SECONDA PARTE
L’ARTE IRANIANA DALL’AVVENTO DELL’ISLAM
ALLA VITTORIA DELLA RIVOLUZIONE ISLAMICA
L’ARTE NEL PERIODO SELGIUCHIDE
Introduzione generale e breve storia politico-culturale
Il periodo selgiuchide è considerato il periodo della rinascita artistica in tutto l’Iran, sia orientale, sia occidentale, durante il quale l’architettura,in particolare quella riguardante le moschee, le madrasa e i caravanserragli, trovò la sua forma definitiva. Inoltre, come già successo in epoca sasanide, essa oltrepassò i confini nazionali penetrando in Oriente, sino alla Cina e all’India, e in Occidente, fino alle coste dell’Oceano Atlantico, influenzando lo stile di costruzione dei monumenti di quelle regioni.
Non furono i Selgiuchidi a dare inizio a questa rinascita ed alla rivoluzione culturale ed artistica che ne seguì, ma fu sicuramente durante il loro regno che il genio iraniano raggiunse l’apice. Dopo di essi, il percorso artistico continuò ma non riuscì ad elevarsi e nemmeno a rimanere allo stesso livello, limitandosi a forme di imitazione e di rifacimento dei monumenti del passato. In effetti, la svolta culturale ed artistica si ebbe nei secoli VIII e IX , durante il regno dei Saffaridi e in particolare dei Samanidi. Gli Ziyaridi e i Buyidi, ciascuno dentro il loro territorio, fecero dei passi significativi nella realizzazione di questa rinascita nazionale ed artistica.
Nel nono secolo l’Iran vide una fioritura di poeti, dotti, matematici, astronomi, storici, geografi, linguisti, biologi e medici. Essi godevano di un’autorità senza precedenti ed erano dotati d’audacia e di notevoli capacità. Durante il regno dei Samanidi, nonostante le numerose guerre e le lotte per l’indipendenza che si verificarono in ogni angolo di un territorio così vasto, l’Iran diventò la culla della letteratura e della cultura, mentre in quel periodo l’Europa e l’Occidente erano immersi nel buio dell’ignoranza e del fanatismo.
Lo sviluppo di questa crescita culturale nel decimo secolo ed il risveglio dei sentimenti nazionalistici ed indipendentistici degli Iraniani trovarono sostegno nelle opere di personaggi come il grande poeta Ferdowsi, famoso per l’opera epica immortale ovvero lo Shahnameh ed altri libri come il Khodinameh ecc. La composizione dello Shahnameh iniziò circa nel 981 e terminò trenta anni più tardi, ovvero nel 1011. Lo Shahnameh di Ferdowsi, uno dei più grandi poemi epici del mondo, non solo riuscì a cancellare dalle menti della popolazione l’influenza della cultura araba imposta dai conquistatori arabi all’Iran – gli scienziati e gli scrittori iraniani erano costretti a scrivere le proprie opere in lingua araba – ma riuscì anche a rinvigorire la lingua originale ed autentica, il persiano dari, rispetto alla lingua imposta. Attualmente la lingua di Ferdowsi è la lingua ufficiale dell’Iran. Ferdowsi compose circa seimila versi in cui sono usati soltanto 984 vocaboli arabi persianizzati. Ciò fu non solo un servigio reso all’Iran e all’iranicità, ma anche un invito ed un insegnamento a preservare l’indipendenza e l’unità della nazione ed essere sempre pronti ad affrontare e respingere ogni tipo d’aggressione politica e culturale straniera. Anche se fu Rudaki l’iniziatore della poesia persiana, Ferdowsi ebbe il merito di avviare il movimento indipendentista e in questo poche persone riuscirono ad eguagliare la sua posizione. Ferdowsi riuscì, oltre a far rinascere lo spirito d’indipendenza nazionale e ad arricchire e mantenere viva la lingua persiana, anche a risvegliare la predisposizione degli Iraniani alla matematica, alle scienze e all’etica, mettendo in luce la loro genialità e preparandoli, attraverso le sue poesie, a superare le loro disavventure politiche e sociali.
Durante le epoche dei Samanidi, degli Ziyaridi e dei Buyidi, i sovrani ed i governatori, spesso essi stessi rinomati poeti e uomini di cultura, contribuirono a questa rinascita nazionale dando il loro sostegno a sapienti e letterati. Si dice che Saheb ibn Ebad, ministro dei Buyidi, possedeva diuecentomila volumi nella propria biblioteca. La lettura e le biblioteche godevano del sostegno dei giudici. Il giudice capo della città di Nishapur adibì una casa con una grande biblioteca all’uso da parte di sapienti e studiosi che visitavano la città ed avevano bisogno di consultare i libri, provvedendo anche alle spese del loro soggiorno in città. Questo atteggiamento degli Iraniani deriva da due fattori principali: il primo era il talento, il buon gusto e il loro interesse ad acquisire conoscenza e cultura, soprattutto per quanto riguarda la letteratura, ed il secondo era l’agire secondo gli hadith del Profeta dell’Islam (la pace su di lui e sulla sua famiglia) che disse: “Cercate la scienza anche se fosse in Cina dalla culla alla tomba”. Tra i sapienti e studiosi che in questo periodo resero famoso il nome dell’Iran e la sapienza degli Iraniani anche oltre i confini del paese, si possono annoverare: Jaber ibn Hayyan (VIII sec.), uno degli allievi dell’Imam Sadeq (la pace su di lui); Zakaria Razi che scoprì l’alcol e inventò il metodo delle visite e delle cure cliniche attaualmente in vigore negli ospedali; egli fu anche un chimico ed un fisico e la sua influenza è ben nota in tutto il mondo islamico e nell’ Europa rinascimentale; Farabi, che fu il precursore di tutte le scienze del suo tempo e fu soprannominato “il secondo Maestro“ (dopo Aristotele, noto come il primo Maestro). Egli scrisse un importante libro dal titolo “La Grande Musica“ in cui, per la prima volta nel mondo, registrò le note musicali; Abu Ali Sina (detto Avicenna), filosofo, letterato, poeta, medico e genio universale. Fino al XVII sec. Le sue opere venivano insegnate nelle università europee; Dinvari, che fu uno storico, lessicografo, astronomo e botanico; Biruni, geografo, astrologo contemporaneo di Avicenna, e tanti altri sapienti, studiosi e letterati che ebbero meno fama. Il X secolo, tuttavia, è noto sopratutto per i nomi di Avicenna e di Biruni, e tra i due, Avicenna fu superiore e più famoso. La loro morte avvenne all’inizio dell’undicesimo secolo. Nella seconda metà dello stesso secolo visse Omar Khayyam, saggio, poeta, filosofo e grande matematico che calcolò il numero π fino alla quattrocentesima cifra decimale ed elaborò risolvendole, undici equazioni di terzo grado. Egli fu il fondatore dell’algebra, e nel 1075 elaborò un nuovo calendario, con una precisione sorprendente e superiore a quella occidentale, in cui è calcolato l’inizio ed il compimento di un giro della terra intorno al sole in minuti e secondi. Questo calendario è ancora valido ed in uso. Di altri sapienti di questo periodo della rinascita nazionale possiamo citare i nomi di Ghazzali, poeta, saggio, giurisperito e astrologo e di Ibn Heytam che, nel tredicesimo secolo, calcolò la velocità del suono e la misura del perimetro della terra. Questa evoluzione culturale continuò fino al sedicesimo secolo.
