prodotti all’epoca dei Safavidi, per alcune caratteristiche, si possono considerare simili ai prodotti dell’era sasanide.
Per quanto riguarda l’arte della lavorazione in pietra, della squadratura della pietra e della scultura nel periodo safavide, non sono rimaste opere importanti ad eccezione dei grandi discomi di pietra, che si riempivano di bevande dolci nei giorni particolari, delle fontane a getto d’acqua e delle pietre scolpite a forma di zampe di animali. E questo forse è dovuto alla proibizione della scultura dichiarato da parte di molti ulema. Si può dire comunque che le grate di pietra che furono diffuse all’epoca degli Zand per illuminare i piani sotterranei, furono una delle invenzioni del periodo safavide, in quanto la breve durata del regno degli Zand non lasciò il tempo sufficiente per creazioni artistiche e per l’invenzione di nuove opere. La dinastia Zand fu la continuazione di quella Safavide, e trasmise l’eredità dei Safavidi, con piccole modifiche, ai Qajar.



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