Il periodo di splendore dei Selgiuchidi, tribù turca influenzata dalla rinascita culturale nazionale, iniziò già all’epoca del regno dei Samanidi. Essi avevano conosciuto la grandiosità e lo splendore della corte dei Ghaznavidi, ma le difficoltà della vita nei deserti e nelle pianure dei propri luoghi di origne, li fece diventare più forti, più resistenti e più sobri. Guidati da Toghrol Beg (1032-1064) sconfissero i Ghaznavidi e dopo numerose guerre fecero cadere la dinastia dei Buyidi, fondando così un regno che non ebbe eguali, dopo i Sasanidi, nella storia. Dopo Toghrol Beg i sovrani selgiuchidi, cioè Alp Arslan (1064-1073), Malek Shah (1073-1093) e Sultan Sanjar (1119-1158), furono tutti uomini decisi e laboriosi che pur essendo d’origine turca si sentivano fieri di essere iraniani. Furono ferventi credenti di confessione sunnita. Si dice che Malek Shah si convertì allo sciismo negli ultimi anni del suo regno. Il forte interesse dei Selgiuchidi verso l’Islam e le questioni religiose e spirituali furono tra le motivazioni principali per la costruzione di madrasa e lo sviluppo delle strutture a quattro iwan, il cui stile architettonico, pur essendo cominciato in Iran, si diffuse in tutto il mondo islamico.
Durante l’epoca selgiuchide, la maggior parte delle arti iraniche come l’architettura, la decorazione con lo stucco, il rivestimento con piastrelle di maiolica, il vetro, la lavorazione di ceramica e di terracotta, la smaltatura ecc. giunsero all’apice del perfezionamento e meritano di essere descritte separatamente.
L’architettura
Come si è accennato prima, l’architettura islamica iraniana che si può considerare priva di qualsiasi influenza straniera e per questo dirsi autentica, è quella del periodo di regno dei Selgiuchidi, la cui potenza, solidità e magnificenza sono tutte evidenti nella moschea del Venerdi di Isfahan. Questa moschea è una delle più grandi al mondo. In realtà la sua edificazione non è del tutto opera dei Selgiuchidi, tanto che sopravvive ancora oggi qualche parte costruita all’epoca dei Buyidi. Ma tutto ciò che la distingue per grandiosità e splendore risale senza dubbio al periodo dei Selgiuchidi. Nei secoli successivi, durante il regno degli Ilkhandidi e dei Safavidi, vennero aggiunti altri dettagli e la moschea fu oggetto di restauri e modifiche. In essa è racchiusa l’evoluzione e lo sviluppo dell’architettura iraniana nel corso di otto secoli, dal X al XVIII.
Il cortile, le cui dimensioni sono 60×70 metri, presenta quattro iwan collegati tra loro attraverso portici di due piani, magnificamente rivestiti con piastrelle di maiolica. Un lungo iwan, anch’esso decorato con piastrelle di maiolica, conduce ad una sala da preghiera ricoperta da una cupola. L’epigrafe incisa sul muro della moschea è stata apposta nel 1073 per ordine di Nezam ol-Molk, ministro di Alp Arslan e di Malek Shah. Quasi certamente la sezione inferiore del complesso risale al secolo precedente. Consiste in una vasta sala a forma cubica, molto spaziosa, che supporta una grande cupola del diametro di 17 metri. La cupola è poggiata su alcuni gushvareh a tre ali, secondo lo stile impiegato nel mausoleo dei Davazdah Imam di Yazd, ma con una perfezione e una tecnica superiori. Gli stessi gushvareh, a loro volta, poggiano su alcune spesse colonne cilindriche, la cui parte superiore è decorata con lo stucco. I portici e le sale della moschea sono coperte da soffitti a forma di cupole che poggiano su colonne la cui data di esecuzione varia da prima dei Selgiuchidi fino al periodo dei Safavidi.
Nel periodo selgiuchide, tutti gli iwan sono stati restaurati e rifatti con nuove decorazioni. L’iwan del lato nord ovest è scanalato all’esterno, mentre all’interno è grandi colonne. Pochè l’esecuzione di queste decorazioni è datata al 1745, è probabile che tutte le decorazioni della moschea siano state rifatte proprio in quel periodo. Una delle sale, con il soffitto a croce, di 25×48 metri e priva di colonne, è del 1248. Un’altra sala è dotata di un magnifico mihrab, noto con il nome di “mihrab di Oljaitu“ costruita nel tredicesimo secolo per volontà del ministro Mohammad Savi. Questo mihrab è uno dei capolavori della decorazione a stucco (Fig. 26). Nel 1367 all’edificio della moschea venne aggiunta una madrasa caratterizzata da un arco trasversale e da un interessante iwan d’ingresso. Vi sono altri settori collegati tra di loro, la cui descrizione appare superflua. I settori più belli della moschea sono due: i grandi iwan, in quanto nel periodo islamico non sono stati mai più costruiti iwan cosi grandiosi e dotati di magnifiche cornici; ed una cupola di mattone, esattamente di fronte al mihrab, ossia sul lato nord della moschea, che risale al 1089 Questa cupola, chiamata “la cupola di Khargah“, è probabilmente la cupola più perfetta finora conosciuta. Le sue dimensioni non sono molto grandi (l’altezza è di 20 metri ed il diametro di 10), ma possiede una magnificenza ed uno splendore particolari che derivano dalla sua pianta. Questa cupola è stata oggetto di attenti e dettagliati studi e la sua bellezza è stata paragonata da Pope a quella di un ghazal, un poema dalla composizione uniforme e perfetta. La perfezione della tecnica impiegata nella sua costruzione, è dimostrata dal fatto che pur esistendo da oltre 900 anni, in un paese sismico come l’Iran, essa non presenta sinora neanche una piccolissima crepa. Sembra quasi che questa cupola, come la torre di Qabus, sia stata costruita per l’eternità.
Altre moschee selgiuchidi sono state costruite secondo lo stile della moschea del Venerdi di Isfahan, ma esse sono molto più semplici e di dimensioni più piccole. Tra di esse si possono annoverare: la moschea del Venerdi di Ardestan, del 1181; la moschea di Zavareh del 1154; la moschea di Golpayegan costruita dal 1121 al 1136. Anche la moschea Jame Now di Shiraz, la più grande dell’Iran, costruita durante l’epoca del governo degli Atabakan del Fars, è un monumento selgiuchide. Tutte queste moschee sono piuttosto semplici. In alcune, come quella di Ardestan, le decorazioni dell’edificio si limitano alle rifiniture degli strati superficiali dei muri e alle decorazioni in stucco, con disegni ai bordi dei muri e del soffitto, che donano un aspetto singolare e al tempo stesso austero all’edificio.
La moschea del Venerdi di Qazvin (1114-1116) presenta un aspetto molto interessante grazie alla sua ampia sala da preghiera, semplice ma coperta da una cupola del diametro di 15 metri. Il suo torombeh ossia un gushvareh incrociato e vuoto, che ha quasi del tutto mantenuto il suo aspetto originario, senza che sia stato riempito da altre forme, è stato oggetto del costante interesse degli architetti. Le due bande di epigrafi che coprono tutto il perimetro della base della cupola, hanno una bellezza particolare. L’epigrafe superiore è in caratteri cufici e quella inferiore in stile calligrafico persiano naskh, molto raffinato. Ambedue le epigrafi sono scritte in colore bianco su fondo azzurro, abbellite con disegni di tralci di vite di edera, eseguiti in maniera eccellente e senza precedenti. A Qazvin si trova anche una piccola ma bella madrasa di nome Heydariyeh, con bellissime decorazioni in stucco. Essa è diversa dalle madrasa a quattro iwan, in quanto ha un iwan grande davanti all’arco quadripartito del lato sud, ed uno più piccolo di fronte ad esso, al lato nord. Attualmente la madrasa è annessa ad una grande moschea del XIII secolo. L’epigrafe ornamentale della moschea è in caratteri cufici, ed è considerata tra le più belle di tutto l’Iran. Possiede anche un mihrab, arricchito da magnifiche decorazioni in stucco molto simili a quelle della Heydariyeh, che testimoniano una grande creatività.
Opere selgiuchidi si trovano anche nel Khorasan, e nel cosiddetto Grande Khorasan e oltre fiume Jeyhun. Tra queste si può citare il caravanserraglio di Robat-e Malek, di cui è rimasto soltanto un muro. Esso dimostra che l’edificio aveva l’aspetto di una fortezza di confine. Una fila di colonne alte e cilindriche, la cui altezza è cinque volte più della loro larghezza, è collegata all’estremità delle mensole, la cui forma deriva o è imitata dai gushvare all’angolo delle cupole. Il caravanserraglio di Robat-e Sharaf è un altro interessante monumento selgiuchide costruito nel 1156 nella città di Marv per ordine di Sultan Sanjar. Accanto al caravanserraglio c’era anche un palazzo di cui sono rimaste solo delle rovine. Si trattava di una fortezza circondata da mura alte e lineari, con una torre ben stabile. L’ingresso è formato da due archi intrecciati tra di loro: l’arco esterno decorato da una striscia di mattoni sporgenti e l’arco interno da un’epigrafe in caratteri cufici ornata da stucchi. All’interno, il monumento ha due grandi cortili a quattro iwan, simili a quelli di una moschea, con un mihrab e stucchi raffinati.
Il mausoleo di Sultan Sanjar, nella città di Marv, fu costruito nel 1158 da uno dei suoi ufficiali. La superficie della grande stanza è di 725 mq. ed ha una cupola alta 27 metri rivestita di piastrelle di maiolica di colore azzurro, di cui una parte è ormai crollata. La rete di intricata merlatura all’interno della cupola, pur dando l’impressione di un supporto al peso della stessa, ha soltanto aspetto ornamentale. Il passaggio dallo spazio della sala ossia dalla forma dell’arco quadripartito del palazzo a quella della cupola, in altri termini dalla forma cubica alla forma semisferica, avviene attraverso delle forme triangolari che nascondono i torombeh mentre questi sono evidenti in maniera disordinata e rudimentale nei palazzi costruiti agli inizi del periodo di regno dei Selgiuchidi.La base della cupola, in genere a forma ottagonnale, qui è a forma di arco e la pesantezza del volume del monumento è diminuita grazie alla decorazione della sala eseguite con mattoni che non interferiscono con la semplicità e la sobrità decorativa dell’edificio. L’ingresso della sala sul lato est ed il muro di fronte sono rivestiti con un reticolato, mentre gli altri due sono semplici. La collocazione dell’ingresso sul lato est, è forse dovuto all’antichissima tradizione di adorare il sole (i raggi del sole all’alba illuminavano la sala attraverso l’ingresso). Questo palazzo può essere considerato come una fase di passaggio dal mausoleo di Shah Ismail a quello di Sultan Mohammad Khodabandeh, in quanto la forma ad arco degli angoli della base della cupola è costituita da una griglia di mattoni che fa filtrare la luce all’interno della sala. Le rifiniture sui muri sono state effettuate con una specie di calcina inventata in epoca selgiuchide. Questo mausoleo è una delle più belle opere d’architettura di quell’epoca risparmiata dalla furia distruttiva dei Mongoli.
La rinascita della decorazione in architettura
Il colore
La tendenza ad utilizzare il colore e a dipingere i palazzi è una tradizione presente sin da tempi molto antichi. Sia in epoca elamita, sia in epoca achemenide, dove non si poteva ornare i muri con disegni a rilievo, si usava la pittura. Rivestire i muri con pittura e colorare gli stucchi, oppure dipingere sui vasi e sui piatti di terracotta o rivestirli con gli smalti colorati, faceva parte di quella tradizione. Gli Iraniani conoscevano le caratteristiche naturali e psicologiche dei colori e ne facevano uso nel migliore dei modi. Si narra che il re sasanide Khosrow Anushiravan indossasse nelle cerimonie una veste di color giallo arancione, e fu grazie a questo fatto che si salvò da un attentato ad opera di un seguace di Mazdak, in quanto il color giallo confonde la percezione della distanza reale. Per effetto naturale del colore giallo, l’attentatore sbagliò il bersaglio e fu neutralizzato. Si dice che anche l’Imam Ali ibn Abi-Talib indossasse una corazza gialla durante le battaglie.
I palazzi degli inizi del periodo islamico erano privi di disegni e di pitture a causa dell’ostilità degli ulema nei confronti della pittura. Alcuni parti di essi, però, venivano dipinte. La volta della cupola della moschea Atiq di Nain, è di colore verde chiaro e forse all’inizio era di verde scuro che si è poi scolorito con il passare degli anni.
L’origine della pittura parietale risale all’epoca sasanide e ancor prima, a quelle arsacide ed achemenide. Le trecce degli arcieri, la criniera dei leoni guardiani del palazzo reale di Dario a Shush, le lavorazioni in stucco del grande Iwan-e Madaen, furono dipinte nell’epoca della loro splendida magnificenza.
Questo tipo di pitture è presente anche nel primo periodo dell’arte islamica iraniana. La pittura figurativa non veniva eseguita sui muri delle moschee, ma nelle case, nelle abitazioni e nei palazzi pubblici. Vi sono delle opere nella letteratura iraniana, sia poetiche che non, in cui si accenna all’arte della pittura, il che dimostra che la pittura e i disegni sui muri hanno una tradizione antica in Iran. Oltre ai palazzi abbasidi in cui ci sono ancora oggi tanti dipinti, le poesie di Sa’di sono un ottima testimonianza di questa tradizione. Egli dice:
Tutto questo disegno meraviglioso sulle porte e sui muri dell’esistenza,
Chiunque non ci meditasse, sarebbe egli stesso come un disegno sul muro,
Se essere uomo significa avere gli occhi, la bocca, le orecchie ed il naso,
Allora che differenza ci sarebbe tra un disegno sul muro e l’umanità?
Ciò che qui è importante è l’impiego del colore negli edifici, fatto in modo tale da rimanere costante e resistente senza subire alterazioni nella natura e nella qualità. Da esso deriva l’invenzione delle piastrelle di maiolica. In un palazzo a Mashad Ardehal nei pressi di Kashan, i muri e la semi cupola degli iwan sono stati dipinti con colori a olio lucidi. La colorazione, o meglio il rivestimento dei muri con piastrelle di maiolica colorate, progredì molto rapidamente e superò i confini del paese, conquistando molte regioni sino alla Spagna.
Il primo tentativo di decorazione di questo tipo, fu fatto sulla cupola di terra della Moschea Vecchia di Isfahan, la cui data di costruzione risale all’anno 1089 In questa moschea vi sono delle logge incorniciate con materiali di uso comune e di differenti colori come le pietre nere e azzurre, il gesso bianco ed il mattone il cui colore dapprima era rosso e si è poi ingiallito con il passare del tempo. È molto probabile che in altre località fossero stati fatti altri tentativi di questo genere. L’invenzione della tecnica di smaltatura, ovvero la produzione e la fabbricazione di mattonelle in ceramica, avvenne dopo questa data, con lo scopo di rendere più leggibili le epigrafi all’esterno e di prevenire lo sbiadimento dei loro colori a causa del sole. Il primo esempio di questo tipo di lavorazione, si ritrova nella parte superiore del minareto della moschea del Venerdi di Damghan che risale all’anno 1108. All’interno del santuario dell’Imam Ali ibn Musa ar-Reza (la pace su di lui) a Mashad si vedono delle mattonelle datate all’anno 1119. Le mattonelle di ceramica della parte superiore del minareto della moschea Sin di Isfahan e circa tre quarti delle epigrafi del minareto Menar Sareban di Isfahan sono opere degli inizi del dodicesimo secolo. In seguito, l’utilizzo di mattonelle di ceramica si diffuse nelle regioni dell’Azerbaijan, in particolare nella città di Maragheh, di cui si vedono degli esempi in tanti monumenti ancora in piedi. Prima di questo periodo, l’effetto chiaroscuro veniva creato in maniera molto delicata solo con l’impiego artistico dei mattoni sul rivestimento del palazzo e gli stucchi. I più antichi esemplari di questo genere di lavorazione sono rappresentati dal mausoleo di Amir Ismail ed il caravaserraglio di Robat-e Sharaf dell’anno 1116.
I monumenti più antichi in cui vennero usate elementi di ceramica colorata per ornare la facciata del palazzo, sono: la Cupola Rossa di Maragheh la cui costruzione terminò nel 1149, il mausoleo Mo’meneh Khatun dell’anno 1188 ed il sepolcro di Yusuf ibn Qassir dell’anno 1164. Questi ultimi due monumenti si trovano nella regione di Nakhjavan.
La facciata principale della Cupola Rossa di Maragheh si trova sul lato settentrionale. All’ingresso vi è una scalinata di cinque gradini, con un sesto ed un settimo gradino posti oltre la soglia della porta d’ingresso. La facciata è rafforzata con delle mezze colonne che decorano gli angoli del palazzo e imprimono un effetto di grandiosità all’ingresso. La porta è disposta all’interno di un bell’arco, ornato da una fascia ornamentale decorata con disegni geometrici. Questa fascia è delimitata su tuto il perimetro da una scritta in caratteri cufici; al di sopra di essa si trova un’altra epigrafe scritta negli stessi caratteri. Le facciate laterali e quella posteriore sono semplici e prive di ornamenti, e soltanto al di sopra degli archi si vedono dei punti colorati. Anche sulle mezze colonne della facciata principale vi sono delle zone colorate ma senza alcun effetto ornamentale. Altre due mezze colonne hanno soltanto le cornici di color azzurro. Sulla facciata principale, proprio sulla fascia a disegni geometrici, sopra la porta e poco più sopra, agli angoli tra l’arco e l’epigrafe superiore, sono disposte diverse mattonelle di ceramica di color azzurro-celeste. Anche se questo tipo di decorazione ceramica era ancora modesta, essa segnò l’inizio di un’arte di grande bellezza che si diffuse ad una velocità indescrivibile, superando i confini dell’Iran.
Gli edifici del mausoleo di Mo’meneh Khatun e del sepolcro di Yusuf ibn Qassir appartengono a quella tipologia di edifici diffusi nel nord dell’Iran: un palazzo piccolo e quadrato, o con più lati, oppure circolare con cupola e con un tetto piramidale o conico, spesso isolato e solitario, ma a volte annesso ad edifici religiosi. I mausolei di Momeneh Khatun e di Yusuf ibn Qassir sono ottagonali ma dalle proporzioni snelle ed allungate. L’uso delle mattonelle di ceramica nel mausoleo di Mo’meneh Khatun serve ad esaltare le iscrizioni: esse sono sparse in tutta la superficie dell’edificio con la funzione di attrarre l’attenzione sul bellissimo disegno della grande epigrafe e di sottolineare maggiormente la grazia della decorazione. L’architetto della Cupola Blu, edificio anch’esso ottagonale si è sicuramente ispirato al mausoleo di Momeneh Khatun, imitandone anche le linee ornamentali. Partendo dalle fasce e dalle cornici delle logge e continuando verso l’alto, anche qui l’unico colore usato è il turchese, ma l’edificio non possiede comunque la bellezza e la raffinatezza del mausoleo di Momeneh Khatun.
Al fine di comprendere meglio l’importanza della Cupola Rossa di Maragheh e dei mausolei appena descritti, sembra utile ricordare le date di costruzione dei monumenti diffusi nel nord dell’Iran dal dodicesimo secolo in poi. La costruzione di alcuni di essi è anteriore a quella della Cupola Rossa di Maragheh. Questi monumenti, assolutamente privi di decorazione, sono: il monumento di Gonbad-e Qabus dell’anno 1019 , la torre di Radkan occidentale, la cui costruzione iniziò nel 1018 e terminò nel 1022, la torre Lajim del 1024 ed accanto ad essa la torre Resjet che è poco più antica, la cupola Pir-e Alamdar di Damghan dell’anno 1027, il mausoleo Chehel Dokhtaran di Damghan del1056, la torre Mehmandust nei pressi di Damghan del 1099, il sepolcro di Yusuf ibn Qassir dell’anno 1164, il mausoleo di Momeneh Khatun del 1188, la torre rotonda vicino alla Cupola Rossa di Maragheh del 1170, il mausoleo delle Tre Cupole nella città di Urumiyeh dell’anno 1186 ed infine la Cupola Blu di Maragheh dell’anno 1199. Molti altri mausolei furono costruiti nei secoli successivi. Tra di essi possiamo citare quelli costruiti nelle città di Ardabil, Amol, Babol, Bastam, Qom, Damavand, Khiyav, Kashmar, Maragheh, Sari, Radkan Bakhtari, Abarqu, Hamadan ecc.
In nessuno dei monumenti costruiti prima della Cupola Rossa di Maragheh, vengono utilizzate decorazioni colorate, mentre nella maggior parte dei monumenti posteriori a quella data troviamo l’utilizzo di mattonelle in ceramica colorata. Non si sa perché tale tipo di decorazione non sia più proseguita a Maragheh dopo la costruzione della Cupola Blu, e si sia invece in seguito diffusa nelle città di Qom, Saveh, Damghan, Mashad ecc. Nella decorazione dei mausolei di santi, si ritrovano nella parte superiore dei muri o nei mihrab, arabeschi, epigrafi e mattonelle su cui in genere sono trascritti i versetti coranici. I mihrab sono opera di grandi maestri dell’epoca, tra cui possiamo nominare, ad esempio, nella città di Kashan, Mohammad ibn Abu-Taher, suo figlio Ali e suo nipote Yusuf. Tra le opere di questi maestri possiamo citare il mihrab del santuario dell’Imam Reza (la pace su di lui) a Mashad dell’anno 1217, e le decorazioni del santuario di Hazrat-e Masumeh (la pace su di lei) a Qom degli anni 1610 e 1618, opera di Mohammad ibn Abu-Taher; la parte centrale del mihrab del santuario di Qom dell’anno 1267 (attualmente nel museo di Berlino, il mihrab Krukian ed un altro altro, la cui data non è definita, nel santuario di Mashad, opera di Ali ibn Mohammad ibn Abu-Taher. Di Yusuf ibn Ali è invece un mihrab costruito nell’anno 1308, attualmente custodito nell’Hermitage ed un altro mihrab risalente al 1336 conservato nel museo di Tehran.
Alcune di queste decorazioni, le stelle, gli arabeschi ed i mattoni smaltati e decorati con scritte, sono di grande bellezza. Attualmente si custodisce una collezione molto preziosa di queste opere nel museo di Tehran. Dopo l’invasione dei Mongoli, non vennero costruite altre opere e molte di quelle esistenti vennero distrutte. Fino al regno di Ghazan Khan, il colore delle piastrelle di maiolica fu unicamente il turchese, ma da quel periodo in poi insieme al turchese vennero usati anche l’azzurro, il bianco e il nero. Tuttavia, nella località di Zuzan, nell’Iran orientale, sul muro di uno dei due iwan della moschea Malek, c’è una parte decorata a piastrelle impreziosita da lavorazioni a mattoni, lunga 13 metri e larga 5, la cui data di costruzione risale all’anno 1238, in cui sono usati i colori turchese e azzurro. In questo insieme, all’interno del cerchio centrale, le lettere di una grande epigrafe, i minuscoli ornamenti, i mattoni di 4 file orizzontali disposti in maniera alternata sono tutti di colore azzurro, mentre gli altri disegni, le decorazioni ed i mattoni di altre file sono tutti di colore turchese.
Nel mausoleo di Sultan Mohammad Khodabandeh, nella località di Sultaniyeh, sono ancora ben evidenti i colori turchese, azzurro e bianco. La cupola dall’esterno è interamente rivestita di mattonelle di colore turchese e alla base della cupola una larga striscia di scritte in caratteri cufici smorza il contrasto tra il colore turchese ed il blu scuro del cornicione del tetto. La facciata dell’iwan è ornata con i colori azzurro, turchese e bianco alternati, mentre negli spazi ben definiti tra di essi si evidenzia anche il colore del mattone. Nella parte inferiore dell’iwan è usato soltanto il colore naturale del mattone, mentre la facciata del lato sud è ornata con mattonelle smaltate in turchese. La decorazione e la smaltatura di questo monumento è tale da dare l’impressione al visitatore che esso sia sospeso in aria. Come sostiene André Godard, in alcuni giorni la splendida cupola di Sultaniyeh, sulla base di terra di color mattone e gli splendidi minareti, sembra avere le ali dispiegate nel cielo. Quest’opera grandiosa è il frutto di un’arte che ha armonizzato, con grande finezza, il colore azzurro con il colore naturale del mattone evitando, grazie all’abilità nell’uso dei materiali di costruzione, la banalità della massa azzurra uniforme e monotona della cupola mescolata con il colore del cielo, ed inducendo così il visitatore ad ammirare il gusto decorativo, il metodo ornamentale dell’architetto e l’arte del costruttore. All’interno del palazzo, la decorazione ceramica è ancora più pregiata. Da ciò che è sopravisuto fino ad oggi, si deduce che tutta la superficie dei muri della sala e l’interno della cupola, era rivestita da mattonelle ceramiche. L’intera superficie interna del palazzo era rivestita da numerose fascie di epigrafi con gli orli intrecciati tra loro, e da decorazioni ceramiche a fiori o a stelle.
Il colore utilizzato in questo monumento avviò degnamente la grande arte ornamentale islamica, che si manifestò magnificamente in epoca safavide. Nell’arco di tre secoli, ossia fino all’epoca di Shah Abbas I, l’uso delle piastrelle di maiolica si diffuse e si perfezionò al punto tale che tutti i palazzi ed i monumenti – moschee, madrasa, monasteri o mausolei – vennero abbelliti e rivestiti con queste, sia all’esterno che all’interno.
Gli stucchi
L’arte della lavorazione dello stucco, apparentemente poco importante, è un’arte che richiede grande abilità e capacità di esecuzione rapida e precisa. La lavorazione di squadratura delle pietre è piuttosto difficile e anche l’incisione sul legno o sul metallo, in quanto la pietra, il metallo o il legno sono dei materiali fermi ed immobili e con una resistenza sempre costante. L’artista sa come e quando ricavarne una buona opera artistica, mentre nella lavorazione dello stucco è diverso, in quanto il gesso che all’inizio è morbido, si secca rapidamente perdendo la propria morbidezza, quindi l’artista deve lavorarlo con forza, precisione e rapidità.
Può darsi che l’artista sia costretto a creare il disegno desiderato lavorandoci diverse volte e con diversi strati di gesso. In alcune opere sono impiegati sino a sei o anche più strati di stucco. L’artista prima attacca una grossa porzione di stucco sul muro come base per la progettazione. Quando lo stucco si indurisce un poco, vengono poi scavati o rilevati su di esso i disegni principali, e all’occorrenza si aggiungono ad esso piccoli pezzi di stucco. Poi questo, una volta divenuto secco e completamente duro, viene tagliato e limato per renderlo liscio e gradevole. Infine lo si imbianca affinchè diventi lucido e brillante. Ognuna di queste fasi ha le proprie caratteristiche particolari ed il lavoro non è facile, in quanto l’artista ha da fare con differenti resistenze dei materiali e basta un piccolo aumento o una piccola diminuzione della pressione della mano perché il lavoro non riesca e si rovini tutto. Invece il lavoro sulla pietra e sul metallo si compie in maniera uniforme e si può smettere e riprendere quando si vuole.
Per la lavorazione sullo stucco in tridimensionale, l’artista deve posare diversi strati uno sull’altro; ciò non è possibile in ogni momento, poiché lo stucco deve avere un’ umidità ed una durezza particolare affinchè vi si possa posare un altro strato.Questa lavorazione è pertanto molto complicata e difficile: sei o sette strati di stucco ed altri elementi devono intrecciarsi tra di loro e piegarsi in diverse direzioni, e l’artista deve saper prevedere, sin dal primissimo strato, il risultato finale. Tutto ciò richiede intellegenza, precisione, memoria e concentrazione e se il progetto iniziale non è basato sull’ordine e sulla programmazione i risultati possono essere decisamente poco gradevoli. Non si sa di preciso quando e dove ebbe inizio quest’arte. Ma è certo che gli Iraniani praticavano più di 2000 anni fa diversi tipi di lavorazione dello stucco, creando capolavori di cui non si trovano eguali in nessun altro luogo. I più antichi esemplari risalgono ai primi secoli avanti Cristo e dei buoni esempi furono creati agli inizi del Cristianesimo, durante gli Arsacidi. Le prime opere hanno una perfezione notevole che dimostra lo sviluppo di quest’arte nei periodi precedenti. I ricchi colori ed i disegni intrecciati tra di loro indicano la precedente esistenza di decorazioni dipinte, che furono poi magistralmente riprese sulle facciate dei monumenti successivi. Nei numerosi disegni ornamentali delle opere in stucco del periodo sasanide si evidenziano tante particolarità di cui non c’è nessuna traccia nel periodo degli Arsacidi. I Sasanidi costruivano i muri con le pietre grezze e non lavorate, e per rendere liscia la superficie usavano un grosso strato di gesso su cui spesso eseguivano dipinti. I disegni erano generalmente grandi e a rilievo e comprendevano oltre ai fiori e alle piante, anche immagini di animali e persone.
D’altronde, nelle opere rimaste dal periodo sasanide, è evidente che l’artista aveva una percezione particolare dello spazio: egli considerava dello stesso valore gli spazi positivi e negativi. Quindi si può dire che le opere in stucco di epoca sasanide presentano due significati che si prestano a differenti interpretazioni. Questo doppio significato e l’uso degli spazi positivi e negativi nella decorazione dei monumenti, ma anche in altre espressioni artistiche, assume una particolare importanza. Nella tessitura, gli spazi vuoti sono disegni negativi che trovano sintonia e compatibilità con gli spazi pieni, ossia con gli stessi disegni in positivo. Così lo spazio negativo diviene disegno, ovvero in esso si evidenziano significati nascosti ed invisibili e questo uso del “nascosto e dell’evidente”, in un certo senso, costituisce il tipo di perfezione ricercata dagli Iraniani nell’arte.L’arte iraniana, infatti, al contrario di quella greca ed occidentale, non dà importanza alla perfezione esteriore, bensì a qualcosa di permanente e significativo in ogni tempo ed in ogni spazio. Nei primi secoli dell’arte islamica, le decorazioni in stucco furono semplici ma molto belle. La decorazione a tralcio di vite, rinvenuta nella città di Shiraz, è davvero incantevole e vivace. Un secolo più tardi, nella città di Nain, le decorazioni in stucco assunsero un carattere più innovativo e si distinsero grazie alle belle scritte in caratteri cufici. In esse sono evidenti alcune forme nuove, che furono molto probabilmente sperimentali, in quanto successivamente non furono ripetute. Il rivestimento di una colonna con tralci e foglie d’uva che si intrecciano tra di loro creando forme ottagonali, è degno di nota. Il bel mihrab con le sue cornici interamente decrate in stucco con disegni di piante e forme geometriche, diede il via ad una serie di mihrab in stucco come quello della moschea di Ardestan, quello di Mohammad Savi, famosa come “mihrab di Oljaitu” ad Isfahan ed infine il mihrab di Pir-e Bakran, tutti dello stesso periodo.
In epoca islamica gradualmente si venne a creare una competizione tra la decorazione in stucco e le cornici dipinte. Alcune di queste, scoperte a Nishapur da una missione archeologica del Metropolitain Museum di New York, pur essendo piatte e proive di movimento, sembrano avere avuto una certa influenza sullo sviluppo e la diffusione dell’arte della lavorazione dello stucco. È probabile che agli inizi dell’era islamica, queste decorazioni siano state colorate e a volte anche magnificamente dorate. Tra la fine del IX sec. e gli inizi del X, le decorazioni in stucco subiscono un temporaneo arretramento a favore delle decorazioni a mattone, ma comunque ciò non mette a rischio la validità della decorazione in stucco, dal momento che nello stesso periodo in cui venne eseguita la decorazione a mattone dellacupola della moschea del Venerdi di Isfahan, nella madrasa di Qazvin si si applicavano decorazioni in stucco particolarmente orginali sulle epigrafi, sulla facciata degli archi e sul mihrab. Nel mausoleo di Alaviyan, presso Hamadan, del dodicesimo secolo, questo tipo di lavorazione si spinse oltre e tutta la superficie interna del monumento venne rivestita con decorazioni in stucco, un lavoro molto difficile e duro. Il centro o il punto focale è il mihrab, magistralmente progettato, ma tutte le decorazioni del mausoleo hanno un significato interessante ed originale. Il progetto è continuo ed unitario e non si nota il benchè minimo difetto nell’esecuzione. Arthur Pope sostiene a proposito di questo monumento: “Qui la forma architettonica è molto potente e scorrevole, è quasi simile alla cupola settentrionale della moschea del Venerdi di Isfahan; le profonde cornici murali con gli archi alti che coppia a coppia arrivano fino ai gushvare, si presentano in forma quadrangolare, ciascuna iscritta in quattro piccole colonne, quasi rotonde. Le basi delle colonne, la striscia ornamentale e i gushvare hanno un accento strutturale e tra essi si crea un’armonia pura e superiore che vince la moltitudine dei disegni e delle forme. Le decorazioni in stucco oltre ad aumentare la bellezza del monumento, sono già da sole un elemento di forte attrazione. La sinuosità e le ondulazioni degli arabeschi nelle cornici e nelle epigrafi curve sono tridimensionali, con una accentuata evidenza, ed il loro effetto si intensifica grazie ad una complessa rete di buchi a forma di stelle. Le colonnette e le decorazioni in gesso hanno, anch’ esse, la stessa qualità e caratteristica e così si crea un’onda ripetitiva che dona armonia, uniformità e continuità a tutto l’interno del monumento. Il culmine dello splendore della lavorazione in gesso si concretizza nel mihrab centrale.”
Herzfeld a tale proposito scrive: “Qui le decorazioni sono giunte al massimo livello, grazie all’intervento e alla presenza di tutti i fattori, le parole non sono in grado di descriverle, occorre osservarle da vicino.” C’è vertamente da chiedersi come mai Herzfeld è così incantato ed incapace di descrivere questa bellezza? Questa è proprio ciò che distinse, nei secoli scorsi, l’arte iraniana dall’arte occidentale, in particolare da quella greca. Gli orientalisti, la cui mente è istruita da un’arte realista e di rapida percezione, hanno sempre considerato l’idealismo e l’intellettualismo iraniani una debolezza nel rappresentare la realtà e non hanno voluto ammettere che le realtà hanno dei tempi e dei luoghi propri al di fuori dei quali ci sono soltanto favole e storielle. Nell’idealismo invece, ciò che non esiste, sono proprio il tempo ed il luogo particolari. L’artista iraniano non crea l’arte per presentare e mostrare le realtà, in quanto essa già esiste e non occorre crearla nuovamente per ripeterla. L’arte iraniana è un’invocazione a Dio, il Bello, il Creatore della bellezza ed è rivolta al pensiero della bontà e della benedizione e serve a rammentare ai visitatori le grazie divine e la Clemenza e la Misericordia di Dio. È cosi che i fiori, le pianticelle, le grandi foglie inventate dalla mente dell’artista, gli strani fiori sbocciati, i rami e le foglie d’uva e l’edera intrecciate tra di loro, le stelle, le reti con delle forme geometriche, i puntini a forma di diamante ecc … non hanno altro obiettivo che incantare il visitatore. Gli artisti, come disse il Profeta dell’Islam (la pace di Dio su di lui e sulla sua famiglia) credono che : “Dio è Bello e ama la bellezza e ama vedere l’effetto della propria grazia (la bellezza) nei Suoi servi“, quindi la creazione della bellezza (ovvero la creazione di un’opera bella) è già adorazione di Dio, il Sostentatore.
I difficili disegni intrecciati tra loro, sono, in verità, considerati delle unità separate ed indipendenti ed ognuno è dotato di qualità e caratteristiche che lo induce ad essere compatibile con altre componenti. In questa arte, come nel coro o nei gruppi musicali oppure come il disegno dei tessuti, dei tappeti, delle piastrelle di ceramica, del metallo e del legno, non v’è mai un elemento separato più importante. Ciascuno dei componenti, a prescindere dalla natura e dalla qualità proprie, trova il suo valore nella combinazione dell’insieme e tale insieme, in relazione con altri, crea il complesso dell’ornamento. Questo è fondamentalmente un pensiero islamico, per cui la persona singola senza altri membri della società, o un gruppo senza la compatibilità e l’armonia con altri gruppi non può resistere e sopravvivere nella società. È per questo che il Profeta (la pace di Dio su di lui e sulla sua famigli) disse : “Tutta la gente compone la comunità e di essa tutti sono responsabili”.
Una decorazion in stucco sulla superfice di un mihrab, di un muro, di una colonna o di un soffitto incanta il visitatore conducendolo verso tutto lo spazio ed infine lo collega all’infinita Essenza di Dio, il Sostentatore. grazie alla varietà dei suoi componenti, all’armonia ed alla relazione create tra di essi nell’infinità dello spazio. Ed è cosi che chi rivolge un’invocazione al Signore e compie la preghiera, si libera dal mondo materiale e giunge ad un pensiero e ad una riflessione che gli rende il mondo spirituale più vivo, più significativo e addirittura più raggiungibile, fino allo stato in cui le righe e le epigrafi diffondono il proprio significato come un profumo in quello spazio spirituale e d’adorazione del Signore. Qui il credente compie la preghiera con la propria anima mentre il corpo si lega all’altro mondo. Bisogna comunque ricordare che non tutte le decorazioni in stucco sono perfette come quelle della Cupola Alaviyan. In alcune si nota una certa frettolosità e una certa confusione, come quella del mihrab della moschea Venerdi di Varamin che risulta piuttosto confusa e caotica. Nel mihrab di Pir-e Bakran ci sono dei significati mistici particolari. Nella mihrab di Oljaitu sono maggiormente considerati gli aspetti tecnici e l’ordine nella successione dei componenti e forse pochi mihrab hanno la stessa sua raffinatezza.
I mihrab con decorazioni in stucco in Iran sono piuttosto delle opere personali degli artisti progettisti e in esse si notano certi stili e metodi particolari che sono propri di alcuni gruppi già conosciuti. Questo fenomeno è il segno dell’indipendenza, della vivacità e dell’audacia degli artisti. La decorazione in stucco tridimensionale, complessa e intrecciata fu molto diffusa per tre secoli.
Lo splendido mihrab di Pir-e Hamzehpush nella città di Varamin è dell’anno 1181, ossia contemporaneo alle decorazioni in stucco del mausoleo Alaviyan, ma è in uno stile completamente differente. Anche l’aspetto reticolato del mihrab in stucco nella città di Urumiyeh, dell’anno 1278, è in uno stile del tutto diverso. L’inizio del tredicesimo secolo e la ripresa dell’Iran dopo le distruzioni operate dai Mongoli, determinarono la costruzione di bellissimi palazzi con decorazioni in stucco molto raffinate e gradevoli. I nuovi mihrab vennero eseguiti con pochi disegni a rilievo, ma con dimensioni e proporzioni più precise e ben calcolate, come nel caso del mihrab di Oljaitu, in cui come abbiamo detto prima, si è data attenzione più alla tecnica e alla finezza delle decorazioni in stucco che all’aspetto spirituale, alla dimensione religiosa e al senso d’invocazione che dovrebbero emanare. La combinazione dei suoi componenti è eseguita con maggiore ponderazione e con una logica scientifica più forte. L’epigrafe perimetrale del mihrab è eseguita con una calligrafia molto bella, posta tra fiorellini, foglie, e spirali sottili e intrecciate. Nella cornice centrale vi sono due tipi di calligrafia, belli ma differenti, in mezzo ai cespugli dei fiori intrecciati tra di loro e in tutta la cornice inferiore si vede un disegno realizzato con una scritta in cratteri cufici sempre intrecciati tra di loro.
Esistono poi altri mihrab che sono dei capolavori in stucco, abbellite anche da disegni geometrici, come quella del mausoleo di Bayazid Bastami, in cui il disegno nuovo e gradevole in forma reticolata di stelle è delimitato perimetralmente da disegni geometrici incrociati.
Nei secoli successivi, la decorazione in stucco ebbe un’espansione tale che con essa vennero decorati le cornici degli iwan, degli archetti, l’estremità superiore dei minareti e la superficie interna delle cupole. Nei secoli XIV e XV, in Asia centrale, quest’arte giunse al culmine della perfezione e in combinazione con le mattonelle di ceramica vennero create delle opere davvero incantevoli. Dal XIV secolo in poi, gli artisti svilupparono, in collaborazione con i calligrafi, l’arte di scrivere le epigrafi in stucco, in cui le scritte in caratteri cufici e naskh in mezzo alle pianticelle e ai fiorellini, intrecciati tra loro, crearono una bellezza incantevole. In questo tipo di lavorazione sono spesso installate in un lato perimetrale del muro due epigrafi di diverse dimensioni, di cui la più grande è al di sotto della più piccola. Le due epigrafi pur essendo distinte, si completano a vicenda, e generalmente sono eseguite in colore bianco con il fondo di color grigio o azzurro chiaro.
All’arte dell’epuigrafi occirre riservare un posto particolare, in quanto nelle arti figurative, sono gli epigrafisti che realizzano un progetto composto dal movimento delle scritte in caratteri e in linee curve e rette, creando un’opera che induce il visitatore a muoversi intorno, al fine di scoprire e di comprendere la sua verità ovvero il suo vero messaggio. L’epigrafia si trasformò grdualmente nell’arte di bella calligrafia allo scopo di comunicare la saggezza, la gnosi, la conoscenza e la fede islamiche. Dall’ottavo secolo , l’arte della bella calligrafia ottenne maggiore considerazione, ebbe la tendenza alla perfezione suprema, e gli illustri calligrafi conquistarono particolari onori.
Oltre a questo tipo di decorazione nei monumenti religiosi, nei palazzi e nelle abitazioni pubbliche vennero eseguite anche decorazioni in stucco figurative molto realistiche. Nei periodi successivi, durante le epoche safavide e qajar, esse ebbero un’espansione notevole, tale da divenire parte dello spazio della vita pubblica. Di esse si parlerà più avanti.
Il mattone
Il mattone fabbricato a mano, di forma piatta o convessa, fu inventato nell’Iran antico in epoca preistorica, in particolare nel quinto millennio prima dell’Islam. Nei monumenti achemenidi e sasanidi, la maggior parte dei quali è stata costruita in pietra, è stato impiegato anche il mattone. L’utilizzo del mattone da parte degli Iraniani fu favorito dalla scarsità di legname, dalla sua resistenza, la sua economicità, la sua grande disponibilità, la sua agevole fabbricazione ed infine anche per il fatto che grazie alla sua maggiore morbidezza, metteva in evidenza le strutture portanti dell’edificio. Queste qualità fecero sì che il mattone venisse esportato attraverso la Mesopotamia all’Egitto e all’Europa e attraverso l’Asia centrale in India e in altre regioni. I vantaggi del mattone non si limitano solo al suo impiego nella costruzione, esso serviva anche per creare volumi, risolvere particolari problemi, per scopi decorativi e nessun altro materiale poteva creare bellezza ed armonia come quella del mattone.
In epoca preislamica le sue caratteristiche ornamentali furono poco usate dal momento che gli edifici venivano decorati soprattutto con lo stucco. Nel IX secolo si comprese pienamente l’efficacia dell’impiego del mattone nelle decorazioni degli edifici e la possibilità di utilizzarlo in vario modo, a file sporgenti, con la creazione di disegni o di forme geometriche, ecc. Esso dona alla facciata principale dell’edificio, oltre alla bellezza, anche delle qualità particolari : interviene nella colorazione, non evidenzia gli angoli acuti, non dà la sensazione di pesantezza, di continuità e di durezza che si ha nei palazzi costruiti con la pietra ed è molto adatto per i disegni semplici e per creare volumi leggeri e morbidi.
Il primo ed uno dei migliori monumenti a mattoni rimasto dal IX secolo, è il mausoleo di Amir Ismail. Nella sua facciata gli spazi negativi e positivi, le profondità e le sporgenze piatte, gli archi e le curve degli angoli, i cerchi ornamentali sopra l’ingresso, le forme romboidali e a croce all’interno, i rilievi della cornice delle tetto e delle colonnette, la costruzione a fila delle cupolette e via dicendo, sono tutti realizzati con l’impiego di mattoni di varie dimensioni, posti in orizzontale, verticale o ad angolo (di 45º). La solidità di questo monumento, che è in piedi da oltre undici secoli senza aver avuto bisogno di restauro, spiega ottimamente l’impiego e l’uso del mattone come materiale da costruzione. Questo monumento divenne un modello per gli architetti ed i progettisti successivi poiché le decorazioni interne fatte a mattone ne esaltavano la bellezza.
La struttura semplice ma grandiosa del monumento di Gonbad-e Qabus e di altre torri a cupola è ottenuta proprio grazie all’impiego del mattone. Il mausoleo di Ala ad-Din nella città di Torbat-e Jam, dell’anno 1150, è un altro esempio dell’utilizzo ornamentale del mattone, chiaramente visibile anche nelle poche parti ancora in piedi.
L’uso del mattone si diffuse durante il regno dei Selgiuchidi perfezionandosi da ogni punto di vista, sia estetico che strutturale, tanto da poter dire tranquillamente che non ebbe eguali fino a quel tempo. La cupola della moschea del Venerdi di Isfahan ha uno splendore e una grandiosità senza precedenti. I mattoni usati in quel periodo non avevano una dimensione standard, ma venivano fabbricati in base alla necessità. Essi erano grandi, irregolari, rettangolari e pesanti. In genere le loro misure erano di 22×17 cm. e pesavano circa 2,5-3 kg. ciascuno. Un buon mattone doveva avere il suono del metallo. Li si usava in considerazione dello spazio o venivano limati e modellati. Le forme dei mattoni erano svariate: levigati, piatti o convessi, particolrmente adatti per costruire le colonnette ed i pilastri dei monumenti selgiuchidi. Il colore dei mattoni influenzava molto la facciata del monumento. Le forme quadrate create con i mattoni creavano l’effetto di una tenda appesa sul muro, soprattutto quando il contrasto dei colori era accentuato. Le fila quadrate erano più adatte per i disegni più grandi: i semplici ed antichi disegni geometrici col passare del tempo vennero sostituiti con lettere dell’alfabeto, scritte in caratteri cufici e linee architettoniche; nel XII secolo, in Azerbaijan, in particolare nella città di Maragheh, il mattone si combinò con le piastrelle di maiolica di colore turchese e questo fatto oltre a conferire bellezza e vivacità specifiche al monumento, segnò anche l’inizio di una svolta nell’uso delle piastrelle di maiolica a scopi decorativi. La combinazione dei mattoni smaltati di color turchese chiaro con quelli bianchi e senza smalto aumentò la bellezza del monumento.
All’inizio dell’undicesimo secolo, oltre all’impiego dei mattoni per le angolature e le fila rette, si trovò il modo di fabbricare mattoni in diverse misure e nuovi metodi per la rifinitura degli strati e degli spazi tra i muri ed i mattoni. Una scia profonda tra gli angoli superiori sporgenti di questi, creava un’ombra che era in contrasto con la linea dell’estremità esterna dei mattoni, e questa combinazione verticale ed orizzontale dava modo di realizzare diverse forme interessanti, come nel mausoleo di Sangbast. Agli inizi del X secolo, vennero inventati altri disegni, arricchendo le facciate dei muri attraverso l’impiego dei mattoni in fila profonde e a rilievo, con il risultato di ottenere spazi positivi e negativi ombrati, come nel minareto di Damghan o Pir-e Alamdar, che è uno dei primi monumenti a presentare tante fila sporgenti di mattoni e le fessure tra gli angoli superiori riempite con stucco o con terracotta dipinta.
I primi motivi decorativi furono a forma di triangolo, di quadrato, di merlo, di croce o a intarsio. Le grandi epigrafi in caratteri cufici, formate interamente di mattone, donano potenza e fascino particolari alle forme separate ed isolate. L’uso delle ombre e degli spazi negativi, creati dall’impiego dei mattoni, dona una bellezza notevole alle forme edilizie, come le decorazioni in mattone effettuate nel monumento di Chehel Dokhtaran ad Isfahan, dell’anno 1108, il quale pur essendo molto semplice, è dotato, sui minareti, di ottimi disegni eseguiti con grande abilità. O quelle del bel minareto rotondo di Saveh, dell’anno 1111 , il cui progetto è più innovativo tra tutte le opere simili.
L’eccellenza degli artisti della decorazione a mattone può essere apprezzata dalle opere rimaste sino ad oggi. Oltre alle cupole monostrato della moschea del Venerdi di Isfahan, che da più di 900 anni è in piedi senza aver subito alcun restauro e si impone all’ammirazione dei visitator, vi sono decine di minareti rotondi e belli spesso con più di 30 metri di altezza, soltanto nella regione di Isfahan. Bisogna tenere presente che queste opere sono costruite in un paese sismico eppure sono ancora in piedi. Esse furono costruite da abili artisti e artigiani con il mattone e ottimo calcestruzzo in base ad un’eccellente progettazione e ad una perfetta esecuzione .
La varietà e la diversità del colore, della dimensione, della forma e della disposizione ornamentale dei mattoni rendeva talmente bella ed incantevole la facciata che a volte gli architetti rinunciavano alla lavorazione con lo stucco a favore di quella in mattone, anche se questa tendenza è stata provvisoria.
La vera svolta nella lavorazione in mattone può essere considerata quella iniziata in Azerbaijan con la costruzione della Cupola Rossa di Maragheh, l’esemplare più bello di questa tipo di decorazione. Le colonne angolari del monumento sono costruite con l’impiego di dieci tipi di mattoni limati e levigati, fabbricati almeno in otto stampi diversi, e impiegati con molto abilità nelle curvature delle colonnette. Motivi originali, e a volte incantevolmente semplici, sono realizzati nelle cornici dei muri. Il mattone stesso, anche privo di qualsiasi disegno ornamentale, ha una qualità tale che sembra racchiudere tutte le caratteristiche ornamentali.
Un punto molto importante è che l’impiego del mattone non è unicamente dovuto a motivi ornamentali. Lo si può usare anche per indicare la direzione delle pressioni che si esercitano sul monumento, come negli archi più antichi della moschea del Venerdi di Isfahan dove il suo uso strutturale è davvero considerevole. La direzione della disposizione dei mattoni si differenzia in relazione alle varie pressioni esercitate. Queste aumentano la sensazione di forze combinate in maniera sicura. La potenza e la forza superiori degli archi dei monumenti selgiuchidi, dipende strutturalmente più dai motivi creati con i mattoni che dalle forme di base degli edifici. Consapevole di ciò, E. Lutyens afferma: “Non dite l’arte iraniana della lavorazione in mattone, bensì dite la magia iraniana del mattone.” Quindi, poiché il mattone nudo dà la sensazione di solidità dell’edificio, gli architetti vollero imitare il modello della lavorazione in mattone: così essi rivestirono il muro con il gesso creando poi sopra disegni che riproducevano motivi decorati a mattone, per dare al visitatore la sensazione ottenuta con il mattone.
La diffusione del rivestimento in gesso, che era molto più semplice e meno costoso delle decorazioni in mattone, causò la sostituzione di quest’ultimo, in molte regioni del paese, con la decorazione in stucco. E noi per l’importanza storica e per la vastità del suo impiego, ne abbiamo già parlato nelle pagine precedenti. Tuttavia, l’utilizzo del mattone non è ancora oggi del tutto abbandonato ed attualmente si registra una sorta di ritorno alle decorazioni in mattone; addirittura si sta diffondendo una specie di impiego misto del mattone e delle piastrelle di maiolica, come lo stile utilizzato nel monumento della Cupola Rossa, ma con i mezzi attualmente a disposizione. Un esempio lo si può vedere nella sede dell’Ufficio per il Pellegrinaggio e le Donazioni religiose a Tehran